27/11/10

Roma, le crepe del piano nomadi "Cosi è fallito il villaggio modello"


La ricerca dell'associazione "21 luglio", presentata nell'anniversario della Convenzione dei diritti dell'infanzia evidenzia i problemi del campo di via di Salone, simbolo delle politiche rom della giunta Alemanno. "Si alimenta l'esclusione sociale. I bambini pagano il prezzo più alto in termini di diritti violati".
di PASQUALE NOTARGIACOMO e PIETRO CALVISI



Container sovraffollati, isolamento dal centro abitato, "patologie da ghetto" ricorrenti, diritto all'istruzione a rischio, disoccupazione cronica e devianza diffusa. Questo è Il quadro esplosivo che emerge dal campo rom di via di Salone, fiore all'occhiello del piano nomadi a Roma. La denuncia, che arriva da un rapporto presentato questa mattina alla Pontificia Università Gregoriana dall'associazione indipendente "21 luglio", getta un'ombra pesante sulla gestione capitolina dei rom. Il dossier "Esclusi e ammassati", presentato in occasione del ventunesimo anniversario della Convenzione dei diritti dell'infanzia, ha evidenziato in particolare "le situazioni di esclusione, segregazione e privazione di quei diritti che riguardano i minori", valutando le condizioni di vita delle loro famiglie, all'interno del villaggio nella periferia est della capitale.

La ricerca. L'indagine è stata condotta da un team di ricercatori che, dal 1 luglio al 15 settembre scorso, hanno passato ai raggi x la struttura, studiandone le dimensioni delle abitazioni, lo spazio interno del campo e la distanza fra questo e la città di Roma. Nel rapporto si analizzano inoltre sicurezza, educazione e salute. Ne viene fuori un quadro di "illegalità" e di "violazione dei diritti rom", che mette in discussione il piano nomadi della capitale, definito "l'istituzionalizzazione di una dinamica discriminatoria".

Il piano.

"La rivoluzione copernicana" messa nero su bianco dal sindaco Alemanno e sostenuta dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, il 31 luglio del 2009, puntava ad accogliere circa 6mila rom e sinti (1333 famiglie) in 13 "villaggi autorizzati". Il pianeta rom della capitale, secondo i dati resi pubblici nell'estate dello scorso anno, comprendeva 80 insediamenti abusivi (con circa 2200 persone stimate), 14 campi tollerati (con 2736 abitanti) e 7 "villaggi attrezzati" (con 2241 presenze). In totale almeno 7177 rom e sinti distribuiti nei 101 insediamenti censiti nel territorio comunale. "Dall'inizio degli sgomberi, partiti a gennaio di quest'anno al Casilino 900 (uno dei campi storici della città) e arrivati oggi a quota 320, i siti abusivi sono diventati quasi duecento - ha denunciato Carlo Stasolla, presidente della "21 luglio" - mentre l'allestimento degli altri due villaggi attrezzati è ancora in alto mare". In un primo momento i fondi stanziati per il piano si aggiravano intorno ai 23 milioni di euro. Secondo gli ultimi dati confermati all'associazione dal prefetto, (nonché commissario per l'emergenza rom) Giuseppe Pecoraro l'impegno finanziario raggiungerà i 34 milioni (di cui 15 già spesi): circa 25mila euro per famiglia.

Sovraffollamento. Più di mille persone (1076 per la precisione) vivono in una struttura che, normativa alla mano, potrebbe ospitarne al massimo 575. Già dalla sua inaugurazione, nel 2006, gli abitanti (provenienti da Bosnia, Serbia, Montenegro e Romania), superavano le 600 unità, oltre quindi il limite consentito. L'impennata si è avuta dopo gli sgomberi degli insediamenti abusivi: soprattutto di Casilino 900, La Martora e Dameta. "Ci trattano come turisti", denuncia un abitante bosniaco, "con moduli abitativi che vengono da un campeggio sul Lago di Garda: la differenza è che quando una persona va in campeggio ci sta 10 giorni e poi torna. Noi rischiamo di rimanere qui per 5-6 anni". La situazione non migliora se si considerano gli spazi nei container. "Per legge", afferma il rapporto, "a 4 persone spetterebbero almeno 56 mq mentre nella realtà 8-9 abitanti vivono in 24,80 mq".

Sicurezza.
Il sovraffollamento genera tensioni fra i diversi gruppi presenti nel villaggio. Numerose sono le risse nonostante la presenza di un servizio di vigilanza h24 e le circa 30 telecamere installate lungo tutto il perimetro. A questo, secondo diverse testimonianze, si aggiunge una crescita di fenomeni di microcriminalità come prostituzione e spaccio di droga. Neanche la presenza di controlli all'entrata riesce a frenare, spiegano i ricercatori, gli ingressi di persone non registrate. Periodicamente, infatti, vengono aperti dei varchi nelle recinzioni metalliche che delimitano l'area. Risulta quindi compromessa l'efficacia del DAST, (Documento di Autorizzazione allo Stazionamento Temporaneo) la tessera rilasciata a ciascun ospite del villaggio dopo le procedure di fotosegnalamento che tanto hanno fatto discutere. Non convincono anche le misure antincendio: durante i sopralluoghi di "21 luglio" le colonne idranti sono risultate inutilizzabili perché sprovviste d'acqua. Gli esperti del team hanno inoltre ravvisato che anche le vie d'uscita non sono adeguate al numero di residenti.

Scuola. "Non voglio che i miei figli rimangano qui perché non avranno futuro. Se rimarranno in questo campo con le difficoltà che trovano per andare a scuola rischiano dei diventare dei delinquenti". La preoccupazione che emerge da questa testimonianza di un padre montenegrino è il filo comune che si ritrova nel rapporto. Il dossier si sofferma sul diritto dei bambini ad avere un'istruzione adeguata. Nell'anno scolastico 2009-2010 erano 265 i minori del campo in età scolare, un numero aumentato notevolmente dopo gli arrivi degli ultimi mesi. Le difficoltà segnalate dai ricercatori sono quelle dei collegamenti con gli istituti scolastici. Gli scuolabus che ogni giorno accompagnano i bambini risentono della distanza del campo dal centro abitato e della frammentazione nelle diverse scuole. I quotidiani ritardi di certo non aiutano a risolvere la questione del diffuso abbandono scolastico presente nella comunità rom.

Salute.
Le patologie "da ghetto" sono quelle maggiormente diffuse all'interno del "villaggio". Anche in questo caso i minori pagano il prezzo più alto: "problemi respiratori dovuti alle abitazioni i cui ambienti sono molto caldi nei mesi estivi e freddi in quelli invernali; dermatiti, pediculosi, verruche e scabbia". In questo caso pesa anche la mancanza di un presidio sanitario fisso. "Il medico viene solo una volta a settimana", ha raccontato una donna montenegrina, "io porto i miei figli sempre da quello di prima, nel quartiere di Centocelle". L'ospedale più vicino si trova a una decina di chilometri. La situazione più difficile è quella raccontata dalla madre di un ragazzo disabile: "Mio figlio ha un grave ritardo mentale, non riesce mai a dormire e a star tranquillo. Perciò dobbiamo sempre andare per le visite e le cure in vari ospedali molto lontani da qua: per una sola visita ci mettiamo un giorno intero. Non abbiamo la macchina e dobbiamo camminare per tre chilometri a piedi per prendere l'autobus e mio figlio non può: ha paura di tutto e quando vede le automobili si mette a urlare. Il servizio sociale conosce la nostra storia ma non ha fatto niente per aiutarci e per trasferirci in un campo più centrale".

Fra gli adulti le patologie più diffuse sono invece l'ipertensione, le malattie dell'apparato cardiovascolare, legate a tabagismo, alcolismo, tossicodipendenza e cattiva alimentazione. Anche la presenza di un inceneritore di materiale tossico, posto a circa 700 metri dal campo, non lascia tranquilli gli abitanti. I dati delle asl locali, si legge nel rapporto, hanno confermato elevate concentrazioni di diossina e di palladio, con un netto incremento delle malattie tumorali.

Isolamento. "Se non hai un mezzo di trasporto la prima fermata dell'autobus è a quasi due chilometri, ma la strada per arrivarci è pericolosissima. C'è una strada più sicura ma devi percorrere quasi tre chilometri a piedi". Si possono incontrare quotidianamente diversi abitanti del campo (soprattutto donne con bambini) che percorrono a piedi queste strade di campagna. Il villaggio è lontano da tutto. "E' così", spiega il capo ricercatore Andrea Anzaldi, "che matura l'esclusione: anche alle cose più semplici come andare a fare la spesa o al lavoro qui si aggiungono tanti ostacoli. I nuovi arrivati del Casilino 900 ci raccontano che avevano costruito relazioni nel vecchio quartiere che adesso sono difficili da mantenere". Anche l'integrazione lavorativa risente di questo isolamento: l'unica fonte di sostentamento continua a basarsi sulla raccolta del rame e del materiale ferroso.

Incognite sul futuro. I punti deboli del "villaggio" studiato nel rapporto alimentano diverse incognite soprattutto tra i tanti rom che avevano creduto nel piano nomadi. La testimonianza di una donna montenegrina dà un'idea dell'aria che tira tra i container di via di Salone 323. "Noi, i miei figli, non avremo alcun futuro se non ci integriamo e non interagiamo con gli italiani. Forse vogliono spostare gli zingari sempre più lontani, nelle montagne. Se metti le persone nei lager lontane da tutto e tutti, che integrazione ci può essere? Forse arriveranno a metterci al Polo Sud e forse anche i pinguini farebbero le manifestazioni contro di noi".

L'intera riceca sarà a breve disponibile gratuitamente sul sito dell'associazione www.21luglio.com .

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