Fonte: lavoce.info
La crisi economica mondiale ha avuto effetti importanti sulle migrazioni internazionali. Perché la forza lavoro straniera risulta più sensibile al ciclo economico e quindi più penalizzata nelle fasi di recessione. E in Italia? Il forte peggioramento della situazione occupazionale, con una crescita della disoccupazione e una maggior difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro riguarda nello stesso modo lavoratori italiani e stranieri. Sostanzialmente inalterati gli svantaggi di fondo che caratterizzano la condizione degli immigrati nel nostro mercato del lavoro.
La crisi economica mondiale ha avuto effetti importanti sulle migrazioni internazionali. Perché la forza lavoro straniera risulta più sensibile al ciclo economico e quindi più penalizzata nelle fasi di recessione. E in Italia? Il forte peggioramento della situazione occupazionale, con una crescita della disoccupazione e una maggior difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro riguarda nello stesso modo lavoratori italiani e stranieri. Sostanzialmente inalterati gli svantaggi di fondo che caratterizzano la condizione degli immigrati nel nostro mercato del lavoro.
La crisi economica mondiale ha avuto effetti importanti sulle migrazioni internazionali, sulle variazioni dei flussi in entrata e in uscita dai paesi di destinazione, sul livello delle rimesse economiche dei lavoratori stranieri verso i paesi di origine e, non ultimo, sulla situazione occupazionale dei lavoratori stranieri nei mercati del lavoro dei paesi d'arrivo.
CRISI ECONOMICA E IMMIGRAZIONE
La forza lavoro straniera, rispetto a quella autoctona, risulta più sensibile al ciclo economico, e quindi più penalizzata nelle fasi di recessione, per la segmentazione in settori più esposti alle fluttuazioni economiche, per la maggiore quota di lavoratori con contratti di durata prefissata, per la minore stabilità del posto di lavoro anche a parità di contratto e per la maggiore probabilità di essere soggetti a licenziamenti selettivi. (1) Tuttavia, intensità e caratteristiche degli effetti dipendono, ovviamente, dalla portata della crisi sui diversi sistemi produttivi nazionali e dal ruolo che nei vari mercati del lavoro svolgono i lavoratori stranieri. Ogni paese presenta, quindi, una sua situazione particolare e non fa certo eccezione l'Italia, dove la crescita straordinaria registrata nella presenza straniera nel decennio appena concluso è legata a una serie di rilevanti deficit strutturali che hanno alimentato la domanda di lavoro immigrato. (2)
L'ANDAMENTO DEL FENOMENO
Secondo i dati anagrafici, la popolazione straniera residente continua a crescere anche in questi anni di crisi economica. A inizio 2011 le stime indicano quasi 4,6 milioni di stranieri residenti e l'incremento, pur rallentando, è stato di 328mila unità nel corso del 2010. Parallelamente, secondo le indagini sulle forze di lavoro, è anche aumentata la presenza straniera nel mercato del lavoro. Gli stranieri nelle forze di lavoro sono passati da 1,9 milioni del 2008 a 2,4 del 2010, per effetto di una crescita di 330mila unità tra gli occupati e di 110mila tra i disoccupati stranieri. Complessivamente, gli stranieri sono arrivati così a rappresentare più del 9 per cento delle forze di lavoro e degli occupati e il 13 per cento dei disoccupati. In termini quantitativi, quindi, la crisi non sembra aver invertito la tendenza alla crescita del lavoro straniero, anche se è necessaria una buona dose di prudenza nel considerare questi dati, che sono probabilmente sovrastimati, per le difficoltà del dato anagrafico (che serve da base all'indagine sulle forze di lavoro) di dar conto con precisione dei flussi migratori in uscita dall'Italia.
Ma le distorsioni dovrebbero attenuarsi considerando misure relative della partecipazione al mercato del lavoro. In questo caso appare evidente (tabella 1) che la crisi ha colpito molto più i lavoratori stranieri di quelli italiani e poco più le lavoratrici straniere di quelle italiane. In particolare, nel biennio 2008-2010, i tassi di attività e quelli di occupazione sono diminuiti più tra gli stranieri che tra gli italiani e il tasso di disoccupazione degli stranieri è cresciuto del 73 per cento contro il 32 per cento degli autoctoni. Tra le donne, le variazioni e le differenze sono più attenuate e, nel complesso, le straniere sembrano aver risposto alla crisi economica quasi come le italiane.
Tabella 1: Tassi di attività, occupazione e disoccupazione di stranieri e italiani, 15-64 anni. 2008 e 2010 (%)
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro
LE TRANSIZIONI OCCUPAZIONALI
La struttura panel della rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat permette di costruire matrici di transizione della condizione lavorativa delle persone intervistate a distanza di dodici mesi. I dati relativi alle transizioni avvenute tra 2008 e 2009 (tabella 2) mostrano per gli occupati stranieri, in confronto agli italiani, una minor frequenza di persone che rimangono nella condizione di occupato, una maggior probabilità di passare in stato di disoccupazione e una minore di uscire dal mercato del lavoro. Parallelamente, se consideriamo gli stranieri che nel 2008 erano disoccupati o inattivi, questi presentano, sempre rispetto agli italiani, una maggior quota di persone che nel 2009 erano occupate e disoccupate, e una più bassa percentuale di transiti o permanenze in condizioni di inattività. Nel complesso, gli stranieri mostrano una minore capacità di mantenere il lavoro, ma anche una maggiore probabilità di trovarne uno se disoccupati o inattivi. Una situazione che appare legata alla maggior flessibilità del lavoro straniero e ai minori ammortizzatori sociali e familiari a disposizione degli immigrati, che hanno meno possibilità di transitare o restare in una condizione di inattività.
Tabella 2: Transizioni occupazionali nel mercato del lavoro italiano dei 15-64enni per sesso e cittadinanza nel 2008-09 (percentuali di riga)
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro.
LE RAGIONI DELLE DIFFERENZE TRA ITALIANI E STRANIERI
Tramite l’utilizzo di queste informazioni si è cercato anche di analizzare la possibile relazione tra transizioni occupazionali e variabili strutturali per l’intervallo che va dal 2006 al 2009. Le relazioni sono state analizzate sia negli anni “normali” che in quelli di maggiore crisi economico-occupazionale. (3)
La crisi ha comportato, come è ovvio, un netto peggioramento della situazione: complessivamente la probabilità di perdere il lavoro è aumentata del 30 per cento tra il 2008 e il 2009 rispetto a quanto avveniva due anni prima. Particolarmente toccata è stata l’industria, in cui la probabilità di passare dalla condizione di occupato a quella di disoccupato è aumentata molto più che negli altri settori produttivi. Non sembra invece peggiorare, in termini relativi, la situazione dei lavoratori stranieri: il loro svantaggio rispetto agli italiani, che era del 30 per cento tra 2006 e 2007, è salito solo al 31 per cento tra 2008 e 2009. Una differenza minima, che mostra come sotto questo profilo la crisi economica non abbia comportato cambiamenti nelle modalità di funzionamento del mercato del lavoro italiano.
Nell’anno di crisi, gli stranieri presentano anche una minore probabilità relativa rispetto agli italiani di passare dall’occupazione all’inattività. Un risultato che conferma un altro aspetto della maggiore fragilità della popolazione straniera nei confronti della popolazione autoctona: quest'ultima può infatti contare su una più solida rete sociale e familiare a copertura di periodi di inattività, in caso di perdita del lavoro. Nel complesso, invece, non si registrano differenze significative tra italiani e stranieri nel rischio di restare intrappolati nella disoccupazione. Un rischio che è molto più influenzato dall’età, dal livello di istruzione e dalla ripartizione di residenza che non dalla cittadinanza.
In definitiva, la crisi sembra aver colpito nello stesso modo italiani e stranieri e non aver modificato gli svantaggi di fondo che caratterizzano la condizione degli immigrati nel nostro mercato del lavoro. Tutto ciò è ovviamente avvenuto in un contesto che ha visto un forte e complessivo peggioramento della situazione occupazionale, con una crescita della disoccupazione e una maggior difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Quello che non è cambiato è la distanza che separa gli stranieri dagli italiani, rimasta sostanzialmente inalterata durante la crisi. Ciò è sicuramente dipeso dal particolare impatto che la crisi ha sinora avuto sul sistema produttivo italiano, ma anche dal ruolo strutturale che il lavoro immigrato ha ormai all’interno della nostra economia.
* L'articolo è presente anche su www.neodemos.it
(1) Oecd (2010), International Migration Outlook: Sopemi 2010.
(2) C. Bonifazi, L’immigrazione è solo un problema di sicurezza?, Neodemos
(3) A questi scopi, si è fatto ricorso a modelli di regressione logistica multinomiale. La variabile risposta infatti può assumere le modalità della condizione occupazionale a distanza di dodici mesi: inattivo; in cerca di occupazione; occupato. La categoria di riferimento è costituita dagli individui che nell’anno t+1 hanno un lavoro. I casi selezionati riguardano la popolazione in età lavorativa di 15-64 anni occupata/disoccupata al tempo t.
CRISI ECONOMICA E IMMIGRAZIONE
La forza lavoro straniera, rispetto a quella autoctona, risulta più sensibile al ciclo economico, e quindi più penalizzata nelle fasi di recessione, per la segmentazione in settori più esposti alle fluttuazioni economiche, per la maggiore quota di lavoratori con contratti di durata prefissata, per la minore stabilità del posto di lavoro anche a parità di contratto e per la maggiore probabilità di essere soggetti a licenziamenti selettivi. (1) Tuttavia, intensità e caratteristiche degli effetti dipendono, ovviamente, dalla portata della crisi sui diversi sistemi produttivi nazionali e dal ruolo che nei vari mercati del lavoro svolgono i lavoratori stranieri. Ogni paese presenta, quindi, una sua situazione particolare e non fa certo eccezione l'Italia, dove la crescita straordinaria registrata nella presenza straniera nel decennio appena concluso è legata a una serie di rilevanti deficit strutturali che hanno alimentato la domanda di lavoro immigrato. (2)
L'ANDAMENTO DEL FENOMENO
Secondo i dati anagrafici, la popolazione straniera residente continua a crescere anche in questi anni di crisi economica. A inizio 2011 le stime indicano quasi 4,6 milioni di stranieri residenti e l'incremento, pur rallentando, è stato di 328mila unità nel corso del 2010. Parallelamente, secondo le indagini sulle forze di lavoro, è anche aumentata la presenza straniera nel mercato del lavoro. Gli stranieri nelle forze di lavoro sono passati da 1,9 milioni del 2008 a 2,4 del 2010, per effetto di una crescita di 330mila unità tra gli occupati e di 110mila tra i disoccupati stranieri. Complessivamente, gli stranieri sono arrivati così a rappresentare più del 9 per cento delle forze di lavoro e degli occupati e il 13 per cento dei disoccupati. In termini quantitativi, quindi, la crisi non sembra aver invertito la tendenza alla crescita del lavoro straniero, anche se è necessaria una buona dose di prudenza nel considerare questi dati, che sono probabilmente sovrastimati, per le difficoltà del dato anagrafico (che serve da base all'indagine sulle forze di lavoro) di dar conto con precisione dei flussi migratori in uscita dall'Italia.
Ma le distorsioni dovrebbero attenuarsi considerando misure relative della partecipazione al mercato del lavoro. In questo caso appare evidente (tabella 1) che la crisi ha colpito molto più i lavoratori stranieri di quelli italiani e poco più le lavoratrici straniere di quelle italiane. In particolare, nel biennio 2008-2010, i tassi di attività e quelli di occupazione sono diminuiti più tra gli stranieri che tra gli italiani e il tasso di disoccupazione degli stranieri è cresciuto del 73 per cento contro il 32 per cento degli autoctoni. Tra le donne, le variazioni e le differenze sono più attenuate e, nel complesso, le straniere sembrano aver risposto alla crisi economica quasi come le italiane.
Tabella 1: Tassi di attività, occupazione e disoccupazione di stranieri e italiani, 15-64 anni. 2008 e 2010 (%)
Anni | Tasso di attività | Tasso di occupazione | Tasso di disoccupazione | |||
Stranieri | Italiani | Stranieri | Italiani | Stranieri | Italiani | |
Maschi | ||||||
2008 | 87,1 | 73,5 | 81,9 | 69,5 | 6,0 | 5,6 |
2010 | 85,1 | 72,3 | 76,2 | 67,0 | 10,4 | 7,4 |
Var. % | -2,4 | -1,7 | -6,9 | -3,6 | 72,9 | 32,1 |
Femmine | ||||||
2008 | 59,9 | 51,0 | 52,8 | 46,8 | 11,9 | 8,3 |
2010 | 58,7 | 50,2 | 50,9 | 45,6 | 13,3 | 9,2 |
Var. % | -2,0 | -1,6 | -3,5 | -2,7 | 11,8 | 11,4 |
LE TRANSIZIONI OCCUPAZIONALI
La struttura panel della rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat permette di costruire matrici di transizione della condizione lavorativa delle persone intervistate a distanza di dodici mesi. I dati relativi alle transizioni avvenute tra 2008 e 2009 (tabella 2) mostrano per gli occupati stranieri, in confronto agli italiani, una minor frequenza di persone che rimangono nella condizione di occupato, una maggior probabilità di passare in stato di disoccupazione e una minore di uscire dal mercato del lavoro. Parallelamente, se consideriamo gli stranieri che nel 2008 erano disoccupati o inattivi, questi presentano, sempre rispetto agli italiani, una maggior quota di persone che nel 2009 erano occupate e disoccupate, e una più bassa percentuale di transiti o permanenze in condizioni di inattività. Nel complesso, gli stranieri mostrano una minore capacità di mantenere il lavoro, ma anche una maggiore probabilità di trovarne uno se disoccupati o inattivi. Una situazione che appare legata alla maggior flessibilità del lavoro straniero e ai minori ammortizzatori sociali e familiari a disposizione degli immigrati, che hanno meno possibilità di transitare o restare in una condizione di inattività.
Tabella 2: Transizioni occupazionali nel mercato del lavoro italiano dei 15-64enni per sesso e cittadinanza nel 2008-09 (percentuali di riga)
CONDIZIONE NEL 2008 STRANIERI | CONDIZIONE NEL 2009 STRANIERI | |||||||
Maschi | Femmine | |||||||
occupato | disoccupato | inattivo | totale | occupato | disoccupato | inattivo | totale | |
occupato | 92,5 | 4,6 | 2,9 | 100,0 | 89,2 | 4,8 | 5,9 | 100,0 |
disoccupato | 32,7 | 51,8 | 15,5 | 100,0 | 29,2 | 30,8 | 40,0 | 100,0 |
inattivo | 13,3 | 8,3 | 78,5 | 100,0 | 8,5 | 7,7 | 83,8 | 100,0 |
CONDIZIONE NEL 2008 ITALIANI | CONDIZIONE NEL 2009 ITALIANI | |||||||
Maschi | Femmine | |||||||
occupato | disoccupato | inattivo | totale | occupato | disoccupato | inattivo | totale | |
occupato | 93,4 | 2,4 | 4,2 | 100,0 | 90,4 | 2,4 | 7,2 | 100,0 |
disoccupato | 26,7 | 39,9 | 33,4 | 100,0 | 22,8 | 30,7 | 46,5 | 100,0 |
inattivo | 8,0 | 6,1 | 85,9 | 100,0 | 5,1 | 4,3 | 90,6 | 100,0 |
LE RAGIONI DELLE DIFFERENZE TRA ITALIANI E STRANIERI
Tramite l’utilizzo di queste informazioni si è cercato anche di analizzare la possibile relazione tra transizioni occupazionali e variabili strutturali per l’intervallo che va dal 2006 al 2009. Le relazioni sono state analizzate sia negli anni “normali” che in quelli di maggiore crisi economico-occupazionale. (3)
La crisi ha comportato, come è ovvio, un netto peggioramento della situazione: complessivamente la probabilità di perdere il lavoro è aumentata del 30 per cento tra il 2008 e il 2009 rispetto a quanto avveniva due anni prima. Particolarmente toccata è stata l’industria, in cui la probabilità di passare dalla condizione di occupato a quella di disoccupato è aumentata molto più che negli altri settori produttivi. Non sembra invece peggiorare, in termini relativi, la situazione dei lavoratori stranieri: il loro svantaggio rispetto agli italiani, che era del 30 per cento tra 2006 e 2007, è salito solo al 31 per cento tra 2008 e 2009. Una differenza minima, che mostra come sotto questo profilo la crisi economica non abbia comportato cambiamenti nelle modalità di funzionamento del mercato del lavoro italiano.
Nell’anno di crisi, gli stranieri presentano anche una minore probabilità relativa rispetto agli italiani di passare dall’occupazione all’inattività. Un risultato che conferma un altro aspetto della maggiore fragilità della popolazione straniera nei confronti della popolazione autoctona: quest'ultima può infatti contare su una più solida rete sociale e familiare a copertura di periodi di inattività, in caso di perdita del lavoro. Nel complesso, invece, non si registrano differenze significative tra italiani e stranieri nel rischio di restare intrappolati nella disoccupazione. Un rischio che è molto più influenzato dall’età, dal livello di istruzione e dalla ripartizione di residenza che non dalla cittadinanza.
In definitiva, la crisi sembra aver colpito nello stesso modo italiani e stranieri e non aver modificato gli svantaggi di fondo che caratterizzano la condizione degli immigrati nel nostro mercato del lavoro. Tutto ciò è ovviamente avvenuto in un contesto che ha visto un forte e complessivo peggioramento della situazione occupazionale, con una crescita della disoccupazione e una maggior difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Quello che non è cambiato è la distanza che separa gli stranieri dagli italiani, rimasta sostanzialmente inalterata durante la crisi. Ciò è sicuramente dipeso dal particolare impatto che la crisi ha sinora avuto sul sistema produttivo italiano, ma anche dal ruolo strutturale che il lavoro immigrato ha ormai all’interno della nostra economia.
* L'articolo è presente anche su www.neodemos.it
(1) Oecd (2010), International Migration Outlook: Sopemi 2010.
(2) C. Bonifazi, L’immigrazione è solo un problema di sicurezza?, Neodemos
(3) A questi scopi, si è fatto ricorso a modelli di regressione logistica multinomiale. La variabile risposta infatti può assumere le modalità della condizione occupazionale a distanza di dodici mesi: inattivo; in cerca di occupazione; occupato. La categoria di riferimento è costituita dagli individui che nell’anno t+1 hanno un lavoro. I casi selezionati riguardano la popolazione in età lavorativa di 15-64 anni occupata/disoccupata al tempo t.
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