3 post per tracciare un quadro contemporaneo dell'immigrazione a Roma.
Cinesi schiavizzati a Roma, sequestrati sei laboratori clandestini: 12 persone fermate
ROMA (5 luglio) - Lavoravano anche 17 ore al giorno chiusi in scantinati con piccole finestre, senza aria né luce, con accanto i figli piccolissimi, costretti a sopportare condizioni disumane. Per questo la polizia municipale di Roma ha sequestrato questa mattina sei laboratori cinesi di sartoria. Dodici persone sono state fermate, mentre i titolari delle attività sono stati denunciati anche per sfruttamento di manodopera clandestina.
I "lavoratori-schiavi" erano una sessantina, donne e uomini cinesi tra i 24 e i 30 anni, provenienti dalla Regione dello Zhejiang. Sono stati trovati dai vigili a lavorare con i figli di 2 e 3 anni accanto, dentro 16 scantinati nei quartieri periferici della Borghesiana, Finocchio, Torre Angela e Colle Prenestino. In tutto gli agenti dell'VIII Gruppo della polizia municipale della capitale hanno controllato 16 laboratori: i sigilli sono scattati per sei. I dipendenti venivano fatti lavorare nei seminterrati dalle 9 del mattino fino alle due-tre di notte, per 4-500 euro al mese. Nelle sartorie quintali di stoffe sui pavimenti, che impedivano l'uscita in caso di incendio. Ed era molto probabilmente proprio negli scantinati che i lavoratori vivevano con la propria famiglia; sono state infatti trovate brande, resti di cibo e oggetti per l'igiene intima.
Sequestrati 68mila prodotti cinesi contraffati nel quartiere Esquilino
I numeri:
- sono oltre 400.000 gli immigrati nell'area di Roma, più della metà donne, più della metù europei
- rappresentano più del 10% del totale degli occupati
- ed oltre il 6 % del totale degli studenti
- oggi all'Esquilino scoperti 12 cinesi che lavorano in condizioni schiavili e sequestrati 68.000 prodotti cinesi contraffatti
- 800 ambulanti, anche molesti, occupano le vie del centro storico.
Sicuramente ci sono problemi da risolvere.
Probabilmente si notano -e infastidiscono- di più gli ambulanti per strada, che le badanti nelle case.
Verosimilmente fa più rumore un albero che cade...
- sono oltre 400.000 gli immigrati nell'area di Roma, più della metà donne, più della metù europei
- rappresentano più del 10% del totale degli occupati
- ed oltre il 6 % del totale degli studenti
- oggi all'Esquilino scoperti 12 cinesi che lavorano in condizioni schiavili e sequestrati 68.000 prodotti cinesi contraffatti
- 800 ambulanti, anche molesti, occupano le vie del centro storico.
Sicuramente ci sono problemi da risolvere.
Probabilmente si notano -e infastidiscono- di più gli ambulanti per strada, che le badanti nelle case.
Verosimilmente fa più rumore un albero che cade...
articoli da Messagero del 5 luglio 08:
Cinesi schiavizzati a Roma, sequestrati sei laboratori clandestini: 12 persone fermate
ROMA (5 luglio) - Lavoravano anche 17 ore al giorno chiusi in scantinati con piccole finestre, senza aria né luce, con accanto i figli piccolissimi, costretti a sopportare condizioni disumane. Per questo la polizia municipale di Roma ha sequestrato questa mattina sei laboratori cinesi di sartoria. Dodici persone sono state fermate, mentre i titolari delle attività sono stati denunciati anche per sfruttamento di manodopera clandestina.
I "lavoratori-schiavi" erano una sessantina, donne e uomini cinesi tra i 24 e i 30 anni, provenienti dalla Regione dello Zhejiang. Sono stati trovati dai vigili a lavorare con i figli di 2 e 3 anni accanto, dentro 16 scantinati nei quartieri periferici della Borghesiana, Finocchio, Torre Angela e Colle Prenestino. In tutto gli agenti dell'VIII Gruppo della polizia municipale della capitale hanno controllato 16 laboratori: i sigilli sono scattati per sei. I dipendenti venivano fatti lavorare nei seminterrati dalle 9 del mattino fino alle due-tre di notte, per 4-500 euro al mese. Nelle sartorie quintali di stoffe sui pavimenti, che impedivano l'uscita in caso di incendio. Ed era molto probabilmente proprio negli scantinati che i lavoratori vivevano con la propria famiglia; sono state infatti trovate brande, resti di cibo e oggetti per l'igiene intima.
Sequestrati 68mila prodotti cinesi contraffati nel quartiere Esquilino
ROMA (5 luglio) - Oltre 68 mila prodotti contraffatti provenienti dalla Cina sequestrati e due cittadini cinesi denunciati. È il bilancio dell'operazione di lotta alla contraffazione condotta dal Comando provinciale della guardia di Finanza di Roma nel quartiere Esquilino.
La merce era stata nascosta in un deposito nella periferia della capitale: da qui si fornivano gli extracomunitari, che la rivendevano lungo le via della capitale e in un negozio nel quartiere Esquilino, al cui interno è stato scoperto un vero e in proprio campionario del falso. Sequestrate migliaia di collane, bracciali e orecchini che riportavano i marchi delle griffe più in voga.
L'operazione ha preso il via dopo numerosi fermi di cittadini extracomunitari irregolari e dediti alla vendita di prodotti contraffatti: seguendone gli spostamenti i baschi verdi hanno scoperto i depositi della merce. Le fiamme gialle sono da tempo impegnate non solo nel contrasto della vendita lungo le strade della capitale, ma soprattutto nell'attività di intelligence e investigazione per la ricostruzione della filiera del falso (opifici di produzione, magazzini di deposito), nonché nell'individuazione dei patrimoni accumulati dalle organizzazioni criminali frutto delle attività illecite.
La merce era stata nascosta in un deposito nella periferia della capitale: da qui si fornivano gli extracomunitari, che la rivendevano lungo le via della capitale e in un negozio nel quartiere Esquilino, al cui interno è stato scoperto un vero e in proprio campionario del falso. Sequestrate migliaia di collane, bracciali e orecchini che riportavano i marchi delle griffe più in voga.
L'operazione ha preso il via dopo numerosi fermi di cittadini extracomunitari irregolari e dediti alla vendita di prodotti contraffatti: seguendone gli spostamenti i baschi verdi hanno scoperto i depositi della merce. Le fiamme gialle sono da tempo impegnate non solo nel contrasto della vendita lungo le strade della capitale, ma soprattutto nell'attività di intelligence e investigazione per la ricostruzione della filiera del falso (opifici di produzione, magazzini di deposito), nonché nell'individuazione dei patrimoni accumulati dalle organizzazioni criminali frutto delle attività illecite.
L'assedio di 800 ambulanti
Piazza di Spagna, Fontana di Trevi, piazza Navona, i Fori Imperiali, via della Conciliazione, Castel Sant'Angelo: l'esercito dei venditori abusivi che giorno e sera assedia in pianta stabile il centro storico della Capitale conta almeno ottocento unità, pronte a spartirsi ogni singolo metro quadrato di strade e marciapiedi. A dividersi clienti, turisti, merci e chincaglierie da vendere: dalle borse falso-griffate ai portafogli in pelle; dalle collanine agli occhiali da sole; dalle rose agli ombrellini parasole. Poi ci sono quelli delle periferie: altre centinaia che occupano i marciapiedi di via Appia, via Tiburtina e via Tuscolana, che mandano su tutte le furie i negozianti regolari che pagano le tasse per l'occupazione del suolo pubblico e l'esposizione dell'insegna e che vorrebbero i marciapiedi liberi per fare passeggiare i loro clienti.
Non c'è quartiere o rione che sia risparmiato. Non hanno paura di nulla, i sequestri di merce sono già messi nel conto, anche se la linea dura del Comune è già in rodaggio con blitz preventivi del nucleo speciale dei vigili che fermano i venditori appena scendono da bus e metro, incursioni delle fiamme gialle nei magazzini di merce "taroccata" alle porte di Roma e il prossimo varo dell'ordinanza anti-borsoni che vieta l'ingresso in centro storico delle maxi borse con cui i venditori si portano dietro la mercanzia.
Neanche la monumentale via Sacra è immune dall'assedio: gli irregolari sono tornati anche lì. E ieri, si vendeva di tutto. Eccola la fotografia della Città Eterna stretta nella morsa degli ambulanti abusivi che negli anni, col permessivismo di ieri, si sono impossessati di vicoli, strade, piazze e marciapiedi. Metro dopo metro, adocchiando di volta in volta le posizioni più appetibili, fino a sfidare apertamente con la loro presenza lo sguardo, troppo spesso rassegnato, di vigili e forze dell'ordine.
Agli asiatici la vendita di braccialetti, orecchini, collanine, argento indiano, fermacapelli e occhiali da sole; ai nordafricani il commercio di pelletteria e oggetti in legno. Fino a l'altra sera, quando a Fontana di Trevi è scoppiata la maxirissa, la suddivisione sembrava funzionare. Poi i bengalesi hanno cominciato a inserirsi nella vendita delle borse, a occupare i posti lasciati dagli africani che nella Capitale arrivano in massa soprattutto nei mesi più turistici, e la scintilla è esplosa.
Una volta c'erano i marocchini, poi rimpiazzati dai senegalesi, arrivati soprattutto alla metà degli anni '90. Roma città aperta fino a oggi ha accolto tutti. E ora si dividono la piazza con cingalesi e bengalesi. Asiatici e africani, indifferentemente, li trovi mattina o pomeriggio che fanno la "spesa" nei negozi dei cinesi e nei bazar e magazzini di merci thailandesi e indiane attorno a piazza Vittorio, il suk di Roma. Riempiono i loro borsoni, i grandi sacchi di plastica che si porteranno dietro fin nei luoghi scelti per fare la giornata, forse per gli ultimi giorni in vista del varo dell'ordinanza anti-borsoni che vieta l'ingresso delle maxi-buste in centro. Salgono sui tram, caricano i portabagagli di vecchie auto, raccontano: «Un giorno possiamo guadagnare qualche spicciolo, altri arrivare a trenta, quaranta euro. In media racimoliamo un migliaio di euro al mese - aggiungono - a cui vanno tolti circa 300 euro, perché calcoliamo un paio di sequestri di merce al mese. C'è l'affitto da pagare: un 150 euro a testa, qualche spesa per campare e tutto il resto va alle famiglie rimaste a casa». Ad avere un colloquio con l'amministrazione comunale ci aveva provato anche l'associazione dei lavoratori senegalesi a Roma. Le trattative col Campidoglio risalgono al '97. «Undici anni in cui ci erano stati promessi aiuti, sostegni, interventi - afferma Kede Kekh, il presidente - Molti dei venditori senegalesi hanno un regolare permesso di soggiorno ma non riescono a trovare lavoro. Avevamo chiesto aiuto per formare delle cooperative di immigrati che potessero lavorare con il Comune, ma per noi non c'è stato posto». Anche l'idea di un mercato multietnico è rimasta al palo. Kede ha inviato una lettera al sindaco Alemanno, un appello, sostiene «per affrontare con onestà e sincerità il problema in un tavolo comune».
Non c'è quartiere o rione che sia risparmiato. Non hanno paura di nulla, i sequestri di merce sono già messi nel conto, anche se la linea dura del Comune è già in rodaggio con blitz preventivi del nucleo speciale dei vigili che fermano i venditori appena scendono da bus e metro, incursioni delle fiamme gialle nei magazzini di merce "taroccata" alle porte di Roma e il prossimo varo dell'ordinanza anti-borsoni che vieta l'ingresso in centro storico delle maxi borse con cui i venditori si portano dietro la mercanzia.
Neanche la monumentale via Sacra è immune dall'assedio: gli irregolari sono tornati anche lì. E ieri, si vendeva di tutto. Eccola la fotografia della Città Eterna stretta nella morsa degli ambulanti abusivi che negli anni, col permessivismo di ieri, si sono impossessati di vicoli, strade, piazze e marciapiedi. Metro dopo metro, adocchiando di volta in volta le posizioni più appetibili, fino a sfidare apertamente con la loro presenza lo sguardo, troppo spesso rassegnato, di vigili e forze dell'ordine.
Agli asiatici la vendita di braccialetti, orecchini, collanine, argento indiano, fermacapelli e occhiali da sole; ai nordafricani il commercio di pelletteria e oggetti in legno. Fino a l'altra sera, quando a Fontana di Trevi è scoppiata la maxirissa, la suddivisione sembrava funzionare. Poi i bengalesi hanno cominciato a inserirsi nella vendita delle borse, a occupare i posti lasciati dagli africani che nella Capitale arrivano in massa soprattutto nei mesi più turistici, e la scintilla è esplosa.
Una volta c'erano i marocchini, poi rimpiazzati dai senegalesi, arrivati soprattutto alla metà degli anni '90. Roma città aperta fino a oggi ha accolto tutti. E ora si dividono la piazza con cingalesi e bengalesi. Asiatici e africani, indifferentemente, li trovi mattina o pomeriggio che fanno la "spesa" nei negozi dei cinesi e nei bazar e magazzini di merci thailandesi e indiane attorno a piazza Vittorio, il suk di Roma. Riempiono i loro borsoni, i grandi sacchi di plastica che si porteranno dietro fin nei luoghi scelti per fare la giornata, forse per gli ultimi giorni in vista del varo dell'ordinanza anti-borsoni che vieta l'ingresso delle maxi-buste in centro. Salgono sui tram, caricano i portabagagli di vecchie auto, raccontano: «Un giorno possiamo guadagnare qualche spicciolo, altri arrivare a trenta, quaranta euro. In media racimoliamo un migliaio di euro al mese - aggiungono - a cui vanno tolti circa 300 euro, perché calcoliamo un paio di sequestri di merce al mese. C'è l'affitto da pagare: un 150 euro a testa, qualche spesa per campare e tutto il resto va alle famiglie rimaste a casa». Ad avere un colloquio con l'amministrazione comunale ci aveva provato anche l'associazione dei lavoratori senegalesi a Roma. Le trattative col Campidoglio risalgono al '97. «Undici anni in cui ci erano stati promessi aiuti, sostegni, interventi - afferma Kede Kekh, il presidente - Molti dei venditori senegalesi hanno un regolare permesso di soggiorno ma non riescono a trovare lavoro. Avevamo chiesto aiuto per formare delle cooperative di immigrati che potessero lavorare con il Comune, ma per noi non c'è stato posto». Anche l'idea di un mercato multietnico è rimasta al palo. Kede ha inviato una lettera al sindaco Alemanno, un appello, sostiene «per affrontare con onestà e sincerità il problema in un tavolo comune».
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