Valeria Benvenuti* & Andrea Stuppini**
Sul tema dei redditi dei lavoratori stranieri e del gettito fiscale e contributivo a loro attribuibile, l’incertezza comincia a diradarsi. Se ne può ragionare basandosi non più solo su stime, ma disaggregando le informazioni ufficiali del Ministero delle Finanze.
Dati (e definizioni) poco comparabili
Il problema principale riguarda la comparabilità dei dati: alcune banche dati definiscono straniero chi è nato all’estero (come l’Inps, l’Inail, il Ministero delle Finanze), altre chi ha cittadinanza straniera (come la rilevazione Istat sulle Forze di Lavoro, Rclf). Se si utilizza la prima definizione si annoverano tra gli stranieri i nati fuori dall’Italia che hanno però cittadinanza italiana, e si escludono i nati entro i confini nazionali che hanno cittadinanza straniera (le seconde generazioni ad esempio). Con il secondo criterio, vengono invece esclusi coloro che sono nati all’estero, ma che con il tempo sono diventati cittadini italiani.
La dimensione del fenomeno migratorio dipende quindi da quale definizione si utilizza. Nei dati sulle dichiarazioni dei redditi del Dipartimento delle Finanze è discriminante il codice fiscale e quindi il paese di nascita. Secondo questi dati, nel 2009, 3,2 milioni di contribuenti stranieri dichiaravano complessivamente 40,2 miliardi di euro, pari a 12.507 euro pro capite. Essi rappresentavano il 7,9% del totale dei contribuenti e dichiaravano a testa circa 7mila euro in meno rispetto a un contribuente nato in Italia. La metà dichiarava meno di 10 mila euro, in prevalenza (86,6%) redditi da lavoro dipendente e assimilati. Il 41,7% dei contribuenti stranieri era donna. I primi cinque paesi maggiormente rappresentati tra i contribuenti erano la Romania (17,4%), l’Albania (7,2%), il Marocco (6,5%), la Svizzera (4,6%) e la Germania (4,5%). La quota significativa di svizzeri e tedeschi, ma anche di francesi, i cui redditi sono tra i più elevati, discende dal luogo di nascita, anche se è molto probabile che prevalga tra loro la cittadinanza italiana.
Un tentativo di correzione dei dati sui redditi degli stranieri
Le informazioni del Dipartimento delle Finanze sui redditi dichiarati, sebbene molto preziose per lo studio degli aspetti economici legati all’immigrazione, sembrano però sovrastimare il fenomeno; si può infatti ipotizzare che il numero di contribuenti “realmente stranieri” sia più basso e che lo siano anche i redditi da loro dichiarati. Si è quindi provveduto a “ripulire” il database del Ministero delle Finanze partendo dall’ipotesi che il numero di contribuenti sia quello dei lavoratori con cittadinanza straniera rilevato dall’Istat nelle indagini sulle forze di lavoro, e cioè quasi 2 milioni nel 2009. Dal database originario sono stati eliminati gli individui la cui nazionalità non compare nel database dell’Istat; i nuovi valori di reddito dichiarato da ciascuna nazionalità sono poi stati stimati moltiplicando il numero dei nuovi contribuenti per il reddito medio dichiarato da ciascuna comunità. Di fatto i redditi medi dichiarati a fini fiscali per ciascuna nazionalità di nascita sono stati ripesati in base alla struttura delle rilevazioni dell’Istat sulle forze di lavoro.
Procedendo in questo modo, si è calcolato che nel 2009 i quasi 2 milioni di lavoratori avrebbero dichiarato al fisco un reddito complessivo di 20,7 miliardi di euro (valore dimezzato rispetto al dato precedente), che si traducono in 10.838 euro pro capite, e cioè quasi 2mila euro in meno della stima precedente. Anche questo valore pro capite può risultare sovrastimato, dal momento che non vi rientrano coloro che sono alle dipendenze di privati (come badanti e giardinieri) che hanno redditi compresi nella “no tax area”.
La presenza straniera stimata utilizzando dati classificati in base al luogo di nascita (come quelli di EU-Silc che fanno riferimento all’indagine “Redditi e condizioni di vita” dell’Istat) sarebbe quindi sovrastimato di circa un terzo, rappresentato dagli ex emigrati italiani; tra i percettori di pensioni la quota degli ex emigrati sarebbe pari a circa due terzi del totale.
Le informazioni sui redditi dichiarati e sulle retribuzioni mensilmente percepite dai dipendenti (derivanti dai dati Istat Rcfl) si prestano a varie possibili elaborazioni. Ad esempio, permettono di stimare quanti occupati devono lavorare nei paesi di origine per guadagnare il medesimo reddito di uno straniero che lavora in Italia. Questa operazione è effettuata mettendo a confronto il salario medio annuo (pari al valore mensile moltiplicato per 13 mensilità rilevato nell’indagine sulle forze di lavoro) e il Pil pro capite nominale nel paese di origine. In questo modo si scopre che un filippino in Italia guadagna come 6,5 connazionali in patria, un marocchino come 5,5 e un ucraino come 4,8. Il metodo è grossolano, beninteso, ma consente di formarsi una prima idea sui differenziali di reddito esistenti tra noi e alcuni dei principali paesi di provenienza dell’immigrazione.
Per le prime 5 nazionalità occupati, contribuenti, reddito medio dichiarato, salario mensile e lavoro equivalente
Prime nazionalità | Occupati con cittadinanza straniera (2009) | Reddito medio annuo dichiarato dai nati all'estero (2009) | Retribuzione media mensile dei dipendenti con cittadinanza straniera (2010) | Quanti connazionali lavorano in patria per lo stesso livello di reddito di un dipendente in Italia (2010) |
Romania | 450.268 | 9.110 | 984 | 2,2 |
Albania | 211.914 | 11.860 | 1.004 | 4,7 |
Marocco | 138.109 | 10.850 | 1.046 | 5,5 |
Filippine | 107.330 | 10.150 | 763 | 6,5 |
Ucraina | 81.981 | 8.520 | 831 | 4,8 |
Concludendo
Le considerazioni in merito ai redditi dichiarati dagli occupati con cittadinanza straniera permettono di pervenire ad alcune considerazioni: lo stipendio medio mensile è inferiore ai 900 euro netti, l’aliquota media supera di poco l’11%, il gettito Irpef ha superato i 2,8 miliardi di euro, il gettito fiscale comprensivo delle altre imposte (Iva, ad esempio) ha raggiunto i 4,5 miliardi di euro.
Peraltro tutti i comuni italiani dispongono delle dichiarazioni dei redditi dei propri residenti e il fatto che alcuni abbiano iniziato ad analizzare quelle dei lavoratori stranieri va salutato positivamente, perché contribuirà ad arricchire un quadro di analisi che si preciserà sempre più nei prossimi anni.
E’ il modo migliore per sfatare alcuni “luoghi comuni” (cioè che gli immigrati pagherebbero poco di tasse e che comunque i costi del welfare a loro attribuibili sarebbero ben superiori), che tali rimarranno soltanto per chi non vorrà approfondire elementi di conoscenza, oggi, per fortuna, sempre meno misteriosi.
Questo articolo rappresenta un’anticipazione di uno studio più completo che verrà pubblicato nel “Dossier Immigrazione 2011” della Caritas il 27 ottobre prossimo.
* Fondazione Leone Moressa
** Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle Regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione.
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