25/01/10

di Prato e di cinesi

Il patto di Prato con i nemici


Guarda la Prato di oggi, vedrai l`Italia di domani. I pessimisti, che aumentano di numero nella città toscana, la raccontano così. E le cronache confermano le loro fosche previsioni. Martedì scorso nel quadrilatero attorno a
via Pistoiese, la Chinatown pratese, la polizia con un blitz spettacolare, guidato da un elicottero che dall`alto faceva da Tom tom, ha fatto irruzione nei capannoni dove centinaia di clandestini lavoravano in condizioni di "moderna" schiavitù.
Trenta aziende sono state sigillate e 70 cinesi portati in Questura. Il console a Firenze, Gu Honglin, ha protestato e ha paragonato la polizia italiana alle SS naziste che tiravano fuori dalle case donne e bambini. I cittadini pratesi dai marciapiedi e dai balconi hanno applaudito e da Roma il ministro dell`Interno, Roberto Maroni, ha teorizzato un «modello Prato» da copiare dappertutto.

 foto_prato01.jpgLo stesso ministro sarà domani in città per rispondere all`appello del sindaco Roberto Cenni che chiede uomini e mezzi per stroncare l`illegalità con 500 controlli (blitz) l`anno. Più d`uno al giorno. L`amministrazione è di centrodestra - dopo lunghi anni di monopolio della sinistra - e sostiene che i cittadini non ne possono più.
Prato avrà pure una storia di tolleranza (toscani e meridionali sono fifty fifty), riesce a far convivere 110 etnie diverse ma la misura ora sarebbe colma. Nelle ultime settimane sono arrivati in Comune 240 esposti: il pronto soccorso dell`ospedale è intasato da cinesi che non hanno medico di famiglia e si rivolgono lì per qualsiasi disturbo, i condomini pratesi che vivono sullo stesso pianerottolo con famiglie asiatiche si lamentano delle case-dormitorio, del via vai continuo di persone e merci, delle carni messe ad essiccare.
Un piccolo conflitto di civiltà basato su «rumori e odori» con i più anziani che urlano ai cinesi: «Sudicioni
tornatevene a casa». I cinesi a Prato sono almeno 30 mila su 180 mila abitanti. Oltre il 15% della popolazione, mentre la media nazionale di immigrati è al 6%. Le prime avanguardie sono arrivate negli anni `90 da Weng Zhou (vicino Shangaí) e con il passare del tempo la comunità si è stratificata socialmente.
E' nato un ceto di milionari, una borghesia degli affari che possiede aziende anche da 15 milioni di fatturato, si
riunisce al ristorante Hong Kong e gravita attorno all`associazione di amicizia Weng Zhou.
I nuovi ricchi hanno imparato ad apprezzare la Versilia e il Brunello di Montalcino, comprano le quote del circolo del golf e sognano un giorno di scalarlo, adorano le Audi e il gioco d`azzardo, fanno la spola tra la Toscana e la madrepatria viaggiando (per lo più Lufthansa) e intrecciando affari.
Al massimo sono 55enni e hanno figli nati in Italia, muniti di regolare passaporto e che parlano la nostra lingua senza erre moscia. Questa neo-borghesia ha avuto la capacità di arrivare nel Paese del fashion e inventare un modello di business che non esisteva. Nel gergo si chiama «pronto moda», 500 aziende che copiano stilisti e catene di successo, producono a velocità turbo lavorando 7 giorni a settimana e 20 ore al giorno, per poi venderli sui mercati europei a prezzi mostruosi (jeans a 5 euro, giacche a 10-12 e cappotti a 30).
E un prodotto per la donna che nei negozi e mercati rionali ha scalzato maglie e abiti dei piccoli confezionisti del Napoletano e di Martina Franca. Questo modello di business vince grazie a due condizioni: i cinesi comprano sempre di più le stoffe direttamente nel loro Paese (se le acquistassero dai tessitori di Prato spenderebbero il doppio) e la loro filiera produttiva ha a monte una miriade di laboratori conto-terzisti che sfruttano il lavoro di connazionali ararrivati con visto turistico a tre mesi.
Un meccanismo così oliato ha retto anche alla Crisi perché produce a prezzi cinesi in Europa e sfrutta la vicinanza con i mercati migliori. Ogni sabato a Iolo, il quartier generale del pronto moda pratese, c`è una ressa di furgoni che arrivano persino dalla Polonia. Per evitare equivoci una cosa però va detta: il distretto del tessile, che ha fatto ricchi i pratesi per decenni, non è andato in crisi per colpa dei cinesi arrivati sul Bisenzio.
fotoprato02.jpg
L`errore marchiano è stato quello di non aver fatto evolvere il distretto, non aver capito che il potere di mercato e il valore si spostava a valle e non bastava più tessere ottime stoffe, bisognava anche confezionarle e venderle. Quei pochi che l`hanno capito si sono salvati e uno di questi è proprio il sindaco-imprenditore Cenni, pròprietario della ditta Sasch.
Ora Cenni ha deciso che così non si può andare avanti e che, se la politica non si muove, la borghesia del ristorante Hong Kong accumulerà tanti soldi da mangiarsi la città. Ogni giorno partono rimesse per 500 mila euro e prendono la strada del Far East. Ma Cenni da uomo di business sa anche che Prato non può più fare a meno dei cinesi, resterebbe un museo della deindustrializzazione e nessuna legge speciale da stato di crisi la salverebbe.
Da qui l`idea di quadrare il cerchio. Premere sui cinesi per costringerli a un accordo. «Si vis pacem para bellum» dicevano i nostri antenati e non c`è dubbio che gli imprenditori cinesi di Prato hanno interpretato gli elicotteri come l`inizio della «prima guerra del tessile». Non a caso il console rispolvera le SS e i maggiorenti della comunità parlano di «esagerazioni» da parte delle autorità italiane.
In teoria da buoni borghesi avrebbero bisogno di pace e tranquillità per i loro traffici ma non possono fare a meno dei laboratori off limits. Sono parte integrante della loro storia di successo. Cosa ha in mente il sindaco e come spera di risolvere il rébus? Con un`operazione complessa, un mix tra sicurezza e politica industriale. Facendo terra bruciata attorno ai capannoni clandestini vuole portare la borghesia cinese di Prato a stipulare un patto locale anti-crisi.
Le loro ditte si devono mettere in regola, comprare i tessuti dalle aziende di Prato e in cambio il sindaco-imprenditore si sta impegnando a concludere un accordo con le catene della distribuzione, tipo H&M e Zara, per vendere loro il pronto moda tosco-cinese in grandi quantità e a prezzi contenuti.
Ma perché i cinesi dovrebbero sottoscrivere un`intesa che farebbe lievitare fortemente i costi?
«Possono confezionare un prodotto migliore. Non venderanno più cappotti a 18 euro ma magari a 30. E saranno cappotti di qualità più alta» risponde Cenni. E i cinesi rinunceranno a cuor leggero alla loro filiera sommersa, al loro piccolo Eldorado? Zara e H&M accetteranno di salvare la coesione sociale di Prato?
La sfida comunque è lanciata ed è difficile che il Comune e il governo tornino indietro. Un`intesa con gli industriali cinesi rappresenterebbe una grossa novità tanto da farne davvero, un «modello Prato», ma oggi esistono scarsi canali di comunicazione tra le due borghesie e le due comunità.
È assai difficile che qualcuno a Prato parli del «mio amico cinese» o lo inviti a cena. La migliore pasticceria di
Chinatown è di italiani e frequentata dai nostri connazionali, qualche consulente italiano lavora per gli asiatici, il presidente della Provincia Lamberto Gestri (Pd) ha scelto come suo consigliere Quilin Xu - un imprenditore cosmopolita che tutti chiamano Giulini, ma le distanze tra i due popoli sono più larghe di ieri.
Commenta Edoardo Nesi, lo scrittore e imprenditore che ora fa l`assessore alla cultura e allo sviluppo economico della Provincia di Prato. «Sto finendo di scrivere un romanzo che racconta appunto la storia della mia gente, le famiglie, la città. Come si fa a non essere preoccupati? Che cosa faranno i nostri figli tra dieci anni? Tutti poliziotti?».

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