05/07/10

appello per i 200 profughi eritrei in Libia

Libia: più di 200 persone di nazionalità eritrea rischiano il rimpatrio forzato


Centro di detenzione di Misratah © Gabriele Del Grande
Secondo informazioni ricevute da Amnesty International, più di 200 cittadini eritrei sono stati picchiati e trasferiti con la forza dal centro di detenzione di Misratah a quello di Sabha, dove le condizioni sono di gran lunga peggiori. Rischiano il rimpatrio forzato in Eritrea, dove potrebbero subire torture.

Sia il centro di detenzione di Misratah che quello di Sabha sono destinati ai "migranti irregolari", sebbene le autorità libiche facciano poco o nulla per distinguere tra richiedenti asilo, rifugiati e migranti.

Circa due settimane fa, gli agenti di sicurezza libici hanno fatto circolare un modulo in lingua tigrina nel centro di detenzione di Misratah, chiedendo ai detenuti eritrei di compilarlo. Circa la metà di loro si è rifiutata di farlo, temendo che le informazioni personali riportate sarebbero state trasmesse alle autorità eritree. Il 29 giugno, circa 15 detenuti hanno tentato la fuga; 13 di essi sarebbero stati catturati nei due giorni successivi.

Secondo le informazioni inviate ad Amnesty International, la notte del 29 giugno, circa 100 soldati e agenti di polizia hanno circondato il centro di detenzione di Misratah. Erano armati con fucili e gas lacrimogeni. All'alba del 30 giugno hanno fatto irruzione nelle celle e hanno picchiato i detenuti con bastoni e fruste. Almeno 14 persone sarebbero state gravemente ferite e portate in ospedale. Lo stesso giorno, più di 200 detenuti eritrei sono stati caricati a forza su due container e trasportati a Sabha, sorvegliati da un convoglio di militari e poliziotti. Almeno quattro uomini sono stati separati dalle loro famiglie; 13 donne e sette bambini eritrei sono ancora nel centro di detenzione di Misratah, nessuno di loro è stato trasferito o picchiato.

Gli oltre 200 eritrei si trovano ora nel centro di detenzione di Sabha, in pessime condizioni  a causa della carenza di cibo e acqua, dell'inadeguatezza dei servizi igienico-sanitari e del sovraffollamento delle celle. A diversi detenuti che hanno riportato gravi ferite sono state negate le cure mediche. I detenuti temono il rimpatrio forzato nel loro paese di origine, dove sono a rischio di tortura e altri maltrattamenti, la punizione riservata a chi ha "tradito" il paese o ha disertato la leva militare. I loro timori si aggiungono alle minacce delle forze di sicurezza libiche che, mentre li picchiavano, urlavano che li avrebbero uccisi o rimpatriati.
 
Secretary General of General People's Committee
Dr Al-Baghdadi Ali Al-Mahmoudi
Email via
http://www.gpc.gov.ly/html/contact.php

 

Libia: più di 200 persone di nazionalità eritrea rischiano il rimpatrio forzato

 
La Libia deporta gli eritrei di Misurata.Ancora violenza e sistematiche violazione dei diritti umani realizzate anche grazie alle politiche dell’Italia. Appello di Amnesty International. Il Consiglio d'Europa chiede spiegazioni all'Italia.
 
Con due lettere inviate lo scorso 2 luglio al Ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al Ministro degli Interni, Roberto Maroni - il cui testo è stato reso noto solo martedi 6 luglio 2010-  il commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa,  Thomas Hammarberg ha chiesto al governo italiano di "collaborare al fine di chiarire con urgenza la situazione con il governo libico".

Dal 30 giugno i 250 eritrei si trovano nelle celle del centro di detenzione di Braq, 80 chilometri da Seba, nel Sud della Libia, dove sono stati trasferiti dal centro di detenzione per migranti di Misurata. Il gruppo era stato deportato su tre camion container come "punizione" a seguito di una rivolta scoppiata il giorno prima fra i detenuti che non hanno voluto dare le proprie generalità a diplomatici del loro Paese per paura di essere soggetti a un rimpatrio forzato.

Secondo i numerosi rapporti ricevuti dal Commissario Hammarberg prima del trasferimento degli eritrei da un campo di detenzione all'altro, "il gruppo sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti da parte della polizia libica, e molte delle persone detenute sarebbero rimaste gravemente ferite". Sempre in base ai rapporti ricevuti - scrive Hammarberg nella lettera a Frattini e Maroni - tra i migranti, che rischierebbero ora l'espulsione verso l'Eritrea o il Sudan, vi sarebbero anche dei richiedenti asilo, e il gruppo includerebbe anche persone che sono state ricondotte in Libia dopo essere state intercettate in mare mentre cercavano di raggiungere l'Italia.

"Data la recente decisione delle autorità libiche di porre fine alle attività dell'Unhcr nel Paese, è divenuto estremamente difficile avere conferme sull'accuratezza di questi rapporti", scrive il commissario che, vista la "serietà delle accuse", domanda all'Italia di collaborare al fine di "chiarire con urgenza la situazione con il governo libico".
Fonte : Repubblica.it

COMUNICATO DI AMNESTY INTERNATIONAL


Secondo informazioni ricevute da Amnesty International, più di 200 cittadini eritrei sono stati picchiati e trasferiti con la forza dal centro di detenzione di Misratah a quello di Sabha, dove le condizioni sono di gran lunga peggiori. Rischiano il rimpatrio forzato in Eritrea, dove potrebbero subire torture.

Sia il centro di detenzione di Misratah che quello di Sabha sono destinati ai "migranti irregolari", sebbene le autorità libiche facciano poco o nulla per distinguere tra richiedenti asilo, rifugiati e migranti.

Circa due settimane fa, gli agenti di sicurezza libici hanno fatto circolare un modulo in lingua tigrina nel centro di detenzione di Misratah, chiedendo ai detenuti eritrei di compilarlo. Circa la metà di loro si è rifiutata di farlo, temendo che le informazioni personali riportate sarebbero state trasmesse alle autorità eritree. Il 29 giugno, circa 15 detenuti hanno tentato la fuga; 13 di essi sarebbero stati catturati nei due giorni successivi.

Secondo le informazioni inviate ad Amnesty International, la notte del 29 giugno, circa 100 soldati e agenti di polizia hanno circondato il centro di detenzione di Misratah. Erano armati con fucili e gas lacrimogeni. All'alba del 30 giugno hanno fatto irruzione nelle celle e hanno picchiato i detenuti con bastoni e fruste. Almeno 14 persone sarebbero state gravemente ferite e portate in ospedale. Lo stesso giorno, più di 200 detenuti eritrei sono stati caricati a forza su due container e trasportati a Sabha, sorvegliati da un convoglio di militari e poliziotti. Almeno quattro uomini sono stati separati dalle loro famiglie; 13 donne e sette bambini eritrei sono ancora nel centro di detenzione di Misratah, nessuno di loro è stato trasferito o picchiato.

Gli oltre 200 eritrei si trovano ora nel centro di detenzione di Sabha, in pessime condizioni a causa della carenza di cibo e acqua, dell'inadeguatezza dei servizi igienico-sanitari e del sovraffollamento delle celle. A diversi detenuti che hanno riportato gravi ferite sono state negate le cure mediche. I detenuti temono il rimpatrio forzato nel loro paese di origine, dove sono a rischio di tortura e altri maltrattamenti, la punizione riservata a chi ha "tradito" il paese o ha disertato la leva militare. I loro timori si aggiungono alle minacce delle forze di sicurezza libiche che, mentre li picchiavano, urlavano che li avrebbero uccisi o rimpatriati.

Firma all'appello di Amnesty International e scrivi alle autorità.


L'appello de l'Unità: adottiamo un profugo

COMUNICATO STAMPA ASGI DEL 1 LUGLIO 2010

La Libia deporta gli eritrei di Misurata.Ancora violenza e sistematiche violazione dei diritti umani realizzate anche grazie alle politiche dell’Italia
La sistematica violazione dei diritti umani in Libia è così grave ed estesa che la prosecuzione degli attuali accordi italo-libici, specie per ciò che attiene alla collaborazione in materia di contrasto all’immigrazione, non può che configurarsi come inaccettabile complicità nella commissione di crimini da parte di un Paese quale l’Italia, tenuto al pieno rispetto dei diritti umani da vincoli costituzionali e da obblighi comunitari e internazionali .
L’ASGI esprime profonda preoccupazione per la notizia, confermata da fonti autorevoli in base alla quale a Misurata, in uno dei pochi centri di detenzione per migranti in Libia nei quali fino allo scorso mese aveva accesso l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nella giornata di lunedì scorso si sono avviate le pratiche per la deportazione in Eritrea di centinaia di richiedenti asilo, compresi donne e minori. Ai rifugiati è stato chiesto persino di collaborare alle procedure di identificazione e al loro rifiuto è seguita una dura repressione, con gravi violenze sulle persone e dispersione dei rifugiati in varie strutture detentive.

Si tratta di eventi affatto inediti, bensì ampiamente attesi e prevedibili, che rappresentano una logica conseguenza della politica dei respingimenti collettivi, praticata dal governo italiano contro la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e altri strumenti di diritto internazionale vincolanti; avere, infatti, costretto nei centri di detenzione libici migliaia di persone che avrebbero diritto di entrare in Europa e di ottenere asilo non può che avere come diretta conseguenza, che con ciclicità il regime libico, uno degli stati più autoritari del mondo, si liberi dei rifugiati attraverso il loro rinvio forzato verso i paesi di origine.

Gli eventi che si stanno consumando non solo quindi solo eventi interni alla politica libica, ma sono conseguenza di accordi internazionali che hanno visto l’Italia in posizione preminente. Sussiste quindi una diretta e gravissima responsabilità diretta dell’Italia e dell’Unione Europea in relazione a quanto sta avvenendo.

In una risoluzione adottata il 17 giugno 2010 il Parlamento Europeo ricorda che, l’art. 19 paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione sancisce il divieto assoluto di espulsioni e respingimenti verso un paese nel quale esiste un serio rischio che i migranti che vi vengono ricondotti possano subire torture o trattamenti disumani e degradanti.

L’attuazione di accordi di collaborazione con la Libia che ignorano totalmente il problema del rispetto dei diritti umani dei migranti si pone quindi in insanabile contrasto con i principi fondamentali dell’Unione sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali.

Lamentando che la citata risoluzione del Parlamento europeo non abbia finora trovato nessun ascolto presso i Governi dei vari stati della UE, e specie presso il Governo più direttamente coinvolto, quello italiano, nonché presso la Commissione, l’ASGI chiede con forza che le autorità italiane ed europee intervengano con tempestività affinchè:
a) venga garantito il rispetto minimo dei diritti dei rifugiati presenti in Libia interrompendo immediatamente le deportazioni;
b) gli stati confinanti, ed in primis il Sudan, non collaborino all’esecuzione di deportazioni che violano gravemente la legalità internazionale ;
c) che ogni accordo di collaborazione economico e sociale, già siglato ed ogni ipotesi di accordo futuro con la Libia sia subordinato a un progresso graduale ma sostanziale da parte della Libia stessa in relazione al rispetto delle convenzioni internazionali dei diritti umani;
d) che la Libia provveda alla ratifica della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, riconoscendo altresì il ruolo internazionale dell’UNHCR in materia.

La sistematica violazione dei diritti umani in Libia è così grave ed estesa che la prosecuzione degli attuali accordi italo-libici, specie per ciò che attiene alla collaborazione in materia di contrasto all’immigrazione, non può che configurarsi come inaccettabile complicità nella commissione di crimini da parte di un Paese quale l’Italia, tenuto al pieno rispetto dei diritti umani da vincoli costituzionali e da obblighi comunitari e internazionali.

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