Con gli occhi a Pechino
di Piero Ostellino
Negli anni Sessanta del secolo scorso, poco più di quaranta anni fa, la Cina di Mao e Lin-Piao — che si proponeva come centro propulsore della rivoluzione comunista mondiale — era ancora un problema politico e militare per le democrazie liberali, un antagonista ideologico per il capitalismo, un esempio per il Terzo Mondo. Oggi è un partner internazionale affidabile per il mondo libero, la prima potenza esportatrice con un avanzo commerciale di oltre 300 miliardi di dollari l'anno, un concorrente per i Paesi industrializzati, un'opportunità per quelli emergenti.
A produrre il miracolo sono state — per dirla con la Banca Mondiale— «la libertà e capacità dei singoli nonché delle aziende di intraprendere transazioni economiche volontarie con gli abitanti di altri Paesi». In una parola: il mercato. La Cina è diventata quella che è perché ha messo la sua storica burocrazia al servizio di uno sviluppo capitalistico accelerato. Nel Settecento, il suo Pil era pari al 22,3 per cento di quello mondiale; oggi, la Cina è la quarta economia del mondo e un terzo della sua popolazione, di un miliardo e 300 milioni, è uscita dalla povertà. Nell' Ottocento, le sue città erano state divise in «concessioni », controllate dalle grandi potenze colonizzatrici; oggi, neppure Hong Kong è più una colonia britannica. Per quasi tutto il Novecento, le popolazioni urbane cinesi erano vissute in piccole abitazioni uni-familiari, col gabinetto in comune, di quartiere; oggi, vivono in appartamenti dotati di servizi igienici e in edifici che in qualche caso somigliano ai grattacieli di Chicago.
La globalizzazione non solo è la manifestazione più larga della forza dell'economia ma risponde anche a un'esigenza di libertà dell'animo umano. Ora, però, essa pone i soggetti economici dei Paesi ricchi di fronte a nuove sfide e a nuovi pericoli. Il lavoratore, sindacalmente protetto, entra in concorrenza con l'idraulico polacco, che pratica prezzi più bassi; il finanziere deve confrontarsi con l'investitore privato lontano, che gode di condizioni di finanziamento più favorevoli fissate da una Banca centrale magari non indipendente dal potere politico; il produttore ha il problema di come conquistare un consumatore i cui gusti sono profondamente diversi dai suoi; l'imprenditore gareggia con un suo omologo (cinese, indiano, brasiliano) per il quale il costo del lavoro è decisamente inferiore.
Ma con questa Cina non siamo obbligati solo a fare i conti, dobbiamo anche tifare perché la crisi non comprometta il processo di modernizzazione avviato negli anni scorsi. Così annotiamo con soddisfazione che il governo di Pechino ha varato il più ampio pacchetto di rilancio dell'economia, pari al 12% del suo Pil. Siamo portati a sottolineare come al recente G20 di Londra abbia giocato un ruolo decisivo per il successo del summit. E, infine, registriamo con un sospiro di sollievo la dichiarazione del premier Wen Jiabao che ci fa sapere come «le cose stiano andando meglio del previsto» e come l'obiettivo di riprendere a crescere almeno all'8% del Pil l'anno sia a portata di mano. La Cina è vicinissima
www.corriere.it/editoriali/09_aprile_21/con_gli_occhi_a_pechino_editoriale_piero_ostellino_1d284e4a-2e32-11de-8b9e-00144f02aabc.shtml
di Piero Ostellino
Negli anni Sessanta del secolo scorso, poco più di quaranta anni fa, la Cina di Mao e Lin-Piao — che si proponeva come centro propulsore della rivoluzione comunista mondiale — era ancora un problema politico e militare per le democrazie liberali, un antagonista ideologico per il capitalismo, un esempio per il Terzo Mondo. Oggi è un partner internazionale affidabile per il mondo libero, la prima potenza esportatrice con un avanzo commerciale di oltre 300 miliardi di dollari l'anno, un concorrente per i Paesi industrializzati, un'opportunità per quelli emergenti.
A produrre il miracolo sono state — per dirla con la Banca Mondiale— «la libertà e capacità dei singoli nonché delle aziende di intraprendere transazioni economiche volontarie con gli abitanti di altri Paesi». In una parola: il mercato. La Cina è diventata quella che è perché ha messo la sua storica burocrazia al servizio di uno sviluppo capitalistico accelerato. Nel Settecento, il suo Pil era pari al 22,3 per cento di quello mondiale; oggi, la Cina è la quarta economia del mondo e un terzo della sua popolazione, di un miliardo e 300 milioni, è uscita dalla povertà. Nell' Ottocento, le sue città erano state divise in «concessioni », controllate dalle grandi potenze colonizzatrici; oggi, neppure Hong Kong è più una colonia britannica. Per quasi tutto il Novecento, le popolazioni urbane cinesi erano vissute in piccole abitazioni uni-familiari, col gabinetto in comune, di quartiere; oggi, vivono in appartamenti dotati di servizi igienici e in edifici che in qualche caso somigliano ai grattacieli di Chicago.
La globalizzazione non solo è la manifestazione più larga della forza dell'economia ma risponde anche a un'esigenza di libertà dell'animo umano. Ora, però, essa pone i soggetti economici dei Paesi ricchi di fronte a nuove sfide e a nuovi pericoli. Il lavoratore, sindacalmente protetto, entra in concorrenza con l'idraulico polacco, che pratica prezzi più bassi; il finanziere deve confrontarsi con l'investitore privato lontano, che gode di condizioni di finanziamento più favorevoli fissate da una Banca centrale magari non indipendente dal potere politico; il produttore ha il problema di come conquistare un consumatore i cui gusti sono profondamente diversi dai suoi; l'imprenditore gareggia con un suo omologo (cinese, indiano, brasiliano) per il quale il costo del lavoro è decisamente inferiore.
Ma con questa Cina non siamo obbligati solo a fare i conti, dobbiamo anche tifare perché la crisi non comprometta il processo di modernizzazione avviato negli anni scorsi. Così annotiamo con soddisfazione che il governo di Pechino ha varato il più ampio pacchetto di rilancio dell'economia, pari al 12% del suo Pil. Siamo portati a sottolineare come al recente G20 di Londra abbia giocato un ruolo decisivo per il successo del summit. E, infine, registriamo con un sospiro di sollievo la dichiarazione del premier Wen Jiabao che ci fa sapere come «le cose stiano andando meglio del previsto» e come l'obiettivo di riprendere a crescere almeno all'8% del Pil l'anno sia a portata di mano. La Cina è vicinissima
www.corriere.it/editoriali/09_aprile_21/con_gli_occhi_a_pechino_editoriale_piero_ostellino_1d284e4a-2e32-11de-8b9e-00144f02aabc.shtml
Nessun commento:
Posta un commento