Motivati, integrati e propensi al rischio: sono gli imprenditori stranieri secondo il Cnel.
Presentata l’indagine su “Il profilo nazionale degli immigrati imprenditori in Italia”: discreta formazione scolastica, sono in Italia da circa 18 anni. E il 67% ha messo su un’impresa autofinanziandosi.
Fonte: immigrazioneoggi.it
Sono molto diffusi sul territorio nazionale, integrati con le piccole imprese italiane, motivati e propensi al rischio, assumono personale e collaboratori italiani e soprattutto hanno voglia di crescere. È questo l’identikit degli imprenditori stranieri in Italia che emerge dall’indagine del Cnel
Il profilo nazionale degli immigrati imprenditori in Italia, svolta dall’Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri in collaborazione con il Dipartimento di studi sociali e politici.
Dall’indagine, un sondaggio su un campione di 200 imprenditori, emerge una figura di imprenditore che ha 40 anni e in media più figli rispetto all’omologo italiano, una discreta formazione scolastica (oltre 12 anni di studio nel Paese d’origine). Vive in Italia da 18 anni e il peggioramento delle condizioni economiche nel Paese di provenienza è la causa principale dell’emigrazione. Ha avviato in Italia una propria attività per essere autonomo, guadagnare di più e valorizzare le proprie capacità. Nella maggior parte dei casi è titolare dell’impresa nella quale impiega circa 5 addetti, prevalentemente italiani.
Secondo quanto emerge dallo studio, la maggior parte degli immigrati imprenditori (67%) ha messo su un’impresa autofinanziandosi grazie a un lungo periodo di lavoro come dipendente. La maggior parte degli imprenditori immigrati considera il rapporto con gli italiani più importante rispetto alle relazioni con i connazionali e con i familiari. Clienti e fornitori sono soprattutto italiani (con differenze significative a seconda dei comparti), così come lo sono i consulenti cui si rivolgono (fiscali, contabili e in materia di sicurezza e igiene). Sul fronte dell’occupazione, il 22,2% degli intervistati propende ad assumere personale italiano.
Le piccole imprese degli immigrati, al pari di quelle autoctone, considerano la reputazione un elemento fondamentale per il loro successo, quindi puntano sull’aumento della qualità piuttosto che sulla riduzione dei prezzi e temono la concorrenza degli altri stranieri più che quella degli italiani.
Aziende che, dall’indagine, vivono le stesse difficoltà di quelle condotte da italiani: troppo piccole di fronte alla crisi.
Secondo i ricercatori, gli immigrati hanno trovato spazio nel nostro Paese più che nel resto dell’Europa, non solo per la maggiore diffusione della piccola e piccolissima impresa sul nostro territorio, ma anche a causa del mancato ricambio generazionale nella gestione dell’impresa italiana, dovuta alla scarsa motivazione dei figli, ai modesti guadagni e tempi di lavoro più lunghi. In questa situazione gli immigrati si sono sostituiti agli autoctoni grazie alla loro grande voglia di lavorare, che deriva soprattutto dalla voglia di riscatto sociale, più che economico, e alle più modeste aspettative reddituali. Molti imprenditori intervistati hanno conquistato la cittadinanza economica e sembrano inclusi definitivamente nel tessuto delle piccole imprese che operano in Italia. L’auspicio ora è che queste imprese da piccole diventino medie. Il percorso verso la cittadinanza sociale è invece più lungo e coinvolgerà la generazione dei figli nati in Italia, che parlano l’italiano e si preparano nelle scuole e università italiane, che rileveranno l’azienda e che, al pari dei figli dei piccoli imprenditori italiani riproporranno il problema della motivazione e di trasmissione delle capacità imprenditoriali.
Per Giorgio Alessandrini, presidente dell’Onc Cnel, è urgente “una nuova politica europea e dei singoli Paesi dell’Ue, che riconosca nell’immigrazione un veicolo forte del cosviluppo, a partire dall’area euro mediterranea. Nel mondo 8 sui 10 Paesi con età mediana più alta sono europei, 8 sui 10 Paesi con età mediana più bassa sono africani; nel 2050 vi saranno in Europa 103 milioni di persone in età lavorativa in meno, con un calo della popolazione di 50 milioni, mentre la popolazione africana crescerà di 1 miliardo di persone. Il 73% dei subsahariani vivono con meno di 2 $ al giorno”. Per quanto riguarda il panorama italiano, invece, Alessandrini intravede un cambio di rotta. “Il nuovo Ministero di cooperazione e integrazione prospetta un cambiamento politico radicale, che salda, a vantaggio dei Paesi di origine e di accoglienza, cooperazione internazionale per lo sviluppo, in termini di relazioni economiche, sociali e istituzionali, e politiche immigratorie, da riconsiderare, integrandole fin dai Paesi di provenienza, in tutti i loro aspetti”.
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