L’Europa, l’Italia e un decennio di politiche fondate sulla violenza
È
arrivato definitivamente il momento. L’apertura di un corridoio
umanitario, così come chiesto dall’appello, promosso da Melting Pot e
firmato da tantissime realtà italiane, che in queste ore sta facendo il
giro d’Italia, rappresenta il minimo del minimo di ciò che si dovrebbe
fare.
Fonte: meltingpot.org
Ma l’appello non parla assolutamente lo stesso linguaggio di chi, dalla
politica istituzionale, usa la stessa espressione. Più di qualcuno,
nella seduta parlamentare odierna, ha parlato di
“dare risposta alle necessità dell’accoglienza in quei luoghi da cui le persone fuggono”,
appellandosi in questo senso al bisogno di aprire un “corridoio
umanitario”. Questo significherebbe, però, e chi lo dice da parte
governativa non può che essere cosciente della propria ipocrisia,
avanzare in quella prassi criminale dell’esternalizzazione dell’asilo
che fino ad ora ha prodotto solo morte quanto e più dei cosiddetti
“viaggi della speranza”.
Quella dell’esternalizzazione della
“gestione” dei profughi, ovvero della sua delega ai paesi considerati
“terzi sicuri” in prossimità delle zone di guerra o di violenza
generalizzata, è una politica che l’Unione europea, a intervalli, cerca
di promuovere almeno dalla fine degli anni Novanta. È una politica che
ancora una volta mette davanti all’urgenza di tutelare le persone e i
loro diritti, quella di controllare le frontiere esterne del continente.
È una politica che per anni ha permesso di dichiarare la Libia, la
Tunisia o l’Egitto come “paesi terzi sicuri”, anche quando erano retti
da dittatori che, quando è convenuto, sono stati tacciati di essere dei
criminali contro l’umanità.
Per questo, l’appello chiede
l’apertura di canali umanitari “fino” all’Europa, esigendo un’inversione
di tendenza prima di tutto culturale verso le migrazioni.
Ciò
significherebbe, innanzitutto, abrogare quella Convenzione di Dublino
che gioca a domino con la vita dei profughi, ma anche rivedere le leggi
nazionali dell’Europa, a cominciare dall’italiana Bossi-Fini, che tutto
tiene in conto tranne la dignità dei migranti.
Qualche
mese fa, su questo stesso sito, parlavamo dell’Unione europea, delle sue
politiche di immigrazione e asilo a senso unico scrivendo che
“La
gestione istituzionale del diritto d’asilo interroga profondamente le
realtà politiche circa i principi che vengono posti alla base del loro
agire. Essa misura la qualità delle democrazie occidentali, che si
arrogano la facoltà “umanitaria” di muovere azioni di guerra in nome dei
diritti umani, sacrificandoli però costantemente, sull’altare della
sicurezza o della scarsità di risorse economiche, all’interno dei loro
territori”.
Nello stesso articolo sottolineavamo come il
numero di profughi che raggiunge l’Italia ogni anno dal mare sia meno
del 15% del numero complessivo dei migranti che fanno ingresso sul
territorio in altri modi. Che più dell’80% dei rifugiati del pianeta
sono accolti da paesi confinanti dei vari Sud del mondo, che l’Italia ha
un numero di richieste di asilo molto ridotto se confrontata ad altri
paesi europei come la Francia o la Germania, che la solidarietà tra
membri Ue in tema di immigrazione e asilo non può continuare a
manifestarsi soltanto nel gioco del rimpallo di responsabilità dall’uno
all’altro nei momenti di “emergenza” (come dopo le primavere arabe) o di
condivisione dell’approccio militare verso i migranti. Concludevamo
dicendo che “Ridefinire senza ipocrisie i criteri della solidarietà
europea in tema d’asilo, spogliandola dalla logica esclusiva del
“burden sharing”
e arginando le speculazioni economiche e propagandistiche che troppo
spesso accompagnano e orientano l’accoglienza dei richiedenti asilo e
dei rifugiati, significherebbe inoltre, nel caso dell’Unione,
ripensare anche la qualità politica dell’Unione stessa,
e la veridicità del suo proclamato fondarsi, anche in tempo di crisi,
sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti
umani”.
Fare oggi il conto delle responsabilità è importante, e non solo
perché sarebbe giusto, qualche volta, che chi contribuisce a causare la
morte di migliaia di migliaia di persone venga individuato come
responsabile di fronte al mondo, in modo almeno da non avere più la
possibilità di farlo ancora, ma soprattutto perché, a partire
dall’identificazione delle responsabilità, è possibile provare a capire
la strada migliore per trovare delle soluzioni reali.
E quindi partiamo dall’inizio.
Il primo dato, quello che deve essere indiscutibile, è che
nessuno
deve più morire cercando di raggiungere l’Europa. Che è cosa diversa
dal dire: Nessuno deve più morire davanti ai nostri occhi.
E allora taccia la Lega Nord, ora e per sempre. Perché non è più
possibile essere costretti ad ascoltare le sue infamie, le sue
indecenze, la sua ignoranza colpevole, la sua ferocia gretta.
Si è sentito dire, in questi due giorni, che “ai tempi di Maroni il
problema era risolto perché nessuno arrivava e nessuno moriva, grazie ai
respingimenti”.
Ebbene, I respingimenti sono stati il più grande crimine di stato commesso dall’Italia dopo l’epoca fascista.
Migliaia di persone, uguali a quelle che sono morte ieri a Lampedusa,
ugualmente bambini e donne e uomini venuti da guerre e violenze da cui
stavano cercando di scappare, sono stati fermati in mezzo al mare,
ingannati e ricondotti indietro. Poi consegnati nelle mani dei
carcerieri libici di Gheddafi e da lì messi a morire nelle carceri
pagate coi soldi italiani, o ributtati nel deserto di sabbia, che è
l’altro cimitero delle migrazioni. E chi è sopravvissuto a stento, è poi
morto durante la guerra di Libia, nell’olocausto dei migranti
subsahariani considerati tutti, lo ricorderete, oppositori o dei ribelli
o della dittatura morente. Oppure di nuovo per mare, a morire lo
stesso, fino a ieri. E chissà quante persone tra quelle andate a picco,
annegate, bruciate vive, avevano già cercato di raggiungere questa
terra.
E se la Corte europea dei diritti umani ha imposto all’Italia di
fermarsi con questo scempio di vite, condannando i respingimenti di
Maroni - bisognerebbe dirlo all’Onorevole Stefania Prestigiacomo che
ieri sera a Porta a Porta distingueva le retoriche razziste della Lega
dalle prassi ragionevoli ed equilibrate che hanno seguito quando erano
al governo – centinaia di respingimenti, tutti i giorni, continuano dai
nostri porti dell’Adriatico verso la Grecia.
E se da altre frontiere non è possibile passare, si cercheranno altre vie, a tutti i costi.
Immaginate di essere una madre o un padre con i vostri bambini sotto i
fuochi di una guerra che non smette da decenni o che è appena cominciata
senza che se ne veda la fine.
Restare significa morire quasi sicuramente.
Partire significa avere una possibilità di salvare la vita dei vostri figli. Di quelli nati, di quelli che sono in grembo.
Cosa fareste, voi?
Cosa farebbe uno qualunque dei “militanti” della Lega Nord davanti a
chi, dopo che hai percorso migliaia di chilometri a piedi o tra le mani
dei trafficanti, dopo essere stato stuprato e umiliato, ti respinge
semplicemente al mittente perché l’unica cosa importante è che tu non
gli venga a morire davanti, compromettendo i suoi racconti
colpevolmente paranoici che narrano di un’immigrazione criminale e
pericolosa?
Pericolosa per chi? Per la nostra economia che senza i migranti
colerebbe a picco? Per le nostre famiglie che senza il lavoro servile, a
volte neoschiavistico delle donne venute da lontano non avrebbero dove
lasciare i loro vecchi?
E ditelo finalmente, senza più mezzi
termini, che solo a questo servono leggi come la Bossi-Fini. A immettere
nel mercato del lavoro persone per sempre inferiorizzate, a diritti
ridotti, da sfruttare perché i nostri tenori di vita, anche in tempo di
crisi, non subiscano ribassi troppo significativi.
Per entrare in Italia devi già avere un contratto di lavoro. Cosa
significa questo se non un invito alla clandestinizzazione dei migranti e
all’illegalità per chiunque li assuma?
Cosa significa questo, se non un regalo alle organizzazioni che trafficano uomini e donne attraverso le frontiere?
Maroni, Salvini, o chiunque per voi, ma davvero assumereste per “badare”
a vostra madre una donna che non avete mai visto in faccia prima? E
come pensate che siano arrivate quel milione e mezzo di “badanti” che
magari sono state poi regolarizzate con una sanatoria, ma dopo anni che
lavoravano casa di tre milioni di famiglie italiane?
E solo per
perpetrare queste ipocrisie e lasciare che milioni di migranti
entrassero in Italia e qui vi lavorassero e contribuissero allo sviluppo
economico e demografico del paese, ma portandosi il marchio della
“clandestinità” ed essendo sempre ricattabili, si è gridato all’assalto,
all’invasione, alle ondate e alle maree di quegli altri migranti,
quelli che arrivano dal mare, quelli che oggi tutti piangono.
Tutte persone che hanno diritto all’asilo o ad altre forme di protezione umanitaria.
Tutte persone che costerebbero a questo paese e sarebbe meno facilmente
sfruttabili. Tutte persone criminalizzate costantemente negli anni,
usando la loro immagine per fomentare le paure di un paese in crisi e
creare il capro espiatorio di fronte a problemi che la politica non
vuole risolvere, come l’impoverimento di tante famiglie e la precarietà
esistenziale di noi tutti, che nulla hanno a che fare con le migrazioni
verso l’Italia.
Sulla loro pelle, letteralmente, si è costruita la
legittimazione popolare di leggi che riducono esseri umani a
non-persone; sulla loro pelle è stata fatta passare la costante
ricattabilità su base razzista come un principio equo di riforma del
mercato del lavoro.
Sullo spettacolo della frontiera di Lampedusa si è costruito il consenso
per varare pacchetti sicurezza come quello del 2009 che, con
l’introduzione del “reato di immigrazione clandestina” trasformano senza
sosta le vittime in colpevoli.
Dietro la “Lotta all’immigrazione
clandestina”, si nasconde da anni, in Italia, una battaglia
istituzionale contro la dignità dei migranti
tout court, con la
conseguenza di alcuni milioni di persone discriminate rispetto
all’esercizio di diritti sanciti come universali, persino quello di
avere vicino a sé la propria famiglia. Si pensi ad esempio alle norme
che rendono estremamente difficoltoso il ricongiungimento familiare,
irrigidite con il medesimo pacchetto sicurezza già citato e che
contribuiscono non poco a sottolineare la precarietà che si vuole
intrinseca alla condizione migrante.
Ma continuiamo nella lista degli orrori.
I superstiti di Lampedusa raccontano che alcune barche li avevano visti e ignorati.
È più facile che, come è successo, siano i turisti a portare in salvo i
naufraghi, che non i pescatori che poi si trovano soli a dover
fronteggiare accuse surreali, come quelle di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina.
Ricorderete ancora
quel che è successo, solo qualche anno fa,
ai pescatori tunisini imputati in un processo infinito che gli ha
rovinato la vita, per avere soccorso e portato in Italia decine di
profughi
Come nel bellissimo film “Terraferma” di Crialese, i pescatori si
interrogano, novelli Antigone, tra seguire le leggi della loro umanità e
le leggi storiche del mare, o sottomettere il loro senso di
pietas alle imposizioni di normative che colpevolizzano la solidarietà e ragionano solo in termini di sicurezza e controllo.
Sicurezza e controllo che sono i principi ispiratori di tutte le leggi
italiane ed europee in materia di asilo e immigrazione. Sicurezza e
controllo che sono gli obiettivi principali di Frontex, il sistema di
controllo esterno dell’Unione europea. Il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano chiede che, per non provare più questa “vergogna e
questo orrore”, Frontex abbia accesso a tutte le risorse necessarie.
Ma è la sua vocazione militare e di difesa che andrebbe sovvertita. Non
servono più soldi, ma si deve riconvertire la destinazione delle risorse
esistenti.
Milioni e milioni di euro destinati ai pattugliamenti, per poi lasciare annegare 300 persone a mezzo miglio dalle nostre coste.
Milioni e milioni di euro spesi nei controlli delle frontiere marittime e
terrestri e negli inutilissimi e terrificanti centri di identificazione
ed espulsione, per poi dire che non ci sono risorse da investire in
un’accoglienza degna.
Lascia quasi attoniti chi da anni ed anni
combatte insieme ad altri, sempre troppo pochi, contro tutte le
ipocrisie di queste leggi e di queste prassi, ascoltare le parole di
Papa Francesco, sentirsi minimamente confortati, in tutto questo dolore e
in tutta questa rabbia, da un lutto nazionale seppure indetto troppo
tardi, immaginare che nelle scuole, oggi, finalmente, si sia parlato di
donne e uomini e bambini e che, forse, nessuno abbia osato chiamarli
“clandestini”.
E adesso però andiamo avanti. E pretendiamo
l’apertura di un canale umanitario vero, fino a noi, convertendo i
soldi spesi per militarizzare le frontiere contro queste persone, in
fondi per un’accoglienza vera. Aboliamo la legge Bossi-Fini e accettiamo
finalmente che non è possibile riprodurre forme di schiavismo
post-moderno non pagandone i costi sociali e umani.
E pretendiamo questo dall’Europa, ma cominciando dall’Italia e dai noi stessi:
di rifondare politicamente la sua identità su principi diversi da
quelli dell’apartheid, della paura, dello sfruttamento che fino ad ora, a
parte le misure di austerity e la devastazione dei sistemi di welfare,
sembrano essere le uniche cose su cui l’Unione europea ha saputo essere
una e unita.
Ci sono voluti corpi straziati, messi in fila, uno
dopo l’altro, fino a riempire ogni metro delle banchine di Lampedusa,
perché in qualche forma questi discorsi cominciassero finalmente ad
avere una cittadinanza.
Ma la strada è lunga e le lacrime di oggi non tutti meriterebbero di poterle piangere.
Non
dimentichiamoci che quando, in una notte di settembre del 2010 una
motovedetta libica regalata dall’Italia sparò trenta colpi di mitra su
un peschereccio di Mazara del Vallo che si trovava in acque
internazionali, il Ministro dell’Interno italiano rassicurò l’opinione
pubblica dichiarando: “è stato solo un incidente. Pensavano si trattasse
di clandestini”. E tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Nessun commento:
Posta un commento