26/09/10

Obama & immigration reform II

Immigrazione in USA, Obama fra sicurezza e riforma

di Nicola Orichuia
La continuità con Bush e gli innovativi memorandum del Dipartimento di Sicurezza Nazionale. La scelta dell'Arizona e la rincorsa Repubblicana al Tea Party. Eppure 48 milioni di elettori ispanici dovrebbero far gola...
Una bandiera americana lunga venti metri fa da sfondo alla giornata di festa di cinquemila nuovi cittadini americani. A Fenway Park, stadio dei Boston Red Sox e tempio del baseball, si vedono solo facce sorridenti di famiglie felici per aver raggiunto un obiettivo a lungo perseguito.

Ci sono Fried e Carmen della Repubblica Dominicana, negli Stati Uniti dal 1995, quando entrarono con visti da studenti. Joseph, autista di scuolabus da Haiti, sventola una bandierina americana per celebrare il nuovo status della moglie e delle due figlie. Sorride Serghei, operaio edile ucraino che dopo dodici anni negli Stati Uniti è finalmente testimone dell’acquisita cittadinanza delle tre figlie.

A celebrare insieme alla grande folla proveniente da ogni angolo del mondo è presente il segretario per la Sicurezza Nazionale, Janet Napolitano. “Sono orgogliosa di dare il benvenuto a questi uomini e queste donne venuti da tutto il mondo per diventare nuovi cittadini della nostra nazione”, ha fatto sapere dal palco allestito sull’erba del campo da baseball.


Giornate di festa come quella di martedì 14 settembre sono in realtà rare nell’agenda della responsabile per la sicurezza americana. Il suo è un dipartimento sempre più impegnato a scovare clandestini ed assicurarsi che vengano deportati.


Si stima che gli immigrati clandestini o con documenti e visti scaduti siano oggi tra i 10 e gli 11 milioni. Secondo uno studio pubblicato a inizio settembre dal Pew Hispanic Center, nel 2009 il loro numero era di 11,1 milioni, un dato che indicherebbe un calo per il secondo anno consecutivo.


Se tra il 2000 ed il 2007 la cifra è infatti progressivamente cresciuta da 8,4 a 12 milioni, oggi sembra che le politiche della precedente amministrazione Bush — continuate da Obama — stiano contrastando in maniera efficace il fenomeno della clandestinità.


D’altra parte negli ultimi anni le iniziative per contenerlo sono state numerose: dalla costruzione del muro lungo il confine meridionale con il Messico al maggiore uso di processi lampo per rimpatriare Messicani e altri Centroamericani, senza dimenticare il recente voto bipartisan per aumentare la tassa su visti di lavoro anche per soggetti altamente specializzati.


Che Obama stia continuando le politiche del suo predecessore è dunque evidente. Non altrettanto chiara, invece, è l’impronta personale che il presidente vorrà dare ad un’eventuale riforma. Il DREAM Act, che darebbe il permesso di soggiorno permanente a quei giovani clandestini cresciuti negli Stati Uniti, è incagliato al Congresso dal marzo 2009, dopo essere stato presentato come testo bipartisan.


La Comprehensive Immigration Reform, di cui Obama aveva tanto parlato in campagna elettorale, è stata per il momento accantonata. In generale, all’amministrazione Obama è rimasto poco capitale politico da spendere per promuovere iniziative così importanti.


Dopo la campagna per far passare la riforma del sistema sanitario, il capo della Casa Bianca avrebbe voluto subito mettere rappresentanti e senatori Democratici a lavorare sul tema dell’immigrazione, ma le elezioni di medio termine sono dietro l’angolo e parlarne in termini che non implichino qualche forma di repressione è vista come una strategia elettorale perdente.


Addirittura il senatore dell’Arizona John McCain, storicamente favorevole a leggi pro-immigrazione, ha adottato la linea opposta dell'intransigente Tea Party Movement, rischiando così di perdere molti voti tra gli elettori ispanici del proprio Stato.


Certo, voler attirare le preferenze elettorali dei circa 48 milioni di Americani di origini ispaniche, cui il tema dell’immigrazione sta particolarmente a cuore, sarebbe sufficiente per imbracciare la causa degli immigrati. In realtà, la questione ha profonde ripercussioni sulla sicurezza, sull’economia e sul sistema giudiziario del paese.


Diciotto mesi dopo lo stimulus, il mercato finanziario americano ha ancora difficoltà a riprendere la via della stabilità e della crescita, la disoccupazione rimane al 9,6% ed il mercato immobiliare è paralizzato. Le corti di numerosi Stati, in particolare quelli a confine con il Messico, stanno invece accumulando più processi di quanti ne riescano a risolvere.


Il nodo resta il confine. L’anno scorso le forze del Border Patrol hanno effettuato 724mila arresti, risultati nella maggior parte dei casi in deportazioni immediate. A questi vanno ad aggiungersi altri 400mila individui rimpatriati dopo processi e, spesso, un breve periodo di permanenza in carcere.


In primavera il governo dell’Arizona ha approvato la legge 1070, che permette alle forze dell’ordine di richiedere a chiunque, soltanto in base ad un “legittimo sospetto” dal sapore razzista, documenti che attestino la presenza legale nel paese. La legge è entrata in vigore con alcune modifiche il 29 luglio ed è attualmente sotto accusa in una decina di processi, il più famoso dei quali vede coinvolto il Dipartimento di Giustizia.


Il provvedimento è del tutto giustificato secondo l’attuale governatrice dell’Arizona, Jan Brewer, che ha parlato di alto tasso di criminalità e di casi di “teste mozzate” — una gaffe di cui si è poi detta pentita.



Una legge come la 1070 caricherebbe di ulteriori obblighi un sistema già provato dalla quantità di lavoro. Sia il sistema giudiziario sia quello carcerario hanno difficoltà a stare dietro al crescente numero di richieste da parte delle autorità. Secondo uno studio condotto dalla Syracuse University, il 2009 ha visto un picco di casi in attesa di giudizio, arrivati quasi a 250mila, esattamente il doppio rispetto a dieci anni prima.


In parallelo a questo dato è cresciuto quello concernente il numero di deportazioni. Se nel 1990 queste arrivavano a stento a 40mila, in vent'anni quel dato è decuplicato, soprattutto a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. L’introduzione nel 2005 di “Operation Streamline”, che prevede l’uso di rapidi processi di gruppo, non sembra aver sortito alcun effetto.


La sicurezza, dunque, resta una priorità per il governo americano. Perché se è vero che parlare di regolarizzazioni è tabù, investire ingenti quantità di denaro per prevenire l’ingresso di clandestini dal confine meridionale è un’ottima arma da usare in campagna elettorale. Una nota del Dipartimento di Sicurezza Nazionale datata 30 agosto elenca alcune delle misure da adottare per limitare il numero di ingressi dal Messico.


Aumentare il numero di aerei spia che sorvegliano il confine; completare la costruzione del muro; continuare ad aumentare il personale di sicurezza ed impegnarsi maggiormente a contrastare il passaggio illegale di armi e droghe. Sempre nella nota si legge che il numero di agenti ha raggiunto un livello record.


In soli sei anni, il personale addetto alla sicurezza è raddoppiato, passando da 10mila nel 2004 a 20mila nel 2010. Il dato non tiene in considerazione altre 1,200 unità della Guardia Nazionale che arriveranno in autunno su espresso ordine del presidente.



La Casa Bianca, comunque, non ha perso di vista il suo obiettivo di lungo termine: una riforma che valorizzi quei clandestini senza precedenti penali che, lavorando, danno il loro contributo all’economia americana. L’Amministrazione ha già dato il via libera ad una serie di misure che lasciano intuire la direzione verso cui puntare.


Durante l’estate, infatti, il Dipartimento di Sicurezza Nazionale ha divulgato alcuni memorandum d’intesa contenenti linee guida sulle priorità in materia di deportazioni. Il primo memorandum, datato 30 giugno ed indirizzato a tutti gli impiegati di ICE, l’agenzia responsabile di eseguire le deportazioni, elenca in ordine di priorità i soggetti che vanno rimpatriati.



Non potendo gestire al momento più di 400mila casi l’anno, ICE dovrà occuparsi prima dei clandestini criminali e poi di coloro che sono entrati o diventati clandestini — nel caso di visto scaduto — più di recente, mentre andrebbe chiuso un occhio nei riguardi di chi è clandestino da più tempo.


Il 20 agosto un altro memorandum firmato da John Morton, direttore di ICE, specifica le tecniche da adottare nel caso di clandestini in attesa di giudizio sul proprio status: la richiesta di visto sarà più spedita e, in caso di risposta affermativa da parte dell’Ufficio Servizi Immigrazione e Cittadinanza, il richiedente potrà godere delle libertà concesse dal relativo visto senza essere stato nel frattempo rimpatriato.


In che modo si svilupperanno queste modifiche alle attuali procedure sarà possibile vederlo solo dopo il voto di novembre. Se i Repubblicani dovessero vincere e prendere possesso di almeno una delle due camere del Congresso, non è escluso che una riforma possa comunque passare.


D’altronde, si parla sempre di 48 milioni di potenziali elettori, che fanno gola ad un partito che sta già pensando a come riprendersi la Casa Bianca nel 2012.
(24/09/2010)

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