11/05/09

cronache libiche


con buona pace di Ray Bradbury, questi sono racconti allucinanti.

Reportage: cronache libiche

La nave della Ma­rina Militare italiana entra nel porto di Tripoli poco prima delle 10 e viene fatta ancorare in un'area riservata. A bordo ha il suo carico di persone re­cuperate in mezzo al mare nel­la notte e respinte per ordine del governo di Roma. Sono ghanesi, bengalesi, tunisini, marocchini, ma la maggior parte è nigeriana. Ci sono 40 donne, due sono incinte, oltre a due bambini piccolissimi. Hanno tutti sfidato la sorte e sono stati beffati.
Quando scendono dalla sca­letta appaiono smarriti, qual­cuno si sente male. Molti sono disidratati, sfiniti dalle ore tra­scorse in balia delle onde in at­tesa che fossero effettuati i tra­sbordi per riportarli indietro. Insieme ai poliziotti locali ci sono gli ufficiali di collega­mento italiani. Le autorità libi­che hanno consentito anche al rappresentante dell'Iom, l'Or­ganizzazione internazionale per i migranti, di assistere allo sbarco e di verificare le loro condizioni. I pullmini aspetta­no di trasferirli a Twescha e ne­gli altri centri di accoglienza dove sono già stati portati i 227 stranieri recuperati la not­te di mercoledì. Il viaggio è fi­nito, infranta è la speranza di raggiungere l'Europa. Li bloc­cano nelle acque internaziona­li, ma pure nel deserto. Da quando è scattato l'accordo con l'Italia, le squadre di agen­ti e dei servizi segreti effettua­no pattugliamenti nella zona di Bengasi e sulla strada che da Sirte porta verso la costa per fermare chi entra illegal­mente nel Paese. Raccontano di averne presi almeno 2.000 in tre settimane. Spiegano che anche gli scafisti adesso si stanno riorganizzando.
Il generale Hammad Issa è il capo delle unità investigative della polizia libica. Sul tavolo del suo ufficio ha impilato gli ultimi rapporti che raccontano le operazioni di rastrellamento per individuare i trafficanti e le loro «basi». Ha evidenziato le informazioni che possono aiutare a prevenire le loro pros­sime mosse. Ed è lui a traccia­re «la rotta alternativa» che le organizzazioni criminali stan­no tentando di aprire per aggi­rare i controlli. Partenza da Al Zwara o dalle altre località più a ridosso dell'Egitto, con desti­nazione Creta. Se questo accor­do per i pattugliamenti con­giunti continuerà a essere at­tuato, «i criminali dovranno puntare verso Est, potrebbero arrivare fino in Turchia».
Ci sono migliaia di stranieri che sono stati ammassati ad Al Zwara e nelle altre spiagge vici­ne, in attesa di partire. Hanno attraversato il deserto quando la temperatura non era ancora alta e adesso che si superano i 30 gradi, aspettano il proprio turno. Gli scafisti cercano di ca­ricarne il più possibile sui bar­coni, ma moltissimi sono stati ingannati. Chi paga per salpare e raggiungere l'Europa sa che il patto lo obbliga a percorrere a nuoto l'ultimo tratto di mare. Ed è questo che consente l'in­ganno: c'è chi viene scaricato dopo aver percorso appena cento miglia, in prossimità del­la piattaforma dell'Eni che in mare libico estrae il petrolio e dalla quale partono spesso i ri­morchiatori per dare soccorso alle barche in difficoltà. Quan­do le luci sono appena visibili chi è al timone grida «Italia, ar­rivati » e ordina di tuffarsi. Ne muoiono moltissimi, travolti dalle onde, stremati dalla fati­ca. Tanti altri affondano insie­me ai mezzi di fortuna dove i trafficanti li hanno stipati. Ieri mattina al porto di Tripoli il rappresentante dell'Iom ha os­servato quelle decine di perso­ne mentre, con lo sguardo per­so, tentavano di capire quale fosse la loro sorte. «Nessuno ha chiesto asilo — puntualizza Lawrence Hart, che dell'Iom è il responsabile per la Libia — ma noi entreremo nei centri per verificare che i nuclei fami­liari non siano stati divisi e per assicurarci che vengano tratta­ti bene». Non è a lui che si de­ve rivolgere chi vuole avviare la pratica per chiedere protezio­ne «ma noi abbiamo l'impe­gno di coordinare la parte uma­nitaria », chiarisce per scaccia­re il sospetto che la sua orga­nizzazione — che qui oltre al­l'Ue rappresenta Italia, Gran Bretagna e Usa — possa copri­re eventuali violazioni dei dirit­ti umani. Dopo l'arrivo il suo delegato ha potuto scambiare qualche parola con gli stranie­ri. «La maggior parte ha rac­contato di essere partita da Al Zwara — dice Hurt — altri non hanno voluto rivelare nul­la. Sono spaventati, c'è chi pen­sa già di riprovarci». In serata arriva la segnalazione che in acque internazionali c'è un al­tro mezzo. Forse è una barca, più probabilmente un gommo­ne. A bordo ci sarebbero una quarantina di stranieri. Mi­granti senza ormai speranza di approdare nella terra promes­sa, l'Italia.

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