16/01/12

costi di un permesso di soggiorno..

SPESE CON IL CONTRIBUTO DEGLI STRANIERI

di Sergio Briguglio 10.01.2012
Fonte: lavoce.info 
 
Come saranno impiegate le somme derivanti dal contributo di soggiorno richiesto agli stranieri? Metà va a un fondo per il rimpatrio degli espulsi per soggiorno illegale. L'altra metà è suddivisa tra la missione "Ordine pubblico e sicurezza", l'attuazione delle disposizioni sull'Accordo di integrazione e le attività dello Sportello unico per l'immigrazione. Solo l'ultima si configura come la controprestazione di un servizio reso da un ente pubblico. Gli altri casi sembrano contrastare con il principio di eguaglianza e con l'obbligo generale di contribuzione.

Il decreto 6 ottobre 2011 del ministro dell'Economia e delle Finanze (al tempo, Giulio Tremonti), adottato di concerto con il ministro dell'Interno (al tempo, Roberto Maroni) e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale alla fine dell'anno, disciplina il pagamento, da parte degli immigrati stranieri, del contributo previsto dall'articolo 5, comma 2-ter, del decreto legislativo 286/1998, come modificato dalla legge 94/2009 (nota come "legge sicurezza").

CHI LO PAGA

Il contributo è di 80 euro per i permessi di durata non superiore a un anno (generalmente, quelli per motivi di studio, lavoro stagionale, lavoro subordinato a tempo determinato), di 100 euro per i permessi di durata compresa tra uno e due anni (generalmente, i permessi per lavoro subordinato a tempo indeterminato, per lavoro autonomo, per motivi familiari) e di 200 euro per il permesso per soggiornanti di lungo periodo e per i permessi destinati a dirigenti e personale altamente specializzato.
È previsto l'esonero per alcune categorie: coloro che chiedono il permesso per richiesta di asilo, per asilo, per protezione sussidiaria o per motivi umanitari; quanti entrano in Italia per ricevere cure mediche e i loro accompagnatori; coloro che chiedono la conversione del titolo del permesso o, più semplicemente, un aggiornamento dei dati. Esonerati anche gli stranieri minorenni e gli stranieri di cui all'articolo 29, comma 1, lettera b, Dlgs 286/1998, ossia di nuovo i figli minorenni degli stranieri. Si tratta probabilmente di un refuso ministeriale che, raddoppiando pleonasticamente l'esonero per i minori, ha trascurato una categoria che avrebbe invece meritato attenzione: i figli maggiorenni totalmente invalidi (articolo 29, comma 1, lettera c, Dlgs 286/1998).
Restano ferme le disposizioni che già gravano l'immigrato del costo del permesso in formato elettronico, dell'imposta di bollo e della somma dovuta a Poste italiane per l'inoltro della richiesta del permesso: in tutto, altri 72 euro.

COME SARÀ SPESO

La destinazione delle somme ricavate dallo Stato dalla riscossione del contributo era indicata dall'articolo 14-bis, comma 2, del Dlgs 286/1998, anch'esso inserito dalla legge 94/2009. Era stabilito che metà del gettito fosse destinata ad alimentare un fondo per il rimpatrio degli stranieri da espellere per soggiorno illegale, l'altra metà a sostenere le attività legate al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno. Il decreto, ora, specifica in modo articolato la destinazione di questa seconda metà: il 40 per cento di essa (20 per cento del totale) è riservato alla missione "Ordine pubblico e sicurezza" di competenza del dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell'Interno, il 30 per cento (15 per cento del totale) all'attuazione delle disposizioni sull'Accordo di integrazione, il restante 30 per cento (15 per cento del totale) alle attività dello Sportello unico per l'immigrazione.
Tra le quote in cui viene così diviso il contributo, solo l'ultima ha certamente natura di tassa: un ammontare di denaro pagato dal contribuente come controprestazione di un servizio reso da un ente pubblico. Che si tratti, poi, di un tributo equo o iniquo dipende dalla qualità del servizio offerto. Fino a oggi, la qualità è stata molto scadente, stante il divario tra il tempo impiegato dall'amministrazione per dar risposta alle richieste di rilascio e rinnovo del permesso (mesi) e quello imposto dalla legge (20 giorni).
Quanto alla quota che va ad alimentare il fondo per i rimpatri, si impone una diversa considerazione. Il rimpatrio degli stranieri in condizioni di soggiorno illegale è considerato, nell'ambito della normativa italiana e dell'Unione europea, un obiettivo di interesse comune. Non si tratta di un servizio di cui ciascun privato possa decidere se avvalersi o meno. Dovrebbe essere allora finanziato attraverso imposte. Finanziarlo, come si prevede di fare, con un prelievo a carico del solo immigrato regolarmente soggiornante, e non anche del cittadino italiano, sembra difficilmente compatibile col principio di eguaglianza e con l'obbligo generale di contribuzione alla spesa pubblica, sanciti rispettivamente dagli articoli 3 e 53 della Costituzione.
Una critica analoga può essere mossa in relazione al 20 per cento destinato alla missione "Ordine e sicurezza pubblica", se il gettito servirà a finanziare operazioni relative, appunto, alla pubblica sicurezza. Se così fosse, una seconda censura dovrebbe essere mossa per il fatto che una destinazione del genere contraddice palesemente la disposizione di legge cui il decreto ministeriale dovrebbe dare attuazione. È possibile però che, avaro di chiarimenti, il decreto abbia inteso destinare la somma alle attività che, nell'ambito di quella missione, vengono svolte in relazione a rilascio e rinnovo dei permessi. In questo caso, tuttavia, dovrebbe preoccupare lo sperpero di denaro pubblico, non essendo facile comprendere come la questura possa spendere tra i 20 e i 40 euro per verificare nelle banche dati delle amministrazioni competenti se a carico dello straniero che chiede il permesso esistano condanne ostative o segnalazioni da parte di altri Stati Schengen.
Quanto alla quota del 15 per cento destinata all'attuazione dell'Accordo di integrazione, se andasse a finanziare attività mirate all'integrazione degli stranieri (ad esempio, realizzazione di corsi di lingua italiana), si tratterebbe ancora di una tassa assolutamente legittima. L'Accordo di integrazione, però, difficilmente può essere descritto come un servizio prestato allo straniero. Si tratta, in realtà, della sottoposizione dello straniero a un esame, allo scadere del secondo anno di soggiorno: se lo straniero lo supera, ottiene vantaggi assai blandi (nella forma di non meglio specificate agevolazioni per la fruizione di attività culturali e formative); se non lo supera, subisce un danno (di entità variabile) sotto il profilo della permanenza legale in Italia. Scambiarlo per un sostegno all'integrazione è peggio che confondere gli esami di ammissione all'università con il corso di laurea.

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