da SIAMO TUTTI STRANIERI
di Gabriella
a cura dell’Avv. Guido Savio
Fonte: http://www.meltingpot.org/
In merito all’emanazione del decreto flussi per l’assunzione di cittadini stranieri, si pongono i consueti interrogativi circa la sua applicabilità a persone destinatarie di un decreto di espulsione (non importa se effettivamente eseguito o comminato sulla carta), e ai condannati per reati connessi (artt. 14, co. 5 ter e quater; 13 co. 13 e 13 bis T.U. imm.). Un chiarimento, a tal proposito, si rende necessario dopo l’esperienza della emersione colf e badanti del settembre 2009, che, a seguito di una discutibilissima circolare del capo della polizia del marzo scorso, ha determinato l’esclusione dalla regolarizzazione delle persone condannate per non aver ottemperato all’ordine di allontanamento emesso dal questore, con un lungo contenzioso giudiziario di cui non si vede ancora un esito positivo.
Vero è che sul piano giuridico decreto flussi e regolarizzazione sono istituti distinti, posto che il primo presuppone che il lavoratore straniero non sia in Italia e che domanda e offerta di lavoro si incontrino virtualmente, mentre la regolarizzazione avviene sur place, ma è ancor più vero che – ormai possiamo dire storicamente – le richieste di assunzione di lavoratori stranieri tramite il c.d. “decreto flussi” si fondano sulla finzione che il lavoratore non sia in Italia, per la ovvia ragione che l’incontro virtuale tra domanda e offerta di lavoro non funziona. La conseguenza è che assai spesso lavoratori stranieri e datori di lavoro confondono i due distinti istituti e considerano il decreto flussi una regolarizzazione, al punto che tale confusione di piani è ormai entrata nel discorso mediatico.
La realtà è che il decreto flussi è diventato una sorta di sanatoria mascherata: ottenuto il nulla osta, il lavoratore – che finge di essere fuori Italia – abbandona alla chetichella il nostro paese, nella speranza di non essere intercettato, e ritirato il visto d’ingresso presso le nostre rappresentanze consolari, si appresta a fare ingresso ora finalmente legale, nel territorio italiano. E qui possono verificarsi sgradevoli sorprese. Vediamole brevemente.
Gli effetti delle espulsioni: cenni generali
Tutte le espulsioni comportano un divieto di reingresso, ordinariamente decennale, nel territorio dello Stato e degli altri Paesi dell’area Schengen. Tale divieto di reingresso decorre dal momento in cui lo straniero ha effettivamente abbandonato l’Italia: non importa se volontariamente, ottemperando ad un ordine della P.A., o coattivamente. Consegue che se un’espulsione è stata comminata anni addietro, ma lo straniero non ha lasciato il territorio italiano, non sia mai iniziato il decorso del divieto di reingresso. La P.A. può tuttavia prescrivere un divieto di reingresso per un termine inferiore ai dieci anni – in ogni caso mai inferiore a cinque anni – tenendo conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza (legale o illegale) in Italia.
Questo dato è fondamentale per comprendere le conseguenze che gravano sul lavoratore straniero – che sia stato precedentemente espulso – in caso di presentazione di richiesta nominativa di assunzione tramite il decreto flussi: ovviamente, infatti, se il termine che vieta il reingresso dell’espulso in Italia non è ancora spirato, non potrà essere consentito il rilascio del nulla osta o del visto, ad eccezione delle ipotesi – peraltro frequenti – di espulsioni comminate con false generalità, differenti, quindi, da quelle con cui è stata formulata la domanda di assunzione con il decreto flussi, sia pure con le spiacevoli conseguenze che vedremo tra poco.
Gli effetti delle espulsioni: espulsioni comminate con le esatte generalità ma non eseguite
Nelle ipotesi frequentissime di espulsioni comminate con le esatte generalità ma non eseguite (c.d. espulsioni sulla carta), il lavoratore straniero non potrà beneficiare del decreto flussi per due motivi tra loro connessi:
1) non essendosi mai allontanato dall’Italia, non è mai iniziato a decorrere il divieto di reingresso insito nell’espulsione, consegue che – risultando a questura e prefettura un’espulsione perfettamente valida ed eseguibile – queste non possano rilasciare il nulla osta all’assunzione perché lo straniero non potrebbe ottenere il necessario visto d’ingresso proprio a causa del divieto di reingresso;
2) se l’espulsione, pur comminata, non è stata eseguita, vuol dire che il lavoratore straniero era destinatario di un ordine di allontanamento cui non ha ottemperato. Egli pertanto deve essere obbligatoriamente arrestato, ai sensi dell’art. 14, co. 5 quinquies, D. Lgs. 286/98, e rischia, in caso di condanna, la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è da sei mesi ad un anno di reclusione se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta di permesso di soggiorno è stata rifiutata ( per queste ultime ipotesi non è consentito l’arresto in flagranza). In questi casi, risultando le esatte generalità dello straniero espulso, che coincidono con quelle con cui viene effettuata la richiesta di assunzione col decreto flussi, è ovvio che la P.A. sarà a conoscenza della causa ostativa e non rilascerà né nulla osta né visto.
continua
20 anni senza Dino Frisullo
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1 anno fa
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