23/04/09

viCINissima

Con gli occhi a Pechino
di Piero Ostellino


Negli anni Ses­santa del secolo scorso, poco più di quaranta anni fa, la Cina di Mao e Lin-Piao — che si propo­neva come centro propul­sore della rivoluzione co­munista mondiale — era ancora un problema poli­tico e militare per le de­mocrazie liberali, un anta­gonista ideologico per il capitalismo, un esempio per il Terzo Mondo. Oggi è un partner internaziona­le affidabile per il mondo libero, la prima potenza esportatrice con un avan­zo commerciale di oltre 300 miliardi di dollari l'anno, un concorrente per i Paesi industrializza­ti, un'opportunità per quelli emergenti.
A produrre il miracolo sono state — per dirla con la Banca Mondiale— «la libertà e capacità dei singoli nonché delle aziende di intraprendere transazioni economiche volontarie con gli abitanti di altri Paesi». In una pa­rola: il mercato. La Cina è diventata quella che è per­ché ha messo la sua stori­ca burocrazia al servizio di uno sviluppo capitali­stico accelerato. Nel Sette­cento, il suo Pil era pari al 22,3 per cento di quello mondiale; oggi, la Cina è la quarta economia del mondo e un terzo della sua popolazione, di un miliardo e 300 milioni, è uscita dalla povertà. Nell' Ottocento, le sue città era­no state divise in «conces­sioni », controllate dalle grandi potenze colonizza­trici; oggi, neppure Hong Kong è più una colonia britannica. Per quasi tut­to il Novecento, le popola­zioni urbane cinesi erano vissute in piccole abitazio­ni uni-familiari, col gabi­netto in comune, di quar­tiere; oggi, vivono in ap­partamenti dotati di servi­zi igienici e in edifici che in qualche caso somiglia­no ai grattacieli di Chica­go.
La globalizzazione non solo è la manifestazione più larga della forza del­l'economia ma risponde anche a un'esigenza di li­bertà dell'animo umano. Ora, però, essa pone i sog­getti economici dei Paesi ricchi di fronte a nuove sfide e a nuovi pericoli. Il lavoratore, sindacalmen­te protetto, entra in con­correnza con l'idraulico polacco, che pratica prez­zi più bassi; il finanziere deve confrontarsi con l'in­vestitore privato lontano, che gode di condizioni di finanziamento più favore­voli fissate da una Banca centrale magari non indi­pendente dal potere poli­tico; il produttore ha il problema di come con­quistare un consumatore i cui gusti sono profonda­mente diversi dai suoi; l'imprenditore gareggia con un suo omologo (ci­nese, indiano, brasiliano) per il quale il costo del la­voro è decisamente infe­riore.
Ma con questa Cina non siamo obbligati solo a fare i conti, dobbiamo anche tifare perché la cri­si non comprometta il processo di modernizza­zione avviato negli anni scorsi. Così annotiamo con soddisfazione che il governo di Pechino ha va­rato il più ampio pacchet­to di rilancio dell'econo­mia, pari al 12% del suo Pil. Siamo portati a sotto­lineare come al recente G20 di Londra abbia gio­cato un ruolo decisivo per il successo del sum­mit. E, infine, registriamo con un sospiro di sollievo la dichiarazione del pre­mier Wen Jiabao che ci fa sapere come «le cose stia­no andando meglio del previsto» e come l'obietti­vo di riprendere a cresce­re almeno all'8% del Pil l'anno sia a portata di ma­no. La Cina è vicinissima

www.corriere.it/editoriali/09_aprile_21/con_gli_occhi_a_pechino_editoriale_piero_ostellino_1d284e4a-2e32-11de-8b9e-00144f02aabc.shtml

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