Lampedusa, il racconto degli orrori a bordo "Donna incinta e bimbo gettati in mare vivi"
Il salvataggio del 4 agosto: le testimonianze dei sopravvissuti alla polizia ed ai giudici di Agrigento su ciò che avvenne durante la traversata dal Nord Africa. "Violentavano le donne e con un rito selvaggio decidevano chi doveva morire o salvarsi". Arrestati i colpevoli
di FRANCESCO VIVIANO LAMPEDUSA - Il barcone era stracarico, in stiva e in coperta erano in quattrocento stipati come sardine. Sarha (la chiameremo così perché nessuno ha mai saputo il suo nome), 26 anni, incinta al sesto mese di gravidanza era accovacciata a poppa, per mano teneva il figlioletto di due anni. Erano stremati, assetati, deliravano e il bambino piangeva. Quel pianto infastidiva quei 10-15 "africani" che avevano preso il comando del barcone, che avevano già ucciso e buttato a mare altri loro connazionali, una decina di uomini, vivi, legati mani e piedi perché ritenuti da un rito selvaggio "colpevoli" di avere fatto andare in avaria il motore del barcone, lasciandoli in balìa delle onde.Sarha si lamentava, piangeva, il suo pancione veniva schiacciato da chi gli stava accanto e stringeva a sè il figlioletto che chiedeva acqua e cibo. Anche loro, secondo il rito tribale che decideva chi doveva vivere e chi doveva moire, sono stati presi e buttati in mare vivi. Prima il bambino di due anni, poi sua madre Sarha che tentava di fermare disperatamente quegli uomini che avevano sollevato in aria il suo bambino, lo avevano lanciato in mare, dove in pochi secondi era stato inghiottito dalle onde.
Questa orribile vicenda è stata raccontata da una trentina dei 400 sopravvissuti che il 4 agosto scorso 1
"Sarha si lamentava per le sue condizioni aggravate dalla traversata durata quattro giorni - ha raccontato una delle testimoni - due africani (noi i neri del Centro Africa li chiamiamo così) l'hanno presa a calci e a pugni. Uno di questi era Jamal Rachid (nigeriano arrestato, ndr) che insieme a un altro ha preso il bambino e sua madre, buttandoli vivi a mare".
Un'altra sopravvissuta, Fatima El Kacine, ha detto ai poliziotti di avere assistito da vicino alla fine di Sarha e del suo bambino. "Ricordo di aver visto Jamal Rachid prendere a calci una donna incinta sino a ucciderla per poi buttarla a mare alle prime luci dell'alba. A me hanno tolto le somme di 400 euro e di 200 dollari, un orologio e un anello d'oro, nonché la borsa contenente il cellulare ed altri effetti personali, ed anche il giubbotto di salvataggio. La borsa subito dopo veniva buttata in mare. Nei giorni successivi si verificavano più volte delle risse e i predetti africani intervenivano per cercare di ristabilire l'ordine e ogni volta buttavano in mare qualche uomo. Ricordo di aver visto buttare a mare una volta 5 uomini, una volta 1 e un'altra 2 uomini".
Anche El Kacime ha rischiato di essere uccisa perché aveva assistito alla violenza sessuale, avvenuta a bordo, di altre due donne: "Tutti gli uomini che ho indicato hanno preso di mira in particolare due donne, una tunisina e una marocchina - ha raccontato El Kacime - e le hanno picchiate e violentate davanti a tutti. Queste due donne, dopo quel fatto, hanno cominciato a parlare in maniera confusa, come se avessero perso la ragione. Poiché io avevo visto tutto, il terzo giorno uno dei violentatori mi ha picchiato violentemente lasciandomi a terra. Subito dopo si è avvicinato un altro che, con una corda, lo ha aiutato a legarmi dopo avermi spogliato completamente nella parte superiore. Nel frattempo si sono avvicinati i primi due che hanno aiutato gli altri due a legarmi e coprirmi gli occhi con un pezzo di rete. Mentre mi legavano hanno detto che mi avrebbero uccisa prima dell'arrivo dei soccorsi. Mentre ero legata a turno i miei carnefici mi hanno buttato addosso dei secchi di acqua salata. Sono rimasta così, legata, fino alla notte successiva".
(01 dicembre 2011)
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