10/09/11

la tassa sugli invisibili

di Sergio Briguglio
 



Due senatori della Lega propongono un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all’estero da parte di stranieri irregolari. A conti fatti si tratterebbe di un gettito annuo di 7 milioni. Ma il vero scopo è chiaro: colpire chi non ha voce, voto, tutela sindacale. Un modo per mettere le mani nelle tasche di chi – non certo per propria scelta - ha una vita già molto difficile. E, tra l’altro, la proposta fa a pugni con una norma in materia che esiste dal 2009.
La Commissione bilancio del Senato ha approvato un emendamento al decreto-legge 138/2011 (la manovra finanziaria) proposto dai senatori leghisti Garavaglia e Vaccari, che istituisce un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero attraverso istituti bancari, agenzie di money transfer e altri agenti in attività finanziaria. Si tratta di un'imposta del 2 per cento dell'importo trasferito, con un prelievo minimo di 3 euro. Sono esentati dall'imposta i trasferimenti verso stati membri dell'Unione Europea e quelli effettuati da soggetti muniti di matricola Inps e di codice fiscale.

OBIETTIVO: COLPIRE GLI IRREGOLARI

Scopo di questa misura è evidentemente quello di colpire selettivamente le rimesse effettuate da immigrati stranieri (non comunitari) illegalmente soggiornanti. Le esenzioni previste, infatti, proteggono - salvo casi residuali - sia le rimesse effettuate dagli immigrati dell'Unione Europea sia quelle dei lavoratori stranieri legalmente soggiornanti (certamente in possesso di matricola Inps e di codice fiscale).
L'idea di mettere le mani nelle tasche degli stranieri (meglio: dei loro familiari all'estero) non è, di per sé, priva di appeal per una maggioranza che fa molta fatica a individuare fonti di finanziamento dello Stato che non scontentino porzioni significative del proprio potenziale elettorato. Nel 2009, l'ammontare delle rimesse effettuate dall'Italia verso paesi non appartenenti all'Unione Europea è stato superiore a 5 miliardi e mezzo di euro. (1) Il 2 per cento di questa somma è pari a circa 110 milioni di euro, e - fatto molto importante in un contesto di emorragia di consensi - gli immigrati stranieri non votano.
Il limitare l'imposta ai trasferimenti effettuati da stranieri soggiornanti illegalmente riduce, ovviamente, in modo drastico il potenziale beneficio per le casse dello Stato. A quanto ammonti la riduzione non è facile dirlo. Una stima molto approssimativa potrebbe essere fatta valutando per eccesso in 200 mila unità lo stock di lavoratori immigrati irregolari presenti in un dato anno solare; il numero degli stranieri che sono pervenuti, nel triennio 2008-2010, a un permesso di soggiorno per lavoro tramite sanatorie o sanatorie mascherate (gli ingressi nell'ambito della programmazione dei flussi) corrisponde infatti a una media annua di circa 180 mila persone. L'importo delle rimesse dovute a questa fascia della popolazione può essere stimato pari a circa 1.700 euro pro capite per anno (è la media negli ultimi tre anni dei valori riportati da un rapporto della Fondazione Moressa). (2) Se ne ricava un totale di rimesse attribuibili agli immigrati irregolari pari a poco meno di 350 milioni di euro per anno. La tassa fornirebbe allora un gettito annuo dell'ordine di 7 milioni di euro. Non è molto, ma ha il pregio - nell'ottica di chi ha proposto o votato l'emendamento - di pesare solo sulle spalle di soggetti "fuori legge": invisibili, non sindacalizzati e senza voce alcuna.
IL PASSAGGIO OBBLIGATO DEL MIGRANTE
Se l'essere fuori legge fosse frutto di una scelta deliberata da parte dell'immigrato, fatta in spregio alla possibilità di percorrere vie di soggiorno legale, l'idea di sanzionare anche sul piano economico questa condizione avrebbe una sua ragion d'essere, a prescindere dall'entità del gettito atteso. E' noto, però, a chiunque abbia una qualsiasi esperienza in fatto di immigrazione (studiosi, datori di lavoro, insegnanti, funzionari ministeriali, operatori sociali, poliziotti, cittadini comuni) come un periodo di soggiorno illegale sia una fase obbligata dell'avventura migratoria di quasi tutti i lavoratori immigrati. Condizionare, come fa la normativa italiana dal 1986, l'ingresso per lavoro a una chiamata preventiva da parte di un datore di lavoro equivale a porre il lavoratore straniero di fronte a un bivio: aspettare per sempre nel proprio paese una chiamata di un datore di lavoro sconosciuto o venire in Italia come turista, trattenendosi poi oltre la scadenza del periodo di soggiorno autorizzato, in modo da incontrare sul posto un datore di lavoro potenzialmente interessato all'assunzione. Questa seconda opzione - fortunatamente preferita da molti lavoratori stranieri - si traduce appunto in un periodo di soggiorno illegale, seguito da un approdo alla condizione di immigrato legale alla prima occasione utile (sanatoria o emanazione di un “decreto flussi”). Si traduce anche - cosa ancora più importante - nell'esistenza di una preziosissima offerta di lavoro in settori disertati dagli italiani (primo fra tutti, quello dei lavori di cura alla persona) e in un contributo fondamentale al riequilibrio demografico di un paese altrimenti condannato all'invecchiamento. Inutile dire che durante il periodo di soggiorno illegale, i lavoratori stranieri hanno una forza contrattuale evanescente e, quindi, subiscono l'arbitrio del datore di lavoro nella determinazione della retribuzione e delle condizioni di lavoro.
Riesaminata sotto questa luce la presenza dei lavoratori stranieri irregolari (dispostissimi - dipendesse da loro - a regolarizzare la propria posizione), si vede come l'emendamento Garavaglia-Vaccari renda complice lo Stato di quello che nel 1905 il Catechismo maggiore di Pio X (certo non marxista) indicava come uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: "fraudare la mercede agli operai".
INTERFERENZA CON UN’ALTRA NORMA
Quale che sia la valutazione che possa farsi sulla rilevanza e sull'opportunità di una disposizione come quella in esame, appare curiosa l'interferenza che tale disposizione subisce da parte di un'altra, approvata dalla stessa maggioranza, pezzo più pezzo meno. Mi riferisco alla disposizione contenuta nella legge 94/2009 ("Legge sicurezza"), che impone ai gestori di money transfer di comunicare all'autorità locale di pubblica sicurezza i dati identificativi degli stranieri che effettuino rimesse senza esibire il permesso di soggiorno. Scopo di questa norma è quello di ostacolare il trasferimento di denaro da parte dell'immigrato irregolare; non mi è chiaro se per ridurre il flusso di denaro verso l'estero o, semplicemente, per rendere la vita più difficile a chi l'ha già difficile (integrando così un altro dei peccati che gridavano vendetta secondo Pio X: “l'oppressione dei poveri”).
Se la novità introdotta nel 2009 fosse perfettamente efficace, con un completo azzeramento delle rimesse degli immigrati irregolari, quella che il Senato sembra voler introdurre ora avrebbe efficacia nulla (il gettito annuo da aspettarsi sarebbe pari a zero, non a 7 milioni di euro). In realtà, eludere la disposizione del 2009 non presenta alcuna difficoltà: se l'immigrato irregolare gode di un minimo di inserimento (cosa scontata nel momento in cui risulta in grado di effettuare rimesse), gli basta rivolgersi a un qualunque conoscente legalmente soggiornante (italiano, comunitario o straniero che sia) chiedendogli di effettuare il trasferimento di denaro al suo posto. La cosa non si presta neanche a truffe ad opera dell'intermediario, dal momento che nessuno impedisce allo straniero irregolare di accompagnare lo stesso intermediario in agenzia e di verificare che tutto venga eseguito secondo i patti.
A questo punto i sostenitori dell'emendamento Garavaglia-Vaccari vorrebbero tirare un sospiro di sollievo, tornando a sperare in un gettito di 7 milioni per anno. Speranza mal riposta: per eludere anche la nuova disposizione basterà che nel selezionare il proprio intermediario di fiducia lo straniero curi di verificare che sia in possesso di matricola Inps e di codice fiscale. Il che, ancora una volta, è impresa alla portata di ogni straniero irregolare non del tutto emarginato.

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