25/06/09

american trafficking

Il traffico di immigrati non conosce crisi (anzi, la sfrutta)

di Fabrizio Maronta
A Phoenix (Arizona) e nelle altre grandi città statunitensi del sud, i quartieri fantasma creati dalla crisi immobiliare diventano teatro di un nuovo business della malavita messicana, quello dei sequestri. A farne le spese, ancora una volta, gli immigrati irregolari.
Picchiati e minacciati, pistola alla tempia, poi lasciati mezzi nudi, in piena estate come in pieno inverno, ammassati nelle stanze di un anonimo villino unifamiliare alla periferia di Phoenix, San Diego o Houston. Dove, se tutto va bene, sono trovati dalla polizia dopo una richiesta d’aiuto al 911, sussurrata da un telefono cellulare. È questo il destino di un numero crescente di aspiranti immigrati messicani, che provano ad entrare illegalmente negli Stati Uniti e a cui, negli ultimi due/tre anni, le stesse organizzazioni criminali cui essi si affidano per il viaggio chiedono riscatti fino a 5 mila dollari, per essere lasciati liberi (e vivi). Un prezzo alto, molto più alto dei circa mille dollari (pagamento anticipato) sborsati di solito per l’attraversamento del confine.

Il fenomeno dei sequestri di migranti da parte delle organizzazioni criminali messicane che ne gestiscono l’ingresso negli Usa è in forte crescita lungo il confine messicano-statunitense ed ha assunto dimensioni preoccupanti a Phoenix, in Arizona, la cui triste fama di “capitale dei sequestri” d’America si è andata rapidamente consolidando. Le autorità dell’Arizona puntano il dito contro la guerra dei cartelli della droga messicani (e, indirettamente, contro il governo di Città del Messico, che non starebbe facendo abbastanza per contrastarla), tra le cui ricadute nefaste vi sarebbe la crescente competizione dei gruppi criminali per accaparrarsi il traffico di clandestini, sfruttando un potere economico e un controllo del territorio che ha pochi precedenti nella storia del locale crimine transfrontaliero.

Se questo è il motivo scatenante del fenomeno, c’è però dell’altro: delle “circostanze ambientali” che facilitano, e di molto, il lavoro dei network criminali messicani in territorio americano.

Tali circostanze hanno un nome: crisi economica. E sono particolarmente visibili a Phoenix, dove il collasso del mercato immobiliare ha prodotto, soprattutto nell’ultimo anno, migliaia di case disabitate (sfitte o pignorate) e interi quartieri residenziali fantasma. Nascondigli ideali per droga, armi e clandestini, in quelle che, con appropriato neologismo, le polizie locali hanno preso a definire “drop houses” (case-magazzino). Secondo la polizia di Phoenix, ne sono state scoperte 194 nel 2007, 169 nel 2008 ed oltre 70 in questi primi sei mesi del 2009.

Se la maggior parte dei sequestri hanno ancora a che fare con regolamenti di conti (personali ed economici) legati al traffico di droga, i casi che coinvolgono migranti irregolari sono in netto aumento.
Sempre la polizia di Phoenix rende noto che, nel solo 2009, il numero di immigrati ostaggi scoperti nelle drop houses sfiora le 1100 unità: pochi rispetto ad un flusso annuale stimato in varie centinaia di migliaia, molti se si considera che i covi esistenti sono certamente di più di quelli scoperti, che i numeri si riferiscono solo a Phoenix e che il guadagno per le organizzazioni criminali (considerando una media di 3-5 mila dollari a persona, oltre a quanto pagato per la traversata) è altissimo.

Quel che sta accadendo in Arizona rappresenta
una svolta qualitativa nel business del traffico di clandestini. Fino a 15-20 anni fa, molti lavoratori stagionali messicani, presenti illegalmente negli Usa, attraversavano periodicamente il confine con il Messico nelle due direzioni, ricorrendo a coyote (passeur) “di fiducia”, che di norma agivano in proprio. A partire dagli anni Novanta, anche in seguito all’aumento dei controlli e della repressione da parte statunitense, il business degli attraversamenti passa progressivamente in mano alla criminalità organizzata, dotata di più uomini e mezzi, e diventa una vera e propria industria, al pari di quella della droga.

Oggi, di fronte al contingente calo dei proventi
del traffico di uomini e stupefacenti, conseguenza di una crisi economica che riduce la domanda di lavoro e deprime il potere d’acquisto di chi fa uso di droghe, la criminalità messicana punta a rifarsi sugli immigrati, “tassandoli” con i sequestri prima di portarli a destinazione, per trarre maggiori profitti dai singoli passaggi. In tal modo, i trafficanti guadagnano comunque: se gli ostaggi sono scoperti, avranno comunque intascato i soldi del passaggio; se non lo sono, oltre a questi avranno intascato anche il riscatto.

Stando alle autorità locali, l’area di Phoenix risente anche dello stretto controllo esercitato sulle tradizionali rotte dell’immigrazione clandestina, dirette verso Texas e California, che ha dirottato quote crescenti dei flussi sull’Arizona. Senza nulla levare a questo elemento, il fattore crisi rimane comunque fondamentale. A metà del 2007, anno a cui risalgono le prime serie avvisaglie dello scoppio della bolla immobiliare, le case sfitte a Phoenix erano quasi 74 mila, il 75% in più rispetto al 2000. La crisi ne ha messe sul mercato altre 12 mila, deprimendo i prezzi e offrendo ai trafficanti l’imbarazzo della scelta, con interi quartieri fantasma in cui i proprietari di immobili fanno poche domande, pur di affittare.

Ora più che mai, gli immigrati clandestini diventano così una commodity da cui i cartelli criminali messicani spremono extraprofitti in grado di attenuare la diminuzione degli introiti illeciti derivanti dal “normale” traffico di droga e migranti. A riprova della forte recrudescenza della criminalità organizzata transfrontaliera cui, finora, Washington e Città del Messico non sembrano aver saputo opporre risposte veramente efficaci..

Nessun commento:

Posta un commento