17/04/11

quelle parole in libertà sui migranti

QUELLE PAROLE IN LIBERTÀ SUI MIGRANTI
di Maurizio Ambrosini 15.04.2011

Dal Nord Africa sono arrivate finora in Italia circa 30mila persone, non certo lo tsunami umano di cui parla il presidente del Consiglio. Dopo aver rifiutato di ratificare tre direttive europee sull'immigrazione, ora invochiamo, a sproposito, la libera circolazione per i migranti cui abbiamo concesso la più debole delle figure giuridiche della protezione internazionale. Tutti i paesi europei hanno irrigidito le procedure per l'ingresso, ma hanno accolto masse di rifugiati ben più consistenti. Invece di autoisolarci, dovremmo cercare di costruire soluzioni condivise a livello europeo.


LO TSUNAMI UMANO

La prima è “tsunami umano”, espressione utilizzata dal premier Berlusconi. E’ stato il culmine mediatico di un crescendo di esternazioni allarmistiche da parte degli esponenti del nostro governo. Mi limito a citare un dato: all’epoca delle guerre balcaniche, negli anni Novanta, l’Italia ha accolto 77mila profughi, perlopiù con la stessa formula giuridica (il permesso di soggiorno temporaneo per ragioni umanitarie) utilizzata per i circa 15mila sbarcati dal Nord Africa accettati ufficialmente nei giorni scorsi. (1) Allora molti si sono integrati, qualcuno è tornato in patria. Il paese non ne è stato travolto. Non si vede perché dovrebbe esserlo oggi, a meno che le proteste degli abitanti dei luoghi dove dovrebbero essere accolti, spaventati dai massimi responsabili della guida del paese, non producano una profezia che si autoavvera.



NOI E L'UNIONE EUROPEA

La seconda parola è “libera circolazione”. Il governo dopo aver promesso pugno duro nei confronti degli sbarcati ha concesso un permesso temporaneo per ragioni umanitarie, la più debole delle figure giuridiche della protezione internazionale. Un ennesimo esempio di contraddizione tra retoriche della fermezza e pratiche della tolleranza, di cui le sanatorie sono l’esempio più noto. Questa volta, però, il governo ha praticato l’ipocrisia a carico di terzi, lasciando intendere che concedendo i permessi avrebbe favorito l’espatrio dei migranti verso la Francia e il resto dell’Europa. Alle proteste dei partner, ha contrapposto il principio della libera circolazione nello spazio europeo. Ha dato tuttavia l’impressione di decidere unilateralmente sull’accoglienza di migranti, obbligando poi i paesi vicini a farsene carico. Sarebbe una paradossale innovazione rispetto agli accordi di Schengen, per i quali solo i cittadini comunitari hanno diritto alla libera circolazione, mentre per gli immigrati da paesi terzi i permessi di soggiorno sono concessi da uno Stato e valgono per il territorio dello Stato che li ha concessi. Né sembrano ricorrere i requisiti per l’attivazione della nuova direttiva europea 55 sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di persone in fuga da guerre o da violazioni dei diritti fondamentali, che in ogni caso andava richiesta prima e non dopo aver concesso unilateralmente i permessi temporanei. Lo hanno concordemente rilevato i nostri vicini, isolando politicamente il governo italiano. Sul quale grava anche un curriculum poco lusinghiero, avendo rifiutato di ratificare ben tre direttive europee sull’immigrazione.
Certo, la vicenda mostra una contraddizione delle politiche dell’immigrazione e dell’asilo nell’Unione europea. Ogni paese vuole decidere in piena sovranità sull’ammissione di nuovi migranti. Normalmente, quando si tratta di collettivi di espatriati in cerca di protezione, se ne fa carico, e questi sono tenuti a rimanere sul territorio di chi li accetta. Possono spostarsi all’estero per brevi periodi, ma rimangono legati al paese che ha concesso loro protezione. Per di più, nel caso attuale, non paiono sussistere per la maggioranza degli sbarcati le condizioni per accedere allo status di rifugiati.
La contraddizione consiste nel fatto che, avendo l’Unione Europea abolito i confini interni, diventa difficile controllare la mobilità transfrontaliera degli asilanti. Di qui le dure istruzioni dei governi francese e belga per cercare di respingere l’infiltrazione dei nuovi arrivati: misure antipatiche ma legittime.
La terza parola è “Europa sorda”. I nostri vicini non sono certo immacolati e la vicenda ci ricorda che tutta l’Europa ha irrigidito le procedure per l’ingresso. Angela Merkel, Nicolas Sarkozy, Josè Luis Zapatero sono attesi da impervie scadenze elettorali e sanno che l’accoglienza non porta consensi. Probabilmente a loro non dispiaceva che l’Italia facesse il lavoro sporco del contenimento dei flussi di richiedenti asilo, compromettendo la propria immagine internazionale negli accordi con la Libia e nei respingimenti in mare condannati dall’Onu.
Ma nello stesso tempo quasi tutti gli altri grandi e piccoli paesi europei hanno accolto masse di rifugiati ben più consistenti della nostra, in termini assoluti e relativi: oltre ai 593mila della Germania, che ce lo ha ricordato, i 270mila della Gran Bretagna, i 200mila della Francia, gli 80mila della piccola Olanda. Contro i nostri 55mila (dato 2009). L’Italia ammette circa 1 rifugiato ogni mille abitanti, la Germania più di 7, la Gran Bretagna quasi 5, Danimarca, Svezia e Olanda tra i 4 e i 9 (dati Unhcr). Nel 2010, i richiedenti asilo sono stati 48.490 in Germania, 51.595 in Francia e 31.875 in Svezia. È arduo invocare oggi la condivisione del carico sociale, dopo averla ignorata per anni. Se si attuasse una redistribuzione proporzionale dei rifugiati, dovremmo accoglierne di più, non cederli ai vicini.
Sullo sfondo campeggia la crisi libica, che sta mettendo in fuga decine di migliaia di persone verso Egitto e Tunisia. Come sempre, i rifugiati vanno verso il paese sicuro più vicino e raggiungibile, in pochi si avventurano per mare su precarie imbarcazioni, ma il protrarsi del conflitto e della precarietà dei campi profughi potrebbe modificare il quadro. Sarebbe il caso di cominciare a costruire una vera politica europea, comprensiva di rientri assistiti e reinsediamenti, in mancanza della quale chi si trova sul confine non può che essere più esposto. Di certo le grida scomposte e l’autoisolamento politico non favoriscono la ricerca di soluzioni condivise.

(1) Forse arriveranno a 20mila se altri verranno identificati e ammessi, rispetto ai circa 30.000 sbarcati stimati. Il decreto sui permessi fissa la data del 5 aprile come termine, stabilendo una scadenza che divide drammaticamente i destini delle persone. I migranti arrivati in seguito dovrebbero essere rimpatriati, salvo che non abbiano diritto di chiedere asilo (i profughi africani dalla Libia, per esempio: si stimano circa 2500 persone provenienti dal Corno d’Africa). Altri, prima e soprattutto dopo il 5 aprile, hanno fatto perdere le tracce. Si stanno verificando in questi ultimi giorni alcune decine di rimpatri al giorno, ma come sempre far coincidere i fatti con le parole, in questa materia, è tutt’altro che agevole. E’ tutt’altro che certo che il governo riesca a rimpatriare per davvero tutti i migranti arrivati dopo il 5 aprile, e non accoglibili in base alle convenzioni internazionali.

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