Stranieri in Italia: guardando al presente e immaginando il futuro
Gian Carlo Blangiardo*
Fonte: neodemos.it
Anche nel 2012, come già nel precedente anno, la dinamica della popolazione
straniera residente in Italia si è attenuta alla nuova parola d’ordine,
“moderazione”, che sembra ormai contraddistinguere la realtà migratoria
del nostro tempo. I dati più recenti, in cui si prende atto dei
correttivi introdotti dalla conta censuaria del 2011, indicano quasi 4,4
milioni di residenti con cittadinanza straniera al 1° gennaio 2013 e descrivono una popolazione
che è aumentata di oltre venti volte rispetto ai primi anni ‘80 (Istat,
2013). Ma se anche le risultanze del 2012 mostrano tuttora un
consistente incremento, +334 mila unità (+8,2%), va tenuto presente che
ciò sembra dovuto, più che a nuovi ingenti flussi in ingresso, sia
all’influenza di fattori “interni” al fenomeno migratorio - un saldo naturale
di 74mila unità alimentato dalle circa 80mila nascite – sia alle
inevitabili “code di assestamento” della rilevazione censuaria: i 72mila
recuperi (netti) riguardanti residenti stranieri che non erano stati
contabilizzati.
Presenze stabili ma attrazione in calo
Con tali premesse, le stime al 1° gennaio 2013 – recentemente diffuse attraverso il XIX Rapporto sulle Migrazioni
curato dalla Fondazione Ismu (Blangiardo 2013) – prospettano
complessivamente poco meno di 5 milioni di stranieri presenti in Italia.
Valore che si ricava sommando al totale dei residenti un ulteriore
mezzo milione di soggetti che si trovano o nella condizione di regolari
non iscritti in anagrafe
oppure in quella di irregolari; una componente, quest’ultima, che si
conferma tuttora ferma al livello, decisamente “fisiologico”, del 6% del
totale delle presenze.
L’intensità
e la direzione del rallentamento in atto trovano riscontro nella
dinamica dei flussi registrati nel corso dell’ultimo quindicennio. I
dati annui sulle iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini
stranieri mostrano - al di là dei picchi derivanti dalla grande
regolarizzazione del 2003 e dall’ingresso di rumeni e bulgari
nell’Unione Europea[1] quattro anni dopo - un
trend crescente che si interrompe e inverte il senso a partire dal 2007.
In parallelo anche le cancellazioni anagrafiche – che pur risultano
fortemente sottostimate in quanto scontano l’assenza di incentivo a
richiederle – segnalano un progressivo aumento, a partire dal 2007, dopo
anni di sostanziale stabilità.
In proposito, è interessante
osservare come i nuovi orientamenti, indubbiamente legati ai venti di
crisi, non abbiano lasciato indifferenti gli stessi italiani; le cui
iscrizioni dall’estero seguono un trend decrescente (35-40mila unità
prima del 2007 a fronte dei meno di 30mila rilevate nel 2012), ma
soprattutto le cui cancellazioni mostrano un’impennata nel corso
dell’ultimo biennio.
Nuovi e vecchi protagonisti di un quindicennio vivace
Il dettaglio per cittadinanza
nei dati sui trasferimenti di residenza dall’estero durante
l’intervallo 1995-2011 consente di evidenziare il ruolo svolto da alcune
nazionalità, sia in occasione di specifici eventi della nostra recente
storia migratoria, sia nel delineare le tendenze generali del fenomeno.
In proposito, sul fronte delle tre principali presenze - Romania,
Marocco e Albania – si può innanzitutto cogliere la staffetta dall’epoca
della dominanza albanese -dalla metà degli anni ‘90 a inizio secolo- a
quella dell’esplosione dei flussi dalla Romania, inizialmente
accresciutisi con l’opportunità offerta dalla sanatoria del 2003 per poi
beneficiare del successivo ingresso in ambito UE. Più regolare e lenta
nel consolidamento appare, invece, la dinamica della componente
marocchina i cui flussi, solo moderatamente influenzati dalle evoluzioni
della normativa e dalle iniziative ad essa connesse, riflettono
piuttosto il prosieguo di traiettorie migratorie ormai storiche e il
forte contributo dei ricongiungimenti familiari. Coloro che mostrano una
dinamica dei trasferimenti fortemente condizionata da norme e da
politiche di governo del fenomeno migratorio sono, tra i paesi che
seguono immediatamente i primi tre per importanza, l’Ucraina e la
Moldavia. Entrambi – e il primo in particolar modo - hanno recepito gli
effetti sia della sanatoria legata alla Bossi-Fini nel 2003 e dei
successivi decreti flussi (che hanno avuto un forte seguito nell’ambito
del lavoro domestico), sia della specifica regolarizzazione per colf e
badanti attivata nella seconda metà del 2009. Viceversa, più lineare
appare il trend dei trasferimenti dei cinesi, anche per via di una loro
più spiccata caratterizzazione familiare che si manifesta anche nei
flussi per ricongiungimento[2]. Tendenzialmente in
crescita, pur con la pausa successiva al 2010, sono anche i flussi
relativi agli altri quattro grandi fornitori dell’immigrazione verso
l’Italia: Filippine, India, Bangladesh e Perù. In merito ad essi va
comunque sottolineata, da un lato, la progressiva affermazione delle
provenienze dal sub-continente indiano; dall’altro, l’altalenante
effetto delle sanatorie (nel 1998, 2003 e 2009) sulle comunità, come
quella filippina e peruviana, più largamente coinvolte nel lavoro
domestico.
Scenari per il futuro
Dopo
un passato che, sul piano dei flussi migratori in ingresso nel nostro
paese, possiamo definire “intenso e vivace” e un presente che, al
contrario, si accredita sempre più come una fase di “riflessione”, se ci
si dovesse chiedere come sarà il prossimo futuro sarebbe opportuno
sospendere ogni giudizio, almeno in attesa di comprendere meglio gli
sviluppi dell’economia (e di alcuni importanti nodi socio-politici)
tanto sul piano globale, quanto su quello delle macroregioni che
alimentano, o che recepiscono, la mobilità internazionale.
Tuttavia qualche valutazione sugli scenari per il futuro può compiersi,
almeno come serio esercizio di simulazione, ove si tenga adeguatamente
conto di quei fattori, come la demografia e i relativi effetti sulle
dinamiche del mercato del lavoro, che sono comunque prevedibili – almeno
nel breve-medio periodo – e che hanno svolto e svolgeranno ancora un
ruolo fondamentale nel condizionare i movimenti di popolazione verso l’Italia, e non solo.
Pertanto si è sviluppato in ambito Ismu un modello che analizza i
prevedibili surplus/deficit nei mercati del lavoro in corrispondenza dei
principali paesi tributari dell’immigrazione straniera in Italia nel
corso dell’intervallo 2011-2034 (Blangiardo e altri, 2013) e che,
facendo discendere da essi la stima dei relativi flussi verso il nostro
paese, alla luce dell’esperienza del passato e di ragionevoli ipotesi
sull’incidenza delle catene migratorie (per lavoro e quindi per
insediamento familiare), fornisce le stime dei dati di stock e di flusso
per sesso e nazionalità in ogni quinquennio dell’intervallo in oggetto.
Se ne è così ricavata la valutazione che porta i circa 4,5 milioni di residenti del 2011[3],
agli oltre 7 milioni nel 2020 e ai poco meno di 10 milioni nel 2035,
con una moderata prevalenza femminile. Tale incremento numerico avviene,
tuttavia, assecondando una dinamica di progressivo rallentamento dei
ritmi di crescita, che portano il corrispondente tasso medio annuo a
ridursi dall’attuale 7% (stimato per il quadriennio 2011-2014) all’1,3%
tra circa un quarto di secolo (2030-2034). L’ipotesi di un freno alla
crescita della presenza straniera in Italia nel prossimo futuro sembra
trovare in generale una conferma indipendentemente dalle provenienze, ma
le sue manifestazioni si modulano con intensità che variano anche
sensibilmente da paese a paese.
Ad
esempio, le tre nazionalità attualmente più rappresentate si
distinguono per la netta contrapposizione tra le prospettive del
Marocco, che pur rallentando mantiene tassi di crescita superori alla
media, e quelle della Romania, verosimilmente destinata a una situazione
di stazionarietà o persino di (moderato) calo del totale dei residenti
in Italia[4]. Intermedia è, invece, la posizione
dell’Albania, i cui tassi sembrano rapidamente orientati a riprodurre
gli stessi valori osservati per il complesso della popolazione
straniera. Il posizionamento sotto il livello della crescita media
accomuna alla Romania anche gli altri principali paesi dell’Est Europa,
neocomunitari e non. Il rallentamento più forte sembra attribuibile
all’Ucraina e alla Polonia che, già nel quinquennio 2020-2024,
raggiungerebbero la stazionarietà per i rispettivi collettivi di
residenti in Italia. Al contrario, sia i tassi di crescita delle
principali provenienze asiatiche, sia quelli relativi alle cittadinanze
africane si mantengono, pur contraendosi nel tempo, sopra la media. In
particolare, restano abbastanza sostenuti i ritmi di crescita degli
indiani e dei pakistani, che potranno essere ancora superiori al 3% nel
quinquennio 2030-2034, nonché quelli dei senegalesi e nigeriani (ancora
attorno al 4% nello stesso intervallo). Infine, in ambito latino
americano si rivelano abbastanza modesti, pur se ancora in territorio
positivo, i prevedibili tassi di crescita per la popolazione proveniente dal Perù, dall’Ecuador e dal Brasile.
Riferimenti bibliografici
Blangiardo G.C. (2013), Gli aspetti statistici, in: Fondazione Ismu, Diciannovesimo Rapporto sulle Migrazioni, Franco Angeli, Milano.
Blangiardo G.C., Barbiano E., Menonna A. e Forlani N. (2013), Household projection and welfare, in Atti del Convegno: Istat-Eurostat-UNECE, Work session on demographic projections, Roma 29-31 Ottobre 2013.
Istat (2013), La popolazione straniera residente in Italia. Bilancio Demografico, Statistiche Report, 26 luglio 2013, www.istat.it
aggiornamento manuale e quadro della normativa
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Cari amici,
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http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2016/settembre/sinottico-normativa-52.html troverete
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8 anni fa
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