23/09/08

La mattanza di S.Gennaro

Una storia da incastonare nella memoria e in ogni discorso ogni volta che si parli di immigrazione, di minacce vere alla sicurezza, di negri, di italiani -tutti-brava gente.

il valore di quelle vite
C'è, tra i Casalesi, una banda di latitanti. Non più di sei o sette. In armi e cocainomani persi. C' è un boss (Francesco Bidognetti) che, in galera, potrebbe presto saltare il fosso e "cantare". «Pentito». Le sue incertezze gli fanno cadere la corona dal capo. Il territorio appare libero da ogni influenza (il boss l' ha perduta con i suoi tentennamenti) e i latitanti vogliono prenderselo per loro fin negli angoli, spremerlo fino all' ultimo euro. Dalla primavera, gli assassini vanno in giro sparando e ammazzando e distruggendo per far sapere chi comanda, ora. In quattro mesi, hanno ucciso il padre di un «pentito»; ammazzato un imprenditore che si era rifiutato di pagare il pizzo (Domenico Noviello) e un altro che si preparava a testimoniare (Michele Orsi); hanno devastato con il fuoco la fabbrica di un terzo restio a piegarsi; hanno mancato per un pelo la nipote della compagna del «pentito» (Anna Carrino). Nelle ultime due settimane, non c' è stato in quell' angolo di Italia, lungo la via Domiziana, tra le province di Napoli e Caserta, una fabbrica, un' impresa, una bottega di qualche pregio che non abbia ricevuto la sua dose di raffiche di mitraglietta 7.62.

Ora, nella notte di San Gennaro, la strage degli africani dinanzi alla sartoria «Ob Ob exotic fashions» di Castelvolturno. Dicono, per punire uno o due spacciatori che non pagavano o che non era stati autorizzati a spacciare. Per gli assassini un nero vale un altro. E per fare un morto, sparando alla cieca 84 bossoli di 9×21 e 7.62, ne hanno lasciato a terra sei, venuti in Italia dal Ghana, dal Togo, dalla Liberia.

Le vittime innocenti si raccoglievano davanti a quella piccola fabbrica-sartoria, alla fine della giornata di digiuno per il Ramadan, per consumare insieme l' unico pasto. è stata questa la sola colpa. Erano al posto sbagliato con un amico sbagliato. Erano uomini che lavoravano duramente per pochi euro all' ora, pregavano e rispettavano il loro dio, se ne stavano tra di loro. Sono stati condannati dal colore della loro pelle e dalla convinzione della Camorra che i neri sono non-uomini, buoni per essere "cavalli" del traffico di stupefacenti, raccoglitori di pomodori per qualche euro l' ora, operai edili nei cantieri del Nord riforniti dal calcestruzzo dei Casalesi, il loro grande affare alla luce del sole.




Non è stato sempre così, da quelle parti. Come racconta Roberto Saviano, c' è stato un tempo che la gente della costa domizia «non era crudele con gli africani, non li guardava con nausea. Anzi». C' è stato un tempo che bianchi e neri lavoravano insieme, festeggiavano insieme, in qualche caso si sposavano anche e le ragazze nere erano ben accolte in casa come babysitter. «Col tempo però - ricorda Saviano - i potenti, i veri potenti, hanno diffuso un senso di paura, una diffidenza, una separazione imposta. Se proprio devono esserci contatti che siano minimi, che siano superficiali, che siano momentanei. Poi ognuno per sé ed il danaro solo per loro, i potenti». Il comando dei Casalesi ha precipitato i neri in un mondo a parte di baracche, di stenti, di esclusione, sopraffazione, sfruttamento. E ora anche di morte.


Una morte così ingiusta e insensata da essere intollerabile anche per chi, emigrato dall' Africa, ha perso ogni speranza di poter essere trattato con la dignità che si deve a un essere umano.


E' questa intollerabilità che ha provocato le violenze di ieri, quelle ore di devastazioni e rabbia pazza scatenata da un paio di centinaia di uomini, sordi al grido "Basta!" dei loro connazionali. Quel che accade lungo la costa domizia è una vendetta della realtà contro le semplificazioni del format di governo che - come scriveva qualche giorno fa Edmondo Berselli - non descrive nulla della società contemporanea. è la rivincita del mondo reale sul posticcio affresco italiano diffuso da ministri, a quanto pare, popolarissimi. è "cronaca" che liquida in poche ore e per intero la logica, i paradigmi, si può dire l' universo mentale che sostiene, nella nuova stagione, le politiche pubbliche della sicurezza e dell' immigrazione. La realtà ci racconta che il nero - l' altro - non è il nemico: è la vittima innocente. La "cronaca" ci dice, con un' evidenza cruda, quale sia il valore, il niente in cui è tenuta in considerazione la vita di un nero (in un disprezzo moltiplicato nella Campania criminale, dopo il pestaggio mortale di Abdul a Milano). Nel mondo reale di Castelvolturno l' aggressore, il criminale, l' assassino non è l' immigrato ma l' italiano. E un tipo di italiano e di italianità diffusa nel Mezzogiorno, organizzata in Mafia, capace di tenere il potere dello Stato in un cantuccio, di governare il territorio, di succhiarne le risorse pubbliche e private, di decidere della vita e della morte degli altri, di ridurre gli altri, se neri, in uno stato di schiavitù, di non-umanità, dopo aver avvilito a sudditi i cittadini italiani. Nell' arco di una mezza giornata vengono alla luce, nella loro essenzialità, l' inconsistenza e i trucchi, il furbo conformismo di una politica che sa soltanto eccitare e inseguire le paure, gli egoismi e furbizie di italiani confusi e smarriti. Gli italiani vogliono prostitute, ma non vederle sotto casa: il governo le punisce e le nasconde senza curarsi di chi controlla la "tratta delle schiave" e ne incassa gli utili.

Gli italiani vogliono cocaina, ma non lo spacciatore nella strada accanto: il governo mostra qualche soldato in armi per strada per fare la faccia feroce senza curarsi delle 600 tonnellate l' anno di cocaina che 'ndrangheta e camorra importano in Italia; senza darsi pensiero della grande operazione di marketing lanciata al Nord dalle mafie che vendono ai teenager una bustina di "bianca" per dieci euro. Gli italiani vogliono lavoro a basso costo e in nero, ma non i clandestini. E il governo crea il reato di immigrazione clandestina e il lavoro diventerà ancora più nero e ancora più a basso costo e diffuso e clandestino. E allora perché meravigliarsi se i Casalesi - una banda di assassini, che controlla gli affari di droga e utilizza nelle sue imprese il lavoro nero - possono pensare di fare una strage di neri solo per ammazzarne uno? Quanto vale un nero? Niente. Davvero qualcuno si scandalizzerà oggi se duecento di quei niente hanno gridato per un pomeriggio la loro rabbia? - Giuseppe D'Avanzo
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/09/20/il-valore-di-quelle-vite.html

12/09/08

nazionalismo e religioni: futuro prossimo

condivido parecchio di quest'articolo. e l'idea effettivamente mi ronza in testa da tempo.

un secondo giro di ruota: già una volta dopo il tempo dei grandi imperi (asburgico, britannico, etc.) i nazionalismi frammentarono, tra rivendicazioni, violenze (e una guerra mondiale) l'assetto del pianeta: la capacità di tenere insieme popoli e razze non reggeva -militarmente- più.

Altri due imperi (sovietico e statunitense) sembravano aver definitivamente mandato in soffitta l'idea di popolo o religione come concetti forti e sufficiementemente identitari. Oltre alla capacità di controllo militare, si erano affermate ormai altre ideologie ben più forti: la concezione di classe o alternativamente quella liberale bastavano a spiegare adeguatamente l'uomo. E quando il muro venne giù -pur da una parte sola- era ormai l'economia e la direzione delle cose ad non concepire altre possibilità: un mondo globalizzato, inevitabilmente lanciato vs l'espansione delle democrazie (what else?), in cui l'orizzonte politco era giusto demandare a organismi sovranazionali sempre più influenti di presiedere al traffico, per far circolare beni e persone. altro non serve, nè è dato immaginare in lontananza.

e invece, in un soffio: l'identarismo religioso, il conflitto di civiltà, i nazionalismi, i secessionismi. soprattutto a riempire i buchi lasciati da ideologie ormai andate. e forse anche richiamati proprio dalla frequenza, dalla facilità degli incontri, dei contatti, delle relazioni tra persone e popoli diversi. (tanto per smentire chi pensa che la storia si possa spiegare giusto con una categoria: solo conflitto di classe, o geopolitico, o religioso, o nazionalistico. ci sono stati, e ci saranno tutti, non ci facciamo mancare niente, anche perchè è piuttosto probabile che l'uomo sia lupo all'altro uomo).

in conclusione. pare che la complessità sia il segno dei tempi: ed infatti moltissimo si sovrappone e coesiste: integralismo e secolarismo, particolarismi e internazionalizzazione, tolleranza e insofferenze, pacificazione e rombo dei bombardieri. ma sono tendenzialmente pessimista per il futuro (se inteso come equilibrio costante), e ritengo che l'integrazione culturale e le migrazioni (per restare sul professionale) siano cosa ben più delicata e insidiosa di quanto possa ora apparire...

Il nazionalismo autoritario di Putin
di Angelo Panebianco


Le due grandi dottrine che più hanno contribuito a forgiare negli ultimi secoli la «mentalità» dell'uomo occidentale, il liberalismo (ma ciò vale soprattutto per la variante europeo-continentale) e il socialismo, hanno sempre condiviso la difficoltà a fare i conti con le grandi forze storiche rappresentate dalla religione e dal nazionalismo. A lungo le hanno erroneamente concepite come manifestazioni di irrazionalità destinate prima o poi a spegnersi in ragione dell'avanzata della secolarizzazione e della trasformazione dei rapporti politici, economici e civili.
L'osservazione della realtà sembrava confermare le indicazioni delle dottrine. Con la fine della guerra fredda e la scomparsa del comunismo le forze storiche della religione e del nazionalismo si sono rianimate. E hanno preso in contropiede il mondo occidentale. Basti ricordare la sorpresa con cui l'Occidente ha accolto il risveglio dell'islam e la sfida dell'integralismo islamico. Mancavano, prima di tutto, le categorie necessarie per «pensare» quanto stava accadendo. Anche il caso del nazionalismo presenta aspetti inediti. Nel XX secolo esso ha per lo più operato in simbiosi con le ideologie secolari, camuffandosi, nascondendosi dietro di esse: come nel caso dei Paesi comunisti o dei movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Con la fine del secolo dominato dal conflitto fra ideologie secolari universaliste, il nazionalismo è diventato per molti regimi autoritari l'unica ideologia possibile, il principale cemento simbolico del potere. E anche questo sorprende e disorienta tanti occidentali.
Non soltanto la nazione resta l'unico bene-rifugio possibile per le minoranze che si ritengono oppresse. Soprattutto, il nazionalismo, cadute quelle ideologie che abbagliarono tanti nello scorso secolo, è ora il solo «ismo» (quando non risulti utilizzabile la religione) che possa legittimare i nuovi costruttori di imperi. Insieme alla promessa di un futuro benessere economico per tutti i sudditi il nazionalismo è un'importante base di sostegno dei regimi autoritari o semi-autoritari che reggono le sorti delle risorgenti potenze. Ma ciò crea gravi problemi a tutto il mondo circostante. Soprattutto, li crea alle democrazie liberali occidentali: come comportarsi con le grandi potenze autoritario- nazionaliste? Poiché è evidente che i rapporti fra gli Stati sono condizionati anche (non solo, ma anche) dalla natura dei loro regimi politici interni e delle ideologie che li legittimano. Sicuramente sbaglia chi riduce la politica internazionale a una semplice questione di confronto fra democrazie liberali e autocrazie.
Questo errore impedisce, tra l'altro, di vedere il fatto che le stesse democrazie praticano, quando possono, la politica di potenza, difendono aree di influenza, eccetera. Ma, al tempo stesso, si può constatare come la politica estera degli Stati sia potentemente condizionata da regimi, culture politiche e ideologie. La principale ragione per cui, ad esempio, la bomba atomica israeliana non è mai stata concepita come un'arma di offesa contro i vicini ostili ma solo come uno strumento di estrema difesa nel caso in cui Israele dovesse un giorno trovarsi a rischio di distruzione totale ha molto a che fare con la natura del regime politico israeliano (una democrazia). Analogamente, il mondo avrebbe ottime ragione di temere l'atomica pachistana il giorno in cui prendessero il potere in Pakistan gli estremisti islamici. Fino a qualche anno fa, noi occidentali non avevamo messo in conto la possibilità di un rapido ritorno della Russia alla politica di potenza. E non solo perché la Russia era stata messa in ginocchio dal crollo dell'impero comunista. Anche perché, nonostante l'ascesa al potere di Putin nel 1999 fosse stata fin da subito accompagnata da qualche segnale poco rassicurante, pensavamo comunque che, col tempo e tutti i travagli del caso, la Russia avrebbe continuato ad avanzare sulla strada della democratizzazione.
Il che portava a immaginare un futuro ove una Russia democratica ed economicamente risanata avrebbe occupato stabilmente un posto di rilievo in un sistema di cooperazione integrato russo-europeo-americano. La democratizzazione della Russia sarebbe stata per tutti (anche per i Paesi liberatisi dal giogo sovietico) la decisiva garanzia, il modo per assicurare e perpetuare rapporti di solida fiducia fra tutti gli Stati coinvolti. L'accordo di Pratica di Mare (2002) fra occidentali e russi fu in qualche modo il canto del cigno di questa visione. Ma, complice la guerra cecena, il processo di democratizzazione, a un certo punto, si è interrotto. Putin ha stabilizzato la Russia ma ne ha fatto una democrazia autoritaria. E ai cambiamenti interni sono corrisposti cambiamenti di atteggiamento verso l'esterno. Una democrazia autoritaria (per giunta rancorosa verso il mondo in quanto orfana di un impero) necessita del nazionalismo per legittimarsi e questo schiude la strada ad atteggiamenti vieppiù aggressivi. Ciò apre per tutti noi un terribile dilemma. Perché, da un lato, è indubitabile che senza mantenere canali aperti con la Russia e senza ricercarne la collaborazione su tutti i dossier aperti (a cominciare da quelli mediorientali) non c'è possibilità di governare le crisi ma solo di vederle sempre più aggravate.
Ma, dall'altro lato, è difficile (speriamo, non impossibile) impedire che il logorato filo della collaborazione si spezzi se la Russia, forse sopravalutando le proprie forze, dovesse continuare a comunicarci (come ci comunicano da una settimana a questa parte le truppe tuttora presenti sul territorio georgiano) che a contare è solo la sua volontà e non gli accordi sottoscritti. La cosa peggiore che potrebbe fare l'Occidente nei futuri rapporti con la Russia è dividersi. I nazionalisti russi al potere lo accoglierebbero come un segno di debolezza e acquisterebbero ancora più baldanza. Ci perderemmo noi, ci perderebbero i popoli che si sono liberati dal dominio russo, e anche quei russi, molti o pochi che siano, che sperano, per il loro futuro, in qualcosa di meglio del nazionalismo autoritario.


www.corriere.it/editoriali/08_agosto_24/il_nazionalismo_autoritario_di_putin_b4df2b16-7189-11dd-8174-00144f02aabc.shtml

08/09/08

carrette del mare? ora ci penseranno il deserto e il colonnello


La nota del Governo sul rilevante "Trattato di amicizia e cooperazione Italia - Libia". (Il testo completo non è disponibile).

Di seguito approfondimenti vari sui preoccupanti scenari che è dato prevedere.
www.governo.it/Presidente/AttivitaInternazionale/dettaglio.asp?d=40143&pg=1%2C2015%2C2023&pg_c=1

caro Gino, cari tutti,
ricambio il tuo articolo che centra effetivamente molte questioni, con qualche altro approfondimento sulla questione dei campi di detenzione in Libia e del grave tema della esternalizzazione delle frontiere esterne. per chi fosse interessato.

Fortress Europe
Mappa dei centri di detenzione per migranti in Libia: http://fortresseurope.blogspot.com/
Rapporto monografico sulla Libia 2007 http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/download-libya-2007-report.html








Da Gino:
In rete ho trovato qualche nota biografica del giornalista che ha scritto ieri su Avvenire un commento sul patto Berlusconi-Gheddafi.
"Andrea Gavazza. Giornalista. Si occupa di politica interna e internazionale, collaborando a varie testate. Studioso di filosofia della mente e neuroscienze, ne scrive come divulgatore".
Di solito non leggo l'Avvenire ma cercavo un punto di vista "umano" e attento ai diritti degli immigrati più che agli accordi "economico-petroliferi".
Aiutatemi voi a capire se l'ho trovato, io mi sento un po' smarrito!!!

MIGRANTI E DIRITTI - PASSO SIGNIFICATIVO ORA SI VIGILI SULL'APPLICAZIONE

Sarebbe un errore sottovalutare il Tratta­to di amicizia, partenariato e coopera­zione firmato ieri da Italia e Libia. L'accor­do è rilevante per l'entità economica, la va­lenza politica, il profilo 'ideale', le conse­guenze e i rischi sul fronte dei flussi migra­tori africani. Roma si impegna a versare 5 miliardi di dollari nei prossimi due decen­ni sotto forma di investimenti nel Paese: i 250 milioni l'anno serviranno a costruire un'autostrada costiera e alloggi civili, a fi­nanziare borse di studio e pensioni d'inva­lidità per i mutilati dalle mine sepolte dal nostro esercito nel periodo coloniale.
L'intesa intende infatti «riconoscere i dan­ni inflitti alla Libia», come ha sottolineato il premier Berlusconi, durante l'occupa­zione che si protrasse dal 1911 (guerra gio­littiana contro la Turchia) al 1943 (quando fummo sconfitti dagli inglesi). Si tratta di un'ammissione di responsabilità, accom­pagnata da esplicite scuse, moralmente ri­levante al di là delle dispute storiografiche sull'entità dei crimini commessi (alcuni ac­certati) durante la colonizzazione e dei di­battiti sulla responsabilità che i Paesi man­tengono per gli atti di regimi passati.
Vi sono, ovviamente, anche ragioni prag­matiche che hanno spinto il nostro gover­no a chiudere «40 anni di malintesi» con il regime del colonnello Gheddafi. Il conten­zioso ha avuto tappe dolorose, come l'e­spulsione di oltre 20mila connazionali da Tripoli e l'esproprio dei loro beni (caso non toccato dall'intesa, con le conseguenti, vi­brate proteste degli interessati). Oggi il tema caldo è quello dell'immigrazione verso le nostre coste di migliaia di persone, vittime in gran parte di una tratta senza scrupoli sulla quale si è sempre sospettato, con qual­che fondamento, lo stesso Gheddafi strin­gesse o allentasse la morsa per convincere le nostre autorità a chiudere il contenzioso. Le ultime tragedie nel canale di Sicilia, con decine e decine di annegati, non possono che far salutare positivamente l'avvio del già concordato pattugliamento congiunto delle rotte interessate, per scoraggiare le partenze e, si auspica, evitare altri naufra­gi senza soccorsi. «Combatteremo insieme contro i mercanti di schiavi», ha detto Sil­vio Berlusconi. E c'è da credere che, incas­sato il successo diplomatico e ottenuto il ri­sarcimento, il governo libico si impegnerà nel contrasto degli scafisti criminali. Ciò che desta interrogativi sono le modalità con cui il giro di vite verrà compiuto. Il flusso di coloro che cercano fortuna in Europa è am­pio e destinato a crescere. Dall'Africa sub­sahariana giungono sulle coste meridio­nali del Mediterraneo e di lì tentano l'av­venturosa traversata. Se non potranno sal­pare, quale sarà il loro destino in Libia? Sa­ranno espulsi o rimpatriati in modi rispet­tosi dei minimi standard umanitari? E alle frontiere sud come verranno bloccati o re­spinti? Non vorremmo che le vittime del ma­re si trasformassero, nel silenzio e lontano da ogni sguardo, in vittime del deserto.
Basterebbe, forse, che osservatori italiani avessero accesso a tutte le zone critiche, in attesa che il nuovo corso dissuada gli emi­granti e, inevitabilmente, li porti a cercare nuove vie. Sempre che la piccola economia che s'è creata nei luoghi di transito non si trasformi in un altro ostacolo al rigore dei controlli e degli sbarramenti. Anche per questo la pratica degli accordi bilaterali do­vrebbe essere estesa dalla Ue a tutti gli Sta­ti rivieraschi, con un aumento della coo­perazione allo sviluppo, per dare corpo a u­na politica davvero solidale ed efficace che cerchi di governare il fenomeno degli spo­stamenti di massa dovuti alla povertà.
Va infine ricordato che la stabilizzazione, si spera definitiva, dei rapporti tra Roma e Tri­poli dovrebbe aprire le porte alle nostre im­prese e darci accesso sicuro alle riserve e­nergetiche di cui è ricco il sottosuolo di quello che improvvidamente venne defi­nito «uno scatolone di sabbia». Un ele­mento geopolitico da considerare nel con­testo di un raffreddamento dei rapporti con la Russia, primo fornitore di gas e petrolio della Ue. Resta solo discutibile la conces­sione simbolica di siglare l'intesa nell'an­niversario del golpe militare che 39 anni fa portò al potere un Gheddafi per decenni sponsor del terrorismo e ancor oggi non certo campione di democrazia interna.