bell' articolo di B.Valli sulle tensioni di una società multiculturale.
La Francia prigioniera dell'altra Francia
PARIGI DA ANNI, ormai più di trenta, vivo in bilico tra "due France". Una schiettamente europea, anche se venata da presenze magrebine e subsahariane, e un' altra di netto stampo multietnico, dove sembra siano rappresentati tutti i colori dell' umanità. A volte, in questa seconda realtà parigina, che ho quotidianamente sotto gli occhi, ho l' impressione di essere nel mondo di domani. È stimolante. La sua esuberanza provoca una vampata di adrenalina. Al punto che l' altra, etnicamente (quasi) uniforme, rischia di apparirmi sbiadita. Molti, lo so, dissentono. Quel che penso li scandalizza. La Francia (l' Europa in generale) è traumatizzata dall' irruzione di una modernità multiculturale e multietnica. Nessuno l' aveva avvertita, preparata a questo brusco cambiamento dei paesaggi urbani e soprattutto alla violenza (io dico esuberanza) che quel mutamento esercita sulle quotidiane abitudini degli indigeni europei. Tu, mi dicono, sei un indigeno europeo che trasferisce la tua professione di voyeur nella vita di tutti i giorni
Tu, mi dicono, sei un indigeno europeo che trasferisce la tua professione di voyeur nella vita di tutti i giorni: osservi, sfiori la nuova realtà, l' idealizzi, non ti ci immergi, non ne sei prigioniero, non la subisci. Sei un privilegiato perché non senti sulla tua pelle le ferite che essa infligge alle nostre società.
Incasso e resto sulle mie posizioni. So che le collettività dinamiche, quelle che contano, che creano, sono le più aperte e capaci di affrontare le difficili conseguenze. La Francia non si è formata come gli Stati Uniti d' America; è un' antica nazione, forse seconda per età soltanto alla Cina; ma nel quadro di una forte tradizione nazionale ha assorbito, come gli Stati Uniti, continue immigrazioni. Sono tante le nonne o bisnonne polacche, spagnole, italiane, e adesso non sono poche le famiglie miste, franco-arabe e franco-africane. Le discriminazioni ufficiali del passato hanno lasciato tracce, come scavano risentimenti le discriminazioni illegali ma reali del presente. Neppure gli immigrati europei sono stati risparmiati. Benché adesso venga ritenuta esemplare l' assimilazione degli italiani è stata lunga e dolorosa.
Oggi l' integrazione economica e sociale è spesso bloccata. E di riflesso quella culturale si complica, perché l' esclusione economica e sociale accentua la già forte coscienza musulmana in cui molti immigrati si trincerano.
Ma il meccanismo dell' integrazione, nonostante i guasti, malgrado la sua inefficienza, non può fermarsi perché la modernità multietnica e multiculturale è inarrestabile. Non c' è una linea di demarcazione tra le due immagini parigine, tra le "due France", a me familiari. Ma c' è un muro invisibile, permeabile, che parte da Place Clichy e arriva a boulevard Barbès, percorrendo Pigalle e boulevard Rochechouart, e che avvolge il quartiere della Goutte-d' Or. E la Goutte-d' Or impone un momento di raccoglimento: là sono accampati da più di un secolo gli immigrati di turno.
Prima i provinciali dell' Alvernia, della Bretagna, della Savoia, venuti a lavorare nei cantieri della Parigi delle grandi speculazioni edilizie denunciate da Zola e all' origine dell' accumulazione capitalistica e della Francia industriale. Con un secolo d' anticipo su calabresi, pugliesi e siciliani nella nostra penisola, alverni (auvergnats), bretoni e savoiardi hanno alimentato l' emigrazione interna francese. Poi sono arrivati belgi, tedeschi, spagnoli, italiani, polacchi. Più tardi sostituiti da cabili e altri magrebini (algerini, marocchini, tunisini), e da senegalesi, camerunesi, antillesi, che adesso abitano la Goutte-d' Or. Un' edicolante di place Blanche dice che gli «algerini sono gli italiani d' oggi». Più ti inoltri a Nord, oltre quel muro invisibile, e più hai l' impressione di trovarti a Algeri, a Tunisi, a Duala. Se scendi invece verso l' Operà Garnier, in direzione della Senna, ti ritrovi nella Parigi di sempre. Ed io abito su questo versante, a ridosso della frontiera immaginaria, nel Nono arrondissement, battezzato "Nuova Atene" nell' epoca in cui era popolato di scrittori e pittori. Nel quartiere non mancano i "bobos", i Bourgeois-bohème, come sono chiamati con ironia i borghesi, il cui ritratto social-politico è un mosaico di conformismo e di progressismo, di ecologiae di reminiscenze sessantottarde. I "bobos" votano di preferenza per Cohn-Bendit (Dany il rosso nel maggio ' 68) e per l' ottimo sindaco socialista Delanoë. Anche grazie a loro l' Hotel de Ville, il municipio della capitale, è di sinistra, mentre l' Eliseo, il palazzo presidenziale, resta di destra. Di "bobos" se ne incontrano in rue des Abbesses e dintorni. Ossia a Nord del muro immaginario. Sono un' avanguardia non tanto sparuta. Rue des Abbesses è una delle strade più vive di Parigi. La taglia rue Lepic che sale verso Montmarte.
In quell' area, che per me si estende sino a piazza Charles Dullin, dove c' è il teatro de L' Atelier, si realizza un' integrazione ideale. Quelloè un punto di incontro tra le "due France": dove, in particolare nelle sere di fine settimane, le coppie e le comitive sono un' espressione dei sacri e non sempre rispettati principi della République. Assiepate attorno al banco della Mascotte, bar ristorante di rue des Abbesses, ci sono coppie che potrebbero essere algerobordelesi, normanno-marocchine, ivoriano-bretoni, congoparigine, provenzal-senegalesi. E cosi via. Dai colori dei volti si ha l' impressione che le comitive siano un riassunto della Terra intera. Non manca qualche cinese o vietnamita. Ma se uno vuole trovare la Cina, e immaginarsi a Shanghai, deve andare alla Porte d' Italie, all' altra estremità di Parigi. Lo spettacolo della Mascotte si ripete in tanti altri locali. Può apparire ingenuo, ma è difficile resistere alla tentazione di ricostruire una immagine ideale. Soggettiva ma non per questo irreale.
Circa sette abitanti su cento a Parigi sono stranieri. Ma sono in molti, con sembianze straniere, ad avere cuori e cervelli francesi. E naturalmente ad avere la nazionalità, innestata su un' origine magrebina, africana, asiatica. È spesso un retaggio dell' epoca coloniale. Le statistiche sono approssimative, poiché è proibito indagare sulla religione e l' etnia degli individui.
La République è giusta e ambiziosa quando si tratta di principi. Non può essere altrimenti. Per questo la si deve amare, anche quando, nella realtà, la pratica scavalca i suoi sacri principi. Un cisalpino è colto spesso dall' invidia di fronte a una fermezza tanto razionale e sicura di sé da proseguire imperterrita anche quando è aggirata dalla realtà. Come altre potenze imperiali, la Francia ha represso e discriminato proponendo al tempo stesso dei valori definiti, con ragione, universali. Ha insegnato ai sudditi coloniali la virtù della ribellione contro l' ingiustizia e ha represso le loro ribellioni contro le ingiustizie coloniali.
Oggi la République, come il resto dell' Occidente, stenta a garantire l' uguaglianza degli stranieri davanti alle sue leggi e procedure, e la decretata neutralità davanti alle loro origini al momento dell' ingresso sul territorio nazionale. Nel rispetto della laicità, che impedisce di catalogare i cittadini secondo la loro religione, le giuste leggi repubblicane non consentono di conoscere l' esatto numero dei musulmani in Francia. Si calcola che siano tra i cinque e i sei milioni. Forse meno. Gli islamofobi gonfiano le cifre per spaventare l' opinione pubblica.
L' Islam è infatti "il" problema. Non a caso la forte presenza di musulmani domina di fatto un dibattito "sull' identità nazionale" voluto da Nicolas Sarkozy in persona, e accolto, stando ai sondaggi, da una Francia riluttante. Perplessa. L' iniziativa accende polemiche che slittano spesso in insulti. Fioccano le accuse di razzismo. Si sostiene che il dibattito solleciti i sentimenti anti-islamici. Nelle riunioni organizzate dalle autorità spesso prevalgono, in effetti, gli sfoghi xenofobi. Il 12 novembre, a La Chapelleen-Vercors, luogo storico della resistenza anti-nazista, presentando il dibattito sull' identità nazionale, Nicolas Sarkozy ha messo le mani avanti. Ha detto: «Si è francesi perché non ci si riconosce in una razza e ancor meno in una religione». Ma le sue parole non sono bastate e la polemica continua.
Il tema può apparire obsoleto in un' Europa che dovrebbe darsi un' identità europea. Ma quest' ultima lascia indifferenti o è impopolare. Nel migliore dei casi provocherebbe sbadigli. La nazione, fonte di tante tragedie, suscita invece- ancora- brividi, emozioni. Il tema dell' identità nazionale ricorre spesso nella moderna storia di Francia. Alain Finkielkraut, filosofo "antimoderno", non è stato il solo a evocare Ernest Renan: lo storico e filosofo che in una conferenza del 1882 respinse l' idea di una nazione basata sulla razza, perché «la storia umana differisce essenzialmente dalla zoologia». Renan ha definito la nazione come un principio spirituale, come un' anima composta di due elementi: prima di tutto un ricco retaggio di ricordi, un' eredità di gloria e di rimpianti da condividere, e poi il consenso nel presente, il desiderio di continuare la vita in comune.
La Francia di oggi, secondo Finkielkraut, sarebbe il teatro di due crisi: dell' eredità e del consenso. Per quanto riguarda l' eredità dei ricordi e della gloria, un altro filosofo, il marxista Alain Badiou, ha precisato che lui l' accoglie, l' assume, quando si tratta della Rivoluzione francese, della Comune, dell' universalismo del ' 700, della Resistenza e del maggio ' 68. E non quando si tratta della Restaurazione, dei Versagliesi repressori della Comune, delle dottrine coloniali e razziste, di Pétain o di Sarkozy. Difficile dunque stabilire un' eredità comune.
Ancora più difficile quando si tratta dei francesi musulmani. Lo storico Benjamin Stora, autore di libri essenziali sull' Algeria, spiega comei giovani di famiglie di origine algerina, pur sentendosi francesi («in modo evidente, naturale e sicuro»), si pongono la questione delle loro radici. Cercano di ricostruire la storia familiare, collettiva, la genealogia personale. La ricerca incontra e si scontra con la storia coloniale, con la segregazione, con il razzismo subiti dai loro nonni e bisnonni e imposti dalla Francia. Incontra anche l' Islam. Il quale è parte culturale di quel passato. Il ricorso alla memoria comune di Renan per definire l' identità nazionale è fragilizzato dal mosaico etnico e religioso creatosi nel frattempo nel paese. La frantumata storia dei cittadini francesi nel XXI secolo non è il solo intralcio al dibattito voluto dal presidente della Repubblica, e lanciato, diretto da Eric Besson. Besson è alla testa di un nuovo ministero voluto da Sarkozy: il Ministero dell' immigrazione, dell' integrazione, dell' identità nazionale e dello sviluppo della solidarietà. Il legame tra identità nazionale e immigrazione stabilito da Sarkozy non potrebbe essere più esplicito. Ufficiale. Trasferito nel dibattito quel legame provoca reazioni molto severe. In un manifesto firmato da ex primi ministri socialisti (Mauroy, Fabius, Jospin), attori (Isabelle Adjani, Jane Birkin), storici (Le Goff), imprenditori (Pierre Bergé della fondazione Yves Saint Laurent) e tanti altri esponenti della società parigina, si definisce senza mezzi termini "razzista" l' iniziativa SarkozyBesson. La quale tenderebbe a mettere in discussione la legittimità della presenza sul suolo nazionale di intere categorie della popolazione. Il voto degli svizzeri contro la costruzione di minareti ha attizzato (secondo Jean Daniel, all' inizio non del tutto contrario all' iniziativa di Sarkozy) il populismo sciovinista in Francia. Perché ha ricordato che non tanto nascosto nel dibattito sull' identità nazionale c' è il problema dell' Islam: «il fantasma che si aggira in Europa». Di minareti in Francia ce ne sono una decina. E ci sono circa duemila moschee o sale di preghiera, spesso molto modeste. Quasi un francese su due (il 46 per cento) non vuole che si costruiscano altri minareti. Meno numerosi (40 per cento) sono quelli contrari a un aumento, in generale, dei luoghi di culto musulmani. Ma sono almeno la metà (50 per cento) a non approvare il modo in cui si sviluppa il dibattito sull' identità nazionale. Anche nel partito del presidente (l' Ump, Unione per un movimento popolare) c' è inquietudine per la piega che sta prendendo l' iniziativa di Sarkozy. Più che perplesso si è dichiarato l' ex primo ministro Alain Juppé, oggi sindaco di Bordeaux, il quale ha definito «detestabile» tutto ciò che può dividere e contrapporre le comunità. Preoccupano i toni razzisti spesso dominanti nelle riunioni organizzate dai prefetti, mobilitati dal governo. Non sono in pochi a pensare che il dibattito abbia fini elettorali, in vista delle consultazioni regionali di primavera. Sarebbe un modo per sottrarre al partito xenofobo (il Front National) uno dei suoi argomenti preferiti. - BERNARDO VALLI
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