LA BADANTE ALLA FRANCESE
di Andrea Stuppini
Fonte: lavoce.info
In Italia l'assistenza pubblica agli anziani è insufficiente. Se ne fa carico la famiglia, spesso ricorrendo alle assistenti familiari. Che sono per lo più straniere e dunque soggette a decreti flussi di dubbia efficacia e a sanatorie varie. Risultato: molti rapporti di lavoro solo formalmente in regola e tanti accordi in nero. Eppure, in Francia con la metà dei soldi spesi nel nostro paese si è creato un sistema integrato, che garantisce un collegamento stabile tra le assistenti e i servizi sul territorio, superando i limiti del rapporto individuale tra anziano e badante.
Nel paese più anziano del mondo dopo il Giappone, con un welfare falcidiato dai tagli alla finanza pubblica, il settore delle assistenti familiari, per tre quarti straniere, si sviluppa ormai da diversi anni in un contesto di reciproche convenienze, ma anche di diffusa illegalità e ipocrisia. La retorica anti-clandestini si infrange contro quello che pudicamente viene definito “welfare mediterraneo”, dove l’assistenza pubblica agli anziani è insufficiente e la famiglia gioca un ruolo centrale in prima persona o ricorrendo appunto alla figura della badante.
Sulla stessa entità del fenomeno i dati sono così incerti da far sorgere il dubbio che la pubblica amministrazione non voglia approfondire più di tanto.
NUMERI E COSTI
L’opinione pubblica fu messa di fronte all’evidenza dei numeri per la prima volta con la regolarizzazione del 2003, ma successivamente il collegamento automatico tra la politica degli ingressi (decreti flussi o sanatorie) e la presenza delle badanti regolari in Italia è andato sfumando.
La stessa regolarizzazione ad hoc del settembre 2009 ha evidenziato realtà di genere (60 per cento maschi) o di provenienza geografica (Maghreb, Cina eccetera) che nascondono il fenomeno dei ricongiungimenti familiari e delle assunzioni di comodo; mentre la grande maggioranza delle badanti proviene oggi da cinque nazioni: Romania, Ucraina, Filippine, Polonia e Moldavia (nell’ordine) fonte INPS.
Nel frattempo, il contratto collettivo della primavera 2007, siglato da controparti di ridotta rappresentatività, ha notevolmente innalzato i minimi retributivi per le assistenti familiari, con aumenti attorno a un terzo in più rispetto al vecchio contratto.
Una assistente familiare co-residente in regola costa ormai (compresi i contributi) circa 1.400 euro al mese per il livello Cs. Tanto che nel 2007 ci fu chi preconizzò una ormai scarsa convenienza delle badanti e un ritorno ai servizi pubblici residenziali. Se questo non è avvenuto è perché molti contratti, con il tacito consenso dell’Inps, vengono stipulati formalmente come tempo parziale e il restante delle ore lavorato in nero: per esempio, vengono dichiarate 27/30 ore, ma quelle effettivamente lavorate sono 54. E resta comunque l’indubbia preferenza degli anziani e dei loro familiari per la domiciliarità .
Nell’estate del 2009 è stata approvata la legge 94 che ha introdotto il reato di ingresso e permanenza clandestina nel paese. E proprio il timore di controlli (in gran parte infondato in questo settore ove prevale la presenza femminile che non è ritenuta pericolosa ai fini della sicurezza) ha indotto un certo numero di famiglie a stipulare contratti regolari. Ora però ci sono segnali che la gravità della crisi economica abbia favorito un ritorno agli accordi in nero.
In questa situazione oscillante, ma con un numero di badanti sempre crescente è aumentato il contenzioso giuridico tra famiglie e assistenti, anche se le organizzazioni sindacali (che spesso rappresentano entrambe le controparti) hanno cercato di mediare in molte situazioni. Oggi il fenomeno si può definire in una fase di assestamento in cui convivono almeno tre distinte realtà.
La prima è quella delle figure regolari, siano esse a tempo pieno o formalmente a tempo parziale. L’osservatorio lavoratori domestici dell’Inps nel 2010 ha contato 718mila posizioni lavorative di colf e badanti, ma al lordo delle doppie posizioni possedute contemporaneamente dallo stesso lavoratore: il numero effettivo delle sole badanti regolari (escluse le colf) resta dunque probabilmente poco al di sopra delle 500mila unità.
La seconda è una sorta di fascia intermedia, composta soprattutto da assistenti rumene e in misura minore polacche (oltre che italiane) che risultano regolari in quanto cittadine comunitarie o che comunque non possono essere espulse, ma che lavorano irregolarmente. Questa componente si è irrobustita negli ultimi anni, dopo l’entrata in vigore della legge 94/2009, anche a scapito di lavoratrici ucraine e moldave. Si può stimare tra le 100mila e le 200mila unità.
Infine, la terza tipologia è quella della completa irregolarità sia lavorativa che di titolo di soggiorno, include generalmente le aree più disagiate tanto dei datori di lavoro che delle lavoratrici e in questi anni non è mai scesa al di sotto delle 400mila unità (fonte Caritas).
Complessivamente, quindi il numero delle badanti si collocherebbe attorno al milione e centomila unità, con un rapporto di quattro a uno rispetto agli anziani nelle strutture pubbliche e con un costo di circa 12 miliardi di euro l’anno (basti ricordare che la spesa sociale complessiva dei comuni arriva a malapena a 7 miliardi).
Stiamo parlando quindi di un fenomeno centrale, tanto nel campo delle presenze straniere in Italia, quanto in quello dell’assistenza sociale.
IL SISTEMA INTEGRATO FRANCESE
Presente anche in altri paesi europei, soprattutto mediterranei, il fenomeno delle assistenti familiari in Italia appare ancora troppo condizionato dal problema dei costi, nel senso che stipendi e pensioni italiane sono tra i più bassi d’Europa e le famiglie meno abbienti debbono “risparmiare” anche in questo settore, rispetto ai costi dell’assistenza pubblica, dalla forte componente irregolare e quindi dallo scarso rapporto con i servizi pubblici.
Si è creato spontaneamente un mercato che ricerca di volta in volta la soluzione ai problemi posti dalla legislazione e dalla contrattazione, ma nel quale prevale un modello individuale che è insieme oneroso e sottoposto a continuo turn-over.
Un intervento pubblico non può che partire dal riconoscimento della debolezza della famiglia come datore di lavoro e percorrere una strada simile a quella della Francia con una radicale riforma delle agevolazioni fiscali, che oggi consistono in deduzioni dal reddito dei contributi previdenziali obbligatori (fino a un massimo di 1549,37 €) e detrazioni dalle imposte del 19% delle spese sostenute per addetti all’assistenza personale (fino a un massimo 2.100 € l’anno). E se si arriva a una effettiva corrispondenza tra contratto firmato e ore lavorate, si può anche affrontare il tema del gettito fiscale delle lavoratrici straniere: oggi la maggioranza delle badanti regolari paga nel nostro paese i contributi, ma non le tasse, perché rientra nella “no tax zone”, proprio a causa dei bassi redditi dichiarati. Il sistema francese prevede, una volta effettuata l’emersione, il 50 per cento di deduzione dal reddito fino a un massimo di 20mila euro l’anno, ma il suo pregio maggiore è l'aver creato un collegamento stabile tra le assistenti familiari e i servizi sul territorio, producendo una sorta di badante collettiva. Al contrario, nel sistema italiano è ancora prevalente il rapporto individuale tra anziano e badante, con tutti gli inconvenienti che esso comporta: solitudine, noia, difficoltà nelle sostituzioni, periodi di disoccupazione, e così via. Grazie al sistema integrato, la Francia spende in questo settore non più di 6 miliardi di euro l’anno con un numero di badanti che è la metà del nostro (e molte sono francesi), tutte regolari, più formate, più integrate nei servizi e nella società, tendenzialmente dipendenti da associazioni sociali.
Ma in Italia occorre anche diversificare e regionalizzare l’istituto dell’indennità di accompagnamento, definito “granitico” su questo sito da Sergio Pasquinelli, che vale da solo oltre 10 miliardi di euro l’anno ed è quasi privo di controlli.
La parte successiva del sistema, quella sul territorio con l'incontro tra domanda e offerta, gli albi e la formazione, in Francia diventa così una conseguenza naturale dell’emersione e dei rapporti di lavoro plurimi. Nel nostro paese, solo singole esperienze locali hanno affrontato questi tre temi, senza tuttavia riuscire a dar luogo a un sistema integrato, se non in casi sporadici. Prevalentemente l’incontro domanda/offerta avviene informalmente tramite parrocchie e sindacati, gli albi comunali di assistenti “accreditate” sono pochi e poco aggiornati, la formazione deve essere sia linguistica che professionale ed i corsi di italiano si stanno standardizzando solo da pochi mesi.
Una riforma di questo respiro che gradualmente farebbe evolvere le figure delle assistenti verso qualcosa di simile alle operatrici socio-sanitarie, rendendo più stabile e meno precario l’intero sistema, oggi sottoposto ad un incessante turnover, avrebbe certo un costo sul versante contributivo, ma sarebbe compensata da nuove fonti di gettito fiscale. E l’Italia potrebbe anche archiviare, almeno in questo settore, l’ormai obsoleto e ipocrita sistema del decreto flussi su base cronologica, senza illudersi troppo sull’efficacia della formazione all’estero, (la formazione di assistenti famigliari direttamente nei paesi di origine che finora è fallita o è riuscita solo per piccolissimi numeri) sulla quale sembra invece puntare (a legislazione invariata) l’attuale governo.
* Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione.
aggiornamento manuale e quadro della normativa
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Cari amici,
alla pagina
http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2016/settembre/sinottico-normativa-52.html troverete
un quadro aggiornato della norma...
8 anni fa
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