condivido parecchio di quest'articolo. e l'idea effettivamente mi ronza in testa da tempo.
un secondo giro di ruota: già una volta dopo il tempo dei grandi imperi (asburgico, britannico, etc.) i nazionalismi frammentarono, tra rivendicazioni, violenze (e una guerra mondiale) l'assetto del pianeta: la capacità di tenere insieme popoli e razze non reggeva -militarmente- più.
Altri due imperi (sovietico e statunitense) sembravano aver definitivamente mandato in soffitta l'idea di popolo o religione come concetti forti e sufficiementemente identitari. Oltre alla capacità di controllo militare, si erano affermate ormai altre ideologie ben più forti: la concezione di classe o alternativamente quella liberale bastavano a spiegare adeguatamente l'uomo. E quando il muro venne giù -pur da una parte sola- era ormai l'economia e la direzione delle cose ad non concepire altre possibilità: un mondo globalizzato, inevitabilmente lanciato vs l'espansione delle democrazie (what else?), in cui l'orizzonte politco era giusto demandare a organismi sovranazionali sempre più influenti di presiedere al traffico, per far circolare beni e persone. altro non serve, nè è dato immaginare in lontananza.
e invece, in un soffio: l'identarismo religioso, il conflitto di civiltà, i nazionalismi, i secessionismi. soprattutto a riempire i buchi lasciati da ideologie ormai andate. e forse anche richiamati proprio dalla frequenza, dalla facilità degli incontri, dei contatti, delle relazioni tra persone e popoli diversi. (tanto per smentire chi pensa che la storia si possa spiegare giusto con una categoria: solo conflitto di classe, o geopolitico, o religioso, o nazionalistico. ci sono stati, e ci saranno tutti, non ci facciamo mancare niente, anche perchè è piuttosto probabile che l'uomo sia lupo all'altro uomo).
in conclusione. pare che la complessità sia il segno dei tempi: ed infatti moltissimo si sovrappone e coesiste: integralismo e secolarismo, particolarismi e internazionalizzazione, tolleranza e insofferenze, pacificazione e rombo dei bombardieri. ma sono tendenzialmente pessimista per il futuro (se inteso come equilibrio costante), e ritengo che l'integrazione culturale e le migrazioni (per restare sul professionale) siano cosa ben più delicata e insidiosa di quanto possa ora apparire...
Il nazionalismo autoritario di Putin
di Angelo Panebianco
Le due grandi dottrine che più hanno contribuito a forgiare negli ultimi secoli la «mentalità» dell'uomo occidentale, il liberalismo (ma ciò vale soprattutto per la variante europeo-continentale) e il socialismo, hanno sempre condiviso la difficoltà a fare i conti con le grandi forze storiche rappresentate dalla religione e dal nazionalismo. A lungo le hanno erroneamente concepite come manifestazioni di irrazionalità destinate prima o poi a spegnersi in ragione dell'avanzata della secolarizzazione e della trasformazione dei rapporti politici, economici e civili.
L'osservazione della realtà sembrava confermare le indicazioni delle dottrine. Con la fine della guerra fredda e la scomparsa del comunismo le forze storiche della religione e del nazionalismo si sono rianimate. E hanno preso in contropiede il mondo occidentale. Basti ricordare la sorpresa con cui l'Occidente ha accolto il risveglio dell'islam e la sfida dell'integralismo islamico. Mancavano, prima di tutto, le categorie necessarie per «pensare» quanto stava accadendo. Anche il caso del nazionalismo presenta aspetti inediti. Nel XX secolo esso ha per lo più operato in simbiosi con le ideologie secolari, camuffandosi, nascondendosi dietro di esse: come nel caso dei Paesi comunisti o dei movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Con la fine del secolo dominato dal conflitto fra ideologie secolari universaliste, il nazionalismo è diventato per molti regimi autoritari l'unica ideologia possibile, il principale cemento simbolico del potere. E anche questo sorprende e disorienta tanti occidentali.
Non soltanto la nazione resta l'unico bene-rifugio possibile per le minoranze che si ritengono oppresse. Soprattutto, il nazionalismo, cadute quelle ideologie che abbagliarono tanti nello scorso secolo, è ora il solo «ismo» (quando non risulti utilizzabile la religione) che possa legittimare i nuovi costruttori di imperi. Insieme alla promessa di un futuro benessere economico per tutti i sudditi il nazionalismo è un'importante base di sostegno dei regimi autoritari o semi-autoritari che reggono le sorti delle risorgenti potenze. Ma ciò crea gravi problemi a tutto il mondo circostante. Soprattutto, li crea alle democrazie liberali occidentali: come comportarsi con le grandi potenze autoritario- nazionaliste? Poiché è evidente che i rapporti fra gli Stati sono condizionati anche (non solo, ma anche) dalla natura dei loro regimi politici interni e delle ideologie che li legittimano. Sicuramente sbaglia chi riduce la politica internazionale a una semplice questione di confronto fra democrazie liberali e autocrazie.
Questo errore impedisce, tra l'altro, di vedere il fatto che le stesse democrazie praticano, quando possono, la politica di potenza, difendono aree di influenza, eccetera. Ma, al tempo stesso, si può constatare come la politica estera degli Stati sia potentemente condizionata da regimi, culture politiche e ideologie. La principale ragione per cui, ad esempio, la bomba atomica israeliana non è mai stata concepita come un'arma di offesa contro i vicini ostili ma solo come uno strumento di estrema difesa nel caso in cui Israele dovesse un giorno trovarsi a rischio di distruzione totale ha molto a che fare con la natura del regime politico israeliano (una democrazia). Analogamente, il mondo avrebbe ottime ragione di temere l'atomica pachistana il giorno in cui prendessero il potere in Pakistan gli estremisti islamici. Fino a qualche anno fa, noi occidentali non avevamo messo in conto la possibilità di un rapido ritorno della Russia alla politica di potenza. E non solo perché la Russia era stata messa in ginocchio dal crollo dell'impero comunista. Anche perché, nonostante l'ascesa al potere di Putin nel 1999 fosse stata fin da subito accompagnata da qualche segnale poco rassicurante, pensavamo comunque che, col tempo e tutti i travagli del caso, la Russia avrebbe continuato ad avanzare sulla strada della democratizzazione.
Il che portava a immaginare un futuro ove una Russia democratica ed economicamente risanata avrebbe occupato stabilmente un posto di rilievo in un sistema di cooperazione integrato russo-europeo-americano. La democratizzazione della Russia sarebbe stata per tutti (anche per i Paesi liberatisi dal giogo sovietico) la decisiva garanzia, il modo per assicurare e perpetuare rapporti di solida fiducia fra tutti gli Stati coinvolti. L'accordo di Pratica di Mare (2002) fra occidentali e russi fu in qualche modo il canto del cigno di questa visione. Ma, complice la guerra cecena, il processo di democratizzazione, a un certo punto, si è interrotto. Putin ha stabilizzato la Russia ma ne ha fatto una democrazia autoritaria. E ai cambiamenti interni sono corrisposti cambiamenti di atteggiamento verso l'esterno. Una democrazia autoritaria (per giunta rancorosa verso il mondo in quanto orfana di un impero) necessita del nazionalismo per legittimarsi e questo schiude la strada ad atteggiamenti vieppiù aggressivi. Ciò apre per tutti noi un terribile dilemma. Perché, da un lato, è indubitabile che senza mantenere canali aperti con la Russia e senza ricercarne la collaborazione su tutti i dossier aperti (a cominciare da quelli mediorientali) non c'è possibilità di governare le crisi ma solo di vederle sempre più aggravate.
Ma, dall'altro lato, è difficile (speriamo, non impossibile) impedire che il logorato filo della collaborazione si spezzi se la Russia, forse sopravalutando le proprie forze, dovesse continuare a comunicarci (come ci comunicano da una settimana a questa parte le truppe tuttora presenti sul territorio georgiano) che a contare è solo la sua volontà e non gli accordi sottoscritti. La cosa peggiore che potrebbe fare l'Occidente nei futuri rapporti con la Russia è dividersi. I nazionalisti russi al potere lo accoglierebbero come un segno di debolezza e acquisterebbero ancora più baldanza. Ci perderemmo noi, ci perderebbero i popoli che si sono liberati dal dominio russo, e anche quei russi, molti o pochi che siano, che sperano, per il loro futuro, in qualcosa di meglio del nazionalismo autoritario.
www.corriere.it/editoriali/08_agosto_24/il_nazionalismo_autoritario_di_putin_b4df2b16-7189-11dd-8174-00144f02aabc.shtml
un secondo giro di ruota: già una volta dopo il tempo dei grandi imperi (asburgico, britannico, etc.) i nazionalismi frammentarono, tra rivendicazioni, violenze (e una guerra mondiale) l'assetto del pianeta: la capacità di tenere insieme popoli e razze non reggeva -militarmente- più.
Altri due imperi (sovietico e statunitense) sembravano aver definitivamente mandato in soffitta l'idea di popolo o religione come concetti forti e sufficiementemente identitari. Oltre alla capacità di controllo militare, si erano affermate ormai altre ideologie ben più forti: la concezione di classe o alternativamente quella liberale bastavano a spiegare adeguatamente l'uomo. E quando il muro venne giù -pur da una parte sola- era ormai l'economia e la direzione delle cose ad non concepire altre possibilità: un mondo globalizzato, inevitabilmente lanciato vs l'espansione delle democrazie (what else?), in cui l'orizzonte politco era giusto demandare a organismi sovranazionali sempre più influenti di presiedere al traffico, per far circolare beni e persone. altro non serve, nè è dato immaginare in lontananza.
e invece, in un soffio: l'identarismo religioso, il conflitto di civiltà, i nazionalismi, i secessionismi. soprattutto a riempire i buchi lasciati da ideologie ormai andate. e forse anche richiamati proprio dalla frequenza, dalla facilità degli incontri, dei contatti, delle relazioni tra persone e popoli diversi. (tanto per smentire chi pensa che la storia si possa spiegare giusto con una categoria: solo conflitto di classe, o geopolitico, o religioso, o nazionalistico. ci sono stati, e ci saranno tutti, non ci facciamo mancare niente, anche perchè è piuttosto probabile che l'uomo sia lupo all'altro uomo).
in conclusione. pare che la complessità sia il segno dei tempi: ed infatti moltissimo si sovrappone e coesiste: integralismo e secolarismo, particolarismi e internazionalizzazione, tolleranza e insofferenze, pacificazione e rombo dei bombardieri. ma sono tendenzialmente pessimista per il futuro (se inteso come equilibrio costante), e ritengo che l'integrazione culturale e le migrazioni (per restare sul professionale) siano cosa ben più delicata e insidiosa di quanto possa ora apparire...
Il nazionalismo autoritario di Putin
di Angelo Panebianco
Le due grandi dottrine che più hanno contribuito a forgiare negli ultimi secoli la «mentalità» dell'uomo occidentale, il liberalismo (ma ciò vale soprattutto per la variante europeo-continentale) e il socialismo, hanno sempre condiviso la difficoltà a fare i conti con le grandi forze storiche rappresentate dalla religione e dal nazionalismo. A lungo le hanno erroneamente concepite come manifestazioni di irrazionalità destinate prima o poi a spegnersi in ragione dell'avanzata della secolarizzazione e della trasformazione dei rapporti politici, economici e civili.
L'osservazione della realtà sembrava confermare le indicazioni delle dottrine. Con la fine della guerra fredda e la scomparsa del comunismo le forze storiche della religione e del nazionalismo si sono rianimate. E hanno preso in contropiede il mondo occidentale. Basti ricordare la sorpresa con cui l'Occidente ha accolto il risveglio dell'islam e la sfida dell'integralismo islamico. Mancavano, prima di tutto, le categorie necessarie per «pensare» quanto stava accadendo. Anche il caso del nazionalismo presenta aspetti inediti. Nel XX secolo esso ha per lo più operato in simbiosi con le ideologie secolari, camuffandosi, nascondendosi dietro di esse: come nel caso dei Paesi comunisti o dei movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Con la fine del secolo dominato dal conflitto fra ideologie secolari universaliste, il nazionalismo è diventato per molti regimi autoritari l'unica ideologia possibile, il principale cemento simbolico del potere. E anche questo sorprende e disorienta tanti occidentali.
Non soltanto la nazione resta l'unico bene-rifugio possibile per le minoranze che si ritengono oppresse. Soprattutto, il nazionalismo, cadute quelle ideologie che abbagliarono tanti nello scorso secolo, è ora il solo «ismo» (quando non risulti utilizzabile la religione) che possa legittimare i nuovi costruttori di imperi. Insieme alla promessa di un futuro benessere economico per tutti i sudditi il nazionalismo è un'importante base di sostegno dei regimi autoritari o semi-autoritari che reggono le sorti delle risorgenti potenze. Ma ciò crea gravi problemi a tutto il mondo circostante. Soprattutto, li crea alle democrazie liberali occidentali: come comportarsi con le grandi potenze autoritario- nazionaliste? Poiché è evidente che i rapporti fra gli Stati sono condizionati anche (non solo, ma anche) dalla natura dei loro regimi politici interni e delle ideologie che li legittimano. Sicuramente sbaglia chi riduce la politica internazionale a una semplice questione di confronto fra democrazie liberali e autocrazie.
Questo errore impedisce, tra l'altro, di vedere il fatto che le stesse democrazie praticano, quando possono, la politica di potenza, difendono aree di influenza, eccetera. Ma, al tempo stesso, si può constatare come la politica estera degli Stati sia potentemente condizionata da regimi, culture politiche e ideologie. La principale ragione per cui, ad esempio, la bomba atomica israeliana non è mai stata concepita come un'arma di offesa contro i vicini ostili ma solo come uno strumento di estrema difesa nel caso in cui Israele dovesse un giorno trovarsi a rischio di distruzione totale ha molto a che fare con la natura del regime politico israeliano (una democrazia). Analogamente, il mondo avrebbe ottime ragione di temere l'atomica pachistana il giorno in cui prendessero il potere in Pakistan gli estremisti islamici. Fino a qualche anno fa, noi occidentali non avevamo messo in conto la possibilità di un rapido ritorno della Russia alla politica di potenza. E non solo perché la Russia era stata messa in ginocchio dal crollo dell'impero comunista. Anche perché, nonostante l'ascesa al potere di Putin nel 1999 fosse stata fin da subito accompagnata da qualche segnale poco rassicurante, pensavamo comunque che, col tempo e tutti i travagli del caso, la Russia avrebbe continuato ad avanzare sulla strada della democratizzazione.
Il che portava a immaginare un futuro ove una Russia democratica ed economicamente risanata avrebbe occupato stabilmente un posto di rilievo in un sistema di cooperazione integrato russo-europeo-americano. La democratizzazione della Russia sarebbe stata per tutti (anche per i Paesi liberatisi dal giogo sovietico) la decisiva garanzia, il modo per assicurare e perpetuare rapporti di solida fiducia fra tutti gli Stati coinvolti. L'accordo di Pratica di Mare (2002) fra occidentali e russi fu in qualche modo il canto del cigno di questa visione. Ma, complice la guerra cecena, il processo di democratizzazione, a un certo punto, si è interrotto. Putin ha stabilizzato la Russia ma ne ha fatto una democrazia autoritaria. E ai cambiamenti interni sono corrisposti cambiamenti di atteggiamento verso l'esterno. Una democrazia autoritaria (per giunta rancorosa verso il mondo in quanto orfana di un impero) necessita del nazionalismo per legittimarsi e questo schiude la strada ad atteggiamenti vieppiù aggressivi. Ciò apre per tutti noi un terribile dilemma. Perché, da un lato, è indubitabile che senza mantenere canali aperti con la Russia e senza ricercarne la collaborazione su tutti i dossier aperti (a cominciare da quelli mediorientali) non c'è possibilità di governare le crisi ma solo di vederle sempre più aggravate.
Ma, dall'altro lato, è difficile (speriamo, non impossibile) impedire che il logorato filo della collaborazione si spezzi se la Russia, forse sopravalutando le proprie forze, dovesse continuare a comunicarci (come ci comunicano da una settimana a questa parte le truppe tuttora presenti sul territorio georgiano) che a contare è solo la sua volontà e non gli accordi sottoscritti. La cosa peggiore che potrebbe fare l'Occidente nei futuri rapporti con la Russia è dividersi. I nazionalisti russi al potere lo accoglierebbero come un segno di debolezza e acquisterebbero ancora più baldanza. Ci perderemmo noi, ci perderebbero i popoli che si sono liberati dal dominio russo, e anche quei russi, molti o pochi che siano, che sperano, per il loro futuro, in qualcosa di meglio del nazionalismo autoritario.
www.corriere.it/editoriali/08_agosto_24/il_nazionalismo_autoritario_di_putin_b4df2b16-7189-11dd-8174-00144f02aabc.shtml
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