12/09/11

Terraferma premiato a Venezia

Crialese: l'Italia? spero la salvino gli immigrati
Fonte: l'Unità

Tre giorni di corsa per Emanuele Crialese, unico italiano nel palmarès «grande» di Venezia (l’unico altro italiano, Guido Lombardi, ha vinto per l’opera prima): era a Lampedusa quando è stato richiamato sabato al Lido, ieri a casa e pronto per partire oggi verso Toronto col suo Terraferma, dedicato al tema dell’immigrazione. ( ..)


La stampa estera ha molto apprezzato il suo film: il «New York Times», l’«Observer», «Le Monde»... alla mostra, in fin dei conti, l’Italia del cinema è stata salvata dagli immigrati...

«Sarebbe un bel sogno che l’Italia venisse salvata dagli immigrati. Quello dei migranti è un tema che mi sta particolarmente a cuore, perché la natura dell’uomo è quella di muoversi, di cercare, andare avanti. È fonte di ispirazione per una narrazione, anche perché io per primo sono un migrante: probabilmente la carriera che ho intrapreso nel cinema è stata possibile grazie al fatto che sono partito, che sono andato negli Stati Uniti. So quanto è importante conoscere l’altro, vivere in una cultura diversa e far conoscere la propria. Mi tormenta quindi vedere che una parte dell’umanità, quella povera, non possa essere libera di muoversi nel mondo, come invece lo è la parte più ricca. Credo che non sia ancora possibile storicizzare il «fenomeno immigrazione» di oggi, stiamo assistendo a una specie di sterminio sommerso, non posso associare questa immigrazione a quella degli inizi del secolo, che ha coinvolto noi italiani. L’immigrazione di oggi andrebbe affrontata in un modo più umano, bisogna dare volto e nome a questa gente che attraversa il mare e rischia la vita. Non possiamo essere così insensibili da non vedere. C’è un’urgenza. È necessario per noi riflettere su questo, in Europa siamo il paese meno aperto alla ricezione e all’integrazione. Ecco perché ho deciso di dedicare la mia quarta opera a un tema politico, ma non volevo farlo col pugno teso, perché credo che il modo migliore per raggiungere le persone sia parlare di umanità».

È forse per «troppa umanità» che a detta di alcuni critici, ha rappresentato gli immigrati in maniera oleografica?

«Non riesco a fare un’analisi oggettiva. Forse ci si aspettava da me un film diverso, di denuncia aperta... ma io non riesco a pormi di fronte al mio lavoro come un denunciante. Sollevo delle questioni: il mio ruolo è quello di evocare, domandare, comunicare con un pubblico eterogeneo. Cerco di trovare un linguaggio che parli all’uomo, e alla denuncia preferisco l’allegoria, la metafora, un linguaggio che trovo più giusto per me, è il mio modo di esprimersi. Film documentaristici, ad esempio, non riesco a farne, preferisco parlare di archetipi piuttosto che di attualità. Il mio modo di vedere la vita e la realtà attraverso un’immagine dell’uomo più essenziale, esistenziale».

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