25/03/10

gangs of italy

La guerra tra giovani delle gang multietniche


HA VENT'ANNI, si fa chiamare Ryu, è italiano e per tre anni ha fatto parte della gang dei Latin King. È questa la nuova frontiera di chi entra nelle strade dei graffiti:è il mix,è la destrutturazione, il multietnico. «Non ero l'unico non ecuadoregno della gang. Insieme con me- racconta Ryu - c'erano asiatici, arabi, slavi».

Molti di noi pensano che New York, la città delle novanta provenienze, sia il futuro migliore per tutti...». Felpa e coltello. Codici d'onore e regole per combattere. Musica salsa, bachata, merengue, reggaeton, cumbia e «stile» di vita. Esiste un mondo giovanile sotterraneo, un impasto di bande e di gruppi, che agli estranei fa l'effetto di un labirinto, dal quale sembra meglio girare alla larga.


Gli episodi violenti non sono pochi, come sa anche Manfredi Alemanno, 15 anni, figlio del sindaco di Roma: una settimana fa è stato picchiato al quartiere Parioli da un gruppo di giovani figli di immigrati. Altri giovani sempre più spesso si calano sulla fronte i cappucci delle felpe e vanno all'attacco degli immigrati: a Milano c'è stata per un po' la caccia dei neonazisti ai filippini, a Roma continua quella ai bengalesi. E a Campo de' Fiori l'ultimo agguato, l'altra notte, con uno studente americano accoltellato al torace da una gang sudamericana.

«Io - continua Ryu - sono entrato nei Latin King grazie a Internet. Ho cercato contatti, li ho trovati, ho cominciato a uscire con un gruppo, ma poi, una sera, ho incontrato un vero Latin King, mi ha detto che stavo in compagnia di truffatori, di inventori. E non sapete quanti ce ne sono, e secondo me sono quelli che fanno i casini, come le violenze sessuali, per noi vietate... Così, con questo nuovo amico, piano piano, sono entrato nella gang più importante di Milano». Periodo turbolento, così lo ricorda, tra risse e fughe e paure, ma anche «bellissimo, perché c'è un alone di fascino, se stai in una banda. Per le ragazze funziona e mi sentivo tra fratelli, tra gente che avrebbe fatto tutto per me, come io per loro».

Sino alla tragedia: «Una mattina ero alla stazione, perché andavamo fuori città,a un raduno della nostra Nazione, come ci chiamiamo. Suona il telefono, c'è uno che piange, mi dice che hanno ammazzato "Boriqua"».E cioè David Stenio Betancourt Noboa, 26 anni, ecuadoriano: il Rey, e cioè il capo dei Latin King New York. Era l'aprile scorso, il re usciva dal Thini Cafè, nella zona tra via Brembo e via Nervesa, e a colpirlo sono i rivali, i Latin King Chicago. «Vado all'obitorio - continua Ryu, ancora emozionato - e l'ho visto, aveva le mani nelle tasche della felpa. L'hanno preso a tradimento. Era stato in carcere, ma voleva la pace tra i vari gruppi. Poi le tv ci hanno dipinto quasi come assassini seriali, ma la realtà è che Bouriqua aveva detto basta alla violenza».I sociologi di «Codici- agenzia di ricerca sociale» confermano, così come la seconda sezione della squadra Mobile di Milano, che ha acchiappato gli assassini di Bouriqua. E ha collaborato anche all'arresto dei dominicani che tre settimane fa, in via Padova, hanno ucciso un egiziano.

Anche questa storia andrebbe, almeno in parte, rispiegata fuori dai luoghi comuni. I latinos erano stati tutto il giorno a spasso, avevano un appuntamento con un manager musicale e sul bus stavano ascoltando i loro «pezzi». Erano eccitati e contenti, con la speranza di un contratto in serata, quando il giovane, che poi sarebbe morto, gli ha ordinato a brutto muso di smetterla. Non c'era alcuno scontro tra africani e latini, la lite scoppia tra chi era felice e chi non sopportava le risate. E - come succede sempre più spesso, ovunque, tra giovani «depoliticizzati», in cerca di emozioni da film noir nelle discoteche, nei parchi, nelle piazze - sono spuntati i coltelli. «Io - continua l'italiano Ryu - non sto dicendo che siamo santi, però è sbagliato descriverci come emarginati. Provaa pensare. Siamo meglio noi, che abbiamo un codice,o quei ragazzi di buona famiglia, perfettamente a posto, che a Milano hanno massacrato un barbone perché ne hanno schifo? Esiste una violenza notevole, in questi anni, e sono le bande che la tengono a freno.È l'esatto contrario di quello che si dice.E guarda che ti parlo con sincerità. Per un po' ho curato una discoteca dei Latin King nella zona di corso Como. Beh, ero alla porta, per evitare i casini, e facevo le perquise. Ho trovato coltelli nelle mutande, negli stivali, dovunque, ma averli non è come usarli». Il fenomeno delle «Pandillas», le bande, nacque a Genova, perché qui a metà degli anni '90 approdano dall'Ecuador migliaia di donne con figli al seguito e senza mariti. I ragazzi, senza controllo, ritrovano un'identità nella banda. Nel 2003 la prima maxi operazione della polizia porta una decina di arresti e individua otto baby gang e nel 2006 viene firmata una storica pace tra Latin King e Nietas (portoricani) coni capi venuti espressamente dal Sudamerica e dagli Usa. In ogni città, comunque, le spedizioni punitive non finiscono. Basta accennare con le mani al gesto di una «corona rovesciata» per togliersi il rosario e andare all'attacco. Un censimento, per difetto, indica in un migliaio i ragazzi nelle gang in Italia, concentrate soprattuttoa Milano, Genova, Torino, Roma, Napoli. Milano è la «città madre», dove tutti passano e trovano rifugio, e a parte i Latin King (ecuadoriani), i Comando (peruviani), i Nietas, presenti ovunque, ci sono Trinitarios (domenicani), i salvadoregni Ms (Mara Salvatrucha, occhio ai «18» più che ai «13», i primi riconoscibili dal tatuaggio di tre carte da gioco con il sei), poi i filippini riuniti nella gang «Ghetto», più i tanti italiani, come i «Napoletani del Corvetto». E se a Milano i paninari e i sambabilini sono scomparsi da decenni, inserendosi qui e là, a Roma i pariolini esistono ancora, così come i Coatti, gli Emo e i Truzzi. A Torino c'è una proliferare di micro-gang, dagli Ottogallery, ai Ninja, ai Vatos Locos (latini), ai Truzzi, alle Gotiche, ai Cabinotti. A Genova resta la roccaforte dei Forever e dei Soldao Latinos. A Napoli sono forti i Nietas, ma anche gli italiani R 601. Ci spiega Paul, un ragazzone dalle spalle larghe e i denti bianchissimi, quale bisogno porta questi ragazzi nelle gang. Fa l'elettricista nella zona di Rozzano, paesone alle porte di Milano ribattezzato con ironia «Rozzangeles». «Avevo undici anni - racconta Paul - quando in Ecuador sono entrato in una pandilla. C'era mio fratello, più grande di me di un anno, e là ho visto cose terribili. Ti mettono anche in mano la pistola, e ringrazio Dio che a me non è successo di sparare. Quando sono arrivato a Milano, ho conosciuto, grazie a una collana, un nostro segno, altri come me. E mi sono inserito subito nella gang. Abbiamo degli obblighi seri, se andiamo a scuola dobbiamo essere promossi, se lavoriamo dobbiamo essere stimati. E le donne della gang non sono zoccole, devono vestirsi senza volgarità, e l'aborto è proibito, ci devi pensare prima». Perché entrare nella gang? «Mio padre e i suoi fratelli bevevano, ho imparato le regole della vita grazie alla banda, sono tra amici, non ho mai sgarrato». Ora Paul è papà, lavora, ed era un pezzo grosso, piuttosto temuto. Sarebbe però un errore strategico, non solo politico, ritenere le gang un feudo esclusivamente straniero. Se a Torino si sente dire: «Ci sono dei cabinotti da asciugare, diamoci da fare», attenzione. La frase ha un significato: «cabinotti» sono i ragazzi vestiti da ricchi e «asciugarli», preferibilmente in due zone del centro storico, sta per rapinarli. E le rapine, le risse, gli agguati, non sembrano finire mai.

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