12/02/10

riformare, dopo Rosarno.

analisi e proposte da limes.

Italia e immigrazione: solo il bastone o anche la carota?

di Ravi Cannetta
Riflessioni dopo i fatti di Rosarno. Il nostro paese manifesta necessità di manodopera e circa il 10 per cento degli extracomunitari e’ nelle campagne. Perché non istituire un'agenzia per l'immigrazione responsabile dei flussi migratori, attraverso un coordinamento interministeriale?
I recenti fatti di Rosarno richiedono una seria riflessione sul nostro atteggiamento nei confronti dell’immigrazione. Capita spesso di leggere articoli sensazionalistici su emergenze immigrazione sulle nostre coste, ma e’ possibile che questo fenomeno venga sempre e solo affrontato come un’emergenza? Perché un paese come il nostro - culla di civiltà e ricco di risorse - non è in grado di mettere in atto una politica sull’immigrazione rispettosa dei diritti degli immigrati e condivisa dalle diverse parti politiche?

Senza prendere posizione sulle nostre scelte politiche ad oggi sembra ormai giunto il momento di affrontare questo tema con una prospettiva a lungo termine senza sottovalutare l’importanza del fenomeno. Degrado e sfruttamento sono da imputare alla scarsa attenzione alla regolamentazione del mercato del lavoro per gli immigrati che finisce per creare una sacca di manodopera in nero, spesso poco qualificata e soggetta a vere forme di sfruttamento da parte di organizzazioni criminali che approfittano dello status di clandestini per imporre condizioni di semi-schiavitù.

Paradossalmente tali scenari si ripropongono in molte
economie emergenti e in transizione del Sud-est asiatico e del Medio oriente, dove il motore di sviluppo e’ caratterizzato da enormi serbatoi di manodopera a basso costo, immigrati, spesso clandestini, sfruttati per mansioni di diversa natura. In queste realtà economiche, esistono veri e propri vuoti legislativi e normativi che garantiscono l’immunità ai molti datori di lavoro che approfittano di tutti quelli che sono alla ricerca di un lavoro per migliorare la propria vita.


Studi condotti da Unicef e Ilo dimostrano che alla
riduzione dei canali formali di immigrazione si affianca ineluttabilmente un aumento dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento ad essa connesso. E’ pura illusione pensare che le misure restrittive possano costituire un reale deterrente all’immigrazione. Nel mondo globalizzato sono da considerare fisiologici i flussi migratori alla ricerca di migliori condizioni socio-economiche.Le sanzioni per chi non rispetta la legge nel nostro Paese sono importanti per salvaguardare lo stato di diritto e la legalità, ma si devono coniugare con strategie mirate all’integrazione e alla coesione sociale per chi vive nel nostro Paese nel pieno rispetto della legge. I lavoratori stagionali devono godere degli stessi diritti di qualsiasi cittadino.

Il nostro paese manifesta reali necessità di manodopera
per soddisfare i diversi comparti economici delle realtà territoriali. L’esigenza di contenere il flusso migratorio deve tenere conto di questa esigenza per far fronte in modo realistico alle necessità della nostra economia. Il giusto equilibrio tra queste due esigenze è una sfida da affrontare. Sino ad oggi invece nella politica del Governo nei confronti dell'immigrazione è prevalso l'aspetto repressivo e punitivo. Ma non bisogna dimenticare il significativo apporto di questa manodopera alla nostra economia, apporto scarsamente messo in evidenza dai media e dalla classe politica. E’ raro che i contributi degli immigrati, spesso linfa vitale di interi comparti del nostro mercato, vengono portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Si tende piuttosto a sottolineare gli aspetti devianti di piccole minoranze o episodi legati alle cronache giudiziarie.
Con circa il 10 per cento di extracomunitari sul totale dei lavoratori agricoli e’ nelle campagne dove la presenza degli immigrati evidenzia una incidenza tra le più elevate dei diversi settori economici. Questa tendenza viene anche ribadita dal primo rapporto Inea2 (Istituto Nazionale di Economia Agraria) dal titolo: Gli immigrati nell’agricoltura italiana. Il fenomeno presenta dimensioni significative con un trend di crescita costante: dall’1989 al 2007 si osserva un incremento di ben oltre 7 volte dell’entità dei cittadini extracomunitari utilizzati in agricoltura, passando da 23.000 ad oltre 172.000 unità.

Sono circa 7 mila le imprese agricole condotte dagli extracomunitari. In pratica, l’1,2 per cento del totale. A gestirle sono soprattutto tunisini, marocchini, albanesi, montenegrini, macedoni e serbi. Ad essi si affiancano oltre 92 mila lavoratori dipendenti sempre extracomunitari (di cui 18.000 a tempo indeterminato e 74.000 a tempo determinato), che provengono in particolare dal Marocco, dall'India, dal Pakistan, dalla Tunisia, dall'Albania. Oltre il 40 per cento sono impiegati nella produzione delle colture arboree e nella raccolta della frutta, il 30 per cento nella raccolta di ortaggi e pomodori, il 14 nell'allevamento di bestiame (specialmente negli allevamenti di bovini da latte), i restanti nell'agriturismo e nella vendita dei prodotti agroalimentari. Insomma, i lavoratori extracomunitari rappresentano una risorsa importante per l’agricoltura, specialmente per i lavori stagionali.

In poco meno di dieci anni - sottolinea la Cia (Confederazione italiana agricoltori) - il numero delle imprese agricole in Italia condotte da extracomunitari è cresciuto di oltre il 40 per cento, mentre circa il 70 per cento degli immigrati (tre su quattro) è inquadrato con contratti regolari, con punte del 91 per cento al Nord e dell'80 per cento al Centro. La presenza di lavoratori extracomunitari nell’agricoltura italiana è concentrata -come rileva lo stesso rapporto Inea - nell’Italia del Nord, in particolare in Trentino (27 per cento), Emilia Romagna (12,7 per cento) e Veneto (10 per cento). Percentuali elevate si registrano anche nel Sud, in particolare Campania (8,5 per cento), Puglia (8 per cento) e Calabria (7,5 per cento). Dal confronto di queste regioni emerge, nelle diversità che le contraddistinguono, un aspetto che le accomuna, ossia la necessità di ricorrere alla manodopera immigrata, soprattutto nelle fasi di raccolta, in un contesto di complementarietà con la manodopera locale.

Dobbiamo quindi partire dall’assunto che chi
entra nel nostro paese deve avere un contratto di lavoro tale da garantire una vita dignitosa, con tutti i diritti che derivano dall’osservanza della legge. E’ una condizione imprescindibile da tutelare col coordinamento tra diversi ministeri.
Sarebbe opportuno istituire una vera e propria agenzia per l'immigrazione responsabile dei flussi migratori, attraverso un coordinamento interministeriale - Ministero del Lavoro, Interni, Affari Esteri, Salute e Pari Opportunità- coadiuvato dalle parti sociali interessate, sindacati e associazioni umanitarie, in modo da gestire il fenomeno della migrazione non come una perenne emergenza, ma piuttosto con programmi a breve e lungo termine inseriti nei piani del Governo.

La concessione dei permessi di soggiorno per
motivi di lavoro dovrebbe essere gestita da un database che coniuga la domanda del mondo del lavoro italiano con l'offerta dei vari paesi terzi. I visti verrebbero pertanto emessi sulla base delle richieste dei datori di lavoro. La materia così regolamentata garantirebbe un ingresso nel nostro territorio disciplinato, formale, assoggettato ai termini di legge e con le dovute protezioni in materia di lavoro. Il database potrebbe regolamentare anche la flessibilità derivata dalla stagionalità di alcune prestazioni ad eventuali lavori altamente specializzati. Questo strumento potrebbe disciplinare tutti I contratti messi in essere dai datori di lavoro, facilitando le diverse Ambasciate nei paesi terzi nell’emissione dei visti sulla base delle richieste effettuate. Si potranno prevedere quote straordinarie per determinati periodi dell'anno che coincidono con la stagionalità di alcune prestazioni, che facilitano l’emersione dal lavoro nero. Il database potrebbe occuparsi della gestione di tutte le situazioni particolari quali il ricongiungimento con i familiari residenti in Italia, permessi studio, ecc.

Il principio di solidarietà e assistenza umanitaria rimane
un punto cardine di questo approccio, legando le reti di assistenza umanitaria e religiosa alle possibili aperture legate al mondo del lavoro e naturalmente al database messo a disposizione dell’Agenzia per l’immigrazione. Questo consentirebbe una graduale integrazione nel tessuto socio-economico italiano delle famiglie indigenti provenienti dagli stati terzi. L’asilo politico dovrebbe invece venire gestito dagli enti e le organizzazioni preposte a tale scopo. Il tavolo di coordinamento dell'Agenzia con i diversi Ministeri competenti dovrebbe essere competenza del Ministero degli Interni, responsabile del nuovo ente. Il database si dovrebbe affiancare alla lista di collocamento nazionale integrandola in modo da contribuire in modo efficace a riempire i vuoti professionali e garantire uguali opportunità. L’Agenzia potrebbe in un secondo momento occuparsi anche della cittadinanza italiana attraverso approfonditi controlli e verifiche dei candidati ed un opportuno test linguistico/culturale propedeutico al suo ottenimento.

Il Governo Italiano potrebbe anche farsi promotore di tale iniziativa in ambito europeo che consentirebbe un migliore coordinamento dei flussi migratori monitorando spostamenti ed eventuali problemi di ordine pubblico/sicurezza. Il database europeo potrebbe essere gestito da una organizzazione quale ad esempio Frontex, recentemente istituita a livello europeo. E forse giunto il momento per fare delle proposte costruttive che affrontino la problematica dell'immigrazione con un approccio organico improntato al rispetto dei diritti.
Il fenomeno dell’immigrazione e una realtà che va affrontata a prescindere dalle opinioni politiche di ognuno di noi, con coraggio e determinazione per gestirla in modo costruttivo piuttosto che restare testimoni passivi.

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