04/07/10

reato di clandestinità

Il reato di cui all’art. 10bis del TU (286/98) ed altre fattispecie connesse alla condizione dello straniero irregolare

 

Fonte: www.meltingpot.org
a cura dell’Avv. Guido Savio del Foro di Torino
Relazione discussa in occasione del corso di formazione ed aggiornamento sulla normativa in materia di immigrazione organizzato dal Progetto Melting Pot Europa e da Asgi a Padova dal 21 maggio al 25 giugno 2010


Introduzione
Dopo aver esaminato la disciplina delle espulsioni amministrative e del trattenimento nei C.I.E. nello scorso incontro, vediamo ora le fattispecie penali connesse con la condizione di irregolarità degli stranieri. Si tratta di fattispecie funzionali, almeno nell’intento del legislatore, al rafforzamento dell’attività amministrativa volta all’esecuzione delle espulsioni: in questo senso il ricorso allo strumento penale è sussidiario rispetto all’attività della P.A.
Studieremo l’aggravante c.d. “di clandestinità” di cui all’art. 61, n. 11 bis, c.p. – introdotta con la Legge 185/2008 -, il reato di ingresso e soggiorno illegale degli stranieri in Italia di cui all’art. 10 bis T.U. 286/98 – introdotto con la L. 94/2009 -, vedremo i rapporti tra reato e aggravante e, infine, ci soffermeremo sulle modifiche apportate dalla legge 94/09 all’art. 14, co. 5 ter e quater T.U. 286/98.

L’AGGRAVANTE DI “CLANDESTINITA’”
- 1. La circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 11 bis, c.p.: la sua evoluzione normativa
La scelta di introdurre una nuova aggravante applicabile allo straniero irregolare è stata un’opzione di ripiego del legislatore del 2008, perché originariamente si pensava ad un’autonoma fattispecie di reato; soltanto col secondo “pacchetto sicurezza” del 2009 riprende forza l’idea originaria sia pure in forma di contravvenzione. Consegue che vi sia una duplicazione del rilievo penale della medesima situazione di fatto: oggi, infatti, l’irregolarità del soggiorno è, al tempo stesso, sia circostanza aggravante che autonoma fattispecie di reato. Situazione, questa, che pone non poche difficoltà all’interprete.
Aggrava il reato “l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente nel territorio dello Stato”.
Questa è la versione frutto della legge 125/08, di conversione del D.L. 92/08, infatti originariamente il D.L. 92/08 prevedeva che l’aggravante si applicasse “ se il fatto è commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale”. La differente formulazione adottata dalla legge di conversione del decreto legge è volta ad “armonizzare” l’aggravante in esame con quelle contenute nella medesima norma (i nn. da 1 a 11 dell’art. 61 c.p.), e si concentra sulle modalità di compimento dell’azione e non, come nell’originaria versione, sulla condizione del soggetto agente. Questa modifica, però, attiene al solo aspetto terminologico e non incide sul carattere soggettivo dell’aggravante, la cui nuova formulazione, nonostante l’apparente sforzo di oggettivizzazione, è equivalente a quella originaria.
Infatti, mantiene ferma la sua applicabilità automatica allorché sussista una precisa condizione personale del “colpevole”, cioè quella di essere illegalmente presente sul territorio nazionale al momento della commissione del fatto-reato.
Così, nella formulazione originaria non si distingueva tra stranieri comunitari ed extracomunitari e, pertanto, l’aggravante era applicabile anche ai cittadini comunitari che non fossero in regola con la disciplina del loro soggiorno prevista dal D. Lg. 30/2007. Sennonché, un anno dopo –col “pacchetto sicurezza 2009”- l’art. 1, co. 1 L. 94/09 ha disposto che “La disposizione di cui all’art. 61 n. 11 bis, c.p., si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea”. È una norma di interpretazione autentica conseguente al parere reso il 15 settembre 2008 dal Parlamento Europeo .
( Avis giuridique) in cui si afferma che “Un aggravamento della pena inflitta per la commissione di un reato, fondato esclusivamente sulla qualità di cittadino europeo non nazionale e non in regola con la disciplina del soggiorno, sarebbe discriminatorio e contrario ai criteri ispiratori della direttiva 2004/38 ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia”. Ciò tuttavia rende ancor più evidente il carattere irragionevole della disposizione: se a permanere illegalmente in Italia è un cittadino extracomunitario o un apolide, ciò sarebbe sintomatico di una sua proclività a infrangere la legge e, in caso di commissione di un reato, giustificherebbe l’applicazione dell’aggravante; mentre la stessa condotta posta in essere da un cittadino comunitario irregolarmente soggiornante non avrebbe conseguenze più gravi sul piano sanzionatorio ( pensiamo ad un rumeno e ad un albanese, entrambi irregolari, che concorrono nello stesso reato).
- 2. Conseguenze dell’aggravante
È un’aggravante comune di tipo soggettivo, che si applica a qualsiasi reato sia esso doloso, colposo, un delitto o una contravvenzione, e comportante un aumento di pena sino a un terzo.
Oltre a questa conseguenza ordinaria, la legge 125/08 ha previsto un’altra rilevantissima conseguenza: infatti è stato modificato l’art. 656, co, 9, c.p.p. aggiungendo anche i delitti in cui “ricorre” tale aggravante all’elenco di quelli per cui non si procede alla sospensione dell’esecuzione della pena detentiva , quando la stessa non supera i tre anni. L’uso del termine “ricorre”sta a significare che l’effetto preclusivo della sospensione dell’esecuzione operi anche quando l’aggravante risulti equivalente o soccombente rispetto ad eventuali attenuanti. L’effetto preclusivo in questione consegue automaticamente sulla base della mera sussistenza dell’aggravante, indipendentemente dal giudizio di bilanciamento in concreto effettuato che rileva solo ai fini della determinazione della misura della pena, ma non esclude affatto che la circostanza in esame “RICORRA”.
La conseguenza di tutto ciò è un’elevata crescita della popolazione carceraria in ipotesi per cui resta comunque ferma la possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione. Infatti, dopo la nota sentenza della Corte costituzionale n. 78/2007 – che ha definitivamente chiarito come la condizione di irregolarità di uno straniero non sia di per sé preclusiva della concessione di misure alternative – oggi anche lo straniero irregolare o clandestino può usufruire, sussistendone i requisiti, dell’affidamento in prova, della semilibertà e della detenzione domiciliare. Ma allora viene da chiedersi quale sia la razionalità di una previsione normativa che preveda di dare inizio all’esecuzione della pena detentiva che potrebbe poi essere eseguita fuori dal carcere.
- 3. Ambito soggettivo di applicabilità
Poiché l’aggravante in questione si applica quando, al momento della commissione del fatto, il colpevole si trova irregolarmente nel territorio dello Stato, è evidente che la valutazione circa l’irregolarità del soggiorno dovrà riguardare il tempus commissi delicti , essendo irrilevante che, successivamente alla commissione del reato, il colpevole abbia ottenuto il permesso di soggiorno.
Tale considerazione risulta avallata dalla giurisprudenza, infatti, in tema di successione di elementi normativi, le sezioni unite della Cassazione hanno affermato – il 27/9/2007 – che l’ingresso della Romania nell’U.E. a far data dal 1°gennaio 2007 non comporta il venir meno della punibilità ex art. 14, co. 5 ter T.U. 286798 dei cittadini romeni che, prima di quella data, si erano resi responsabili di quel reato. Così come l’essere diventati comunitari non sottrae i romeni alla responsabilità per reati inerenti il T.U. immigrazione commessi anteriormente all’ingresso del loro paese nell’U.E. , analogamente l’irregolarità del soggiorno rileva, ai fini penali, anche se successivamente tale condizione soggettiva venga a cessare, dovendo aversi riguardo alla condizione soggettiva al momento della commissione del reato.
Controversa è l’applicabilità dell’aggravante ai minori stranieri, ove privi di permesso di soggiorno.
A mio avviso l’aggravante non dovrebbe trovare applicazione per le seguenti ragioni: i minori sono inespellibili ai sensi dell’art. 19, co. 2, lett. a) T.U. 286/98, a loro deve essere rilasciato un permesso di soggiorno quantomeno per minore età, per cui il loro soggiorno non potrà mai essere illegale, anche se non abbiano richiesto il permesso di soggiorno che ha natura ricognitiva e non costitutiva, atteso che l’inespellibilità deriva direttamente dalla legge.
- 4. Ambito oggettivo di applicabilità dell’aggravante
Poiché la circostanza ha natura di aggravante comune, può accedere a qualsiasi reato. Tuttavia l’art. 61 c.p. subordina l’applicabilità di tutte le circostanze ivi indicate alla condizione che esse non siano già elementi costitutivi del reato cui accedono, per evitare che il medesimo elemento di fatto sia soggetto a duplice valutazione: della circostanza e della fattispecie autonoma.
Consegue che l’aggravante in questione non sarà applicabile a tutte quelle fattispecie penali che già sanzionano, in via autonoma, la condotta dello straniero che soggiorna illegalmente e che sono previste nel T.U. agli artt. 10 bis, 13, commi 13 e 13 bis; 14 co. 5 ter e quater.
Facciamo ora il caso, frequentissimo, di uno straniero irregolare che debba essere processato per spaccio, sono prospettabili le seguenti ipotesi:
1.Spaccio aggravato dall’art. 61, n. 11 bis c.p., in concorso col reato di irregolarità del soggiorno (art. 10 bis) o dell’art. 14, co. 5 ter ( se lo straniero è già stato espulso).
2.Spaccio aggravato dal 61, n. 11 bis , con assorbimento del reato di irregolarità del soggiorno nell’aggravante.
3.Spaccio – non aggravato – in concorso con il 10 bis o il 14, co. 5 ter ( se l’imputato è già stato espulso).
Se l’imputato non è mai stato espulso, quindi non è inottemperante all’ordine del questore, non può rispondere di spaccio aggravato dalla “clandestinità” e del reato di ingresso e soggiorno illegale, in tal caso si violerebbe il ne bis in idem perché lo stesso fatto – irregolarità del soggiorno – costituirebbe sia un autonomo reato che un’aggravante. In tal caso soccorre la disciplina del reato complesso di cui all’art. 84 c.p.: quando un fatto costituente reato (il soggiorno irregolare) è previsto come circostanza aggravante di un altro reato (nell’esempio l’aggravante di clandestinità che aggrava lo spaccio) , si applica solo il reato circostanziato. Per cui spaccio del clandestino = 73 DPR 309/90 + 61, n. 11 bis c.p., con archiviazione per il 10 bis o sentenza d’improcedibilità se per caso l’azione penale fosse già stata iniziata.
Tuttavia, una tesi alternativa è stata prospettata in dottrina.
L’art. 84 c.p. è stato pensato rispetto a circostante aggravanti di specifiche figure di reato: ad es. nel caso di furto + danneggiamento si applica il reato circostanziato perché fornisce la risposta punitiva più aderente alla situazione concreta, c’è una connessione evidente tra la condotta di furto e quella di danneggiamento della stessa cosa oggetto del furto.
Nel caso dell’immigrato irregolare che delinque, invece, ci troviamo di fronte ad una circostanza comune che non esprime nessun giudizio di disvalore specifico rispetto ad un determinato reato (a differenza del furto e del danneggiamento che si traduce in furto aggravato dalla violenza sulle cose perchè c’è un particolare disvalore nell’azione del furto dovuto al fatto che, per rubare si è usata violenza sulla cosa). Infatti, l’aggravante della “clandestinità” non attiene in alcun modo ad una specifica condotta delittuosa o contravvenzionale, essendo un’aggravante soggettiva che si determina sulla base di una condizione personale.
Se si accede a questa tesi non ricorrono le ragioni del reato complesso e si può applicare lo spaccio e il 10 bis, giungendo a disapplicare l’aggravante, con conseguenti vantaggi per l’imputato quantomeno in sede esecutiva. Il che anche in un’ottica di possibile abolizione implicita dell’aggravante che era stata voluta dal legislatore del 2008 come prima tappa, prodromica all’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale introdotto nel 2009, e anche in considerazione del fatto che l’aggravante di cui parliamo è l’unica circostanza comune che configura anche un autonomo reato.
D’altro canto, la strada della disapplicazione dell’aggravante è pacifica nel caso in cui l’imputato straniero sia già stato espulso e commetta un ulteriore reato. Lo straniero, già destinatario di un ordine di allontanamento del questore – a questo inottemperante senza giustificato motivo – se ruba, è ovvio che non gli si contesta l’art. 14, co. 5 ter, e il 624, 625 aggravato dal 61 n. 11 bis c.p., per la ovvia ragione che, così facendo, si violerebbe il ne bis in idem sostanziale: infatti, lo stesso elemento – l’irregolarità del soggiorno – verrebbe a costituire sia un’aggravante del furto che un elemento costitutivo dell’art. 14 co. 5 ter T.U. In tal caso si applica il furto (non aggravato dalla clandestinità) e l’inottemperanza all’ordine del questore.
Quindi, in conclusione, il tema del reato complesso si pone solo nell’ipotesi in cui un reato venga commesso da uno straniero irregolare che non sia già stato espulso e, quindi, non debba rispondere né dei reati dell’art. 14 né di quelli dell’art.13 T.U.
- 5. Presupposti di applicabilità dell’aggravante: l’accertamento dell’illegalità del soggiorno e i criteri di imputazione soggettiva
Il fondamento dell’aggravamento della pena è l’illegalità del soggiorno per l’individuazione della quale rinvio a quanto vedremo tra poco in tema di analisi del reato di cui all’art. 10 bis.
Ovvio che tale onere incombe all’accusa. E si pone il consueto tema del sindacato del giudice penale in ordine alla correttezza del procedimento amministrativo che ha portato alla revoca o al diniego o al rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, con possibile disapplicazione incidentale dell’atto amministrativo che ha determinato l’irregolarità del soggiorno e, quindi, dell’aggravante: qui va detto che non vi sono sentenze della cassazione analoghe a quelle in tema di espulsioni che limitino il potere del giudice penale.
Quanto ai criteri di imputazione soggettiva, se la ratio dell’aggravante consiste in una presunzione di pericolosità dimostrata dallo straniero che insiste sul nostro territorio pur non avendone diritto, e in più commette un reato diverso da quelli relativi alla sua condizione di illegalità, occorre che l’imputato sia consapevole del suo status di irregolare al pari del latitante che deve avere l’effettiva consapevolezza di essere ricercato per vedersi applicata l’aggravante di cui all’art. 61, n. 6, c.p.
L’aggravante di irregolarità del soggiorno deve essere esclusa in tutti i casi in cui la condotta conforme alla legge sia inesigibile, come nei numerosi casi in cui la condotta sia sorretta da un giustificato motivo: infatti, se l’inesigibilità della condotta esclude la responsabilità per il reato di cui all’art. 14, co. 5 ter T.U., non si vede come possa essere indifferente rispetto all’aggravante, quantomeno per ragioni di coerenza intrasistematica.
Per quanto concerne le numerose ordinanze di remissione alla Corte costituzionale, segnalo che a seguito dell’ordinanza 277 del 29/10/2009 della Consulta, di restituzione degli atti ai giudici a quibus affinchè rivalutassero le questioni alla luce dei mutamenti normativi avvenuti, il tribunale di Latina ha risollevato la questione con una bella e dotta ordinanza del 27 aprile 2010, che ho inserito sul sito come materiale da consultare attentamente.
In attesa della decisione della Corte, su una materia così politicamente sensibile, anche in considerazione della grande prudenza manifestata dalla Consulta con la sentenza 22/2007 ( in materia di aumento delle pene per il reato dell’art. 14, co. 5 ter ) in dottrina si è sostenuta la possibilità di una soluzione compromissoria: una sentenza interpretativa di rigetto che salvi l’aumento di pena a condizione che, caso per caso, il giudice accerti un nesso funzionale tra la condizione di clandestinità e lo specifico reato commesso, ovvero quando la condizione di irregolarità risulti in concreto espressione di una spiccata propensione a delinquere dell’imputato.
IL REATO DI IMMIGRAZIONE ILLEGALE: PROFILI PENALI
- 1. La struttura del reato di ingresso e soggiorno illegali
La norma di nuovo conio sanziona “ salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente T. U. nonché di quelle di cui all’art. 1, L. 68/07”. Laddove per “presente testo unico” si intende il D.Lg. 286/98, mentre le disposizioni di cui all’art. 1, L. 68/07 riguardano i soggiorni di breve durata – cioè di durata inferiore a tre mesi – per visite, affari, turismo e studio, ed impone la dichiarazione di presenza all’atto dell’ingresso sul T.N. , ovvero entro 8 gg. in luogo della richiesta di permesso di soggiorno.
Com’è agevole notare, le fattispecie criminose sono due: “il fare ingresso nel territorio dello Stato”, ovvero il “trattenersi” : entrambe le condotte debbono contrastare con le disposizioni amministrative che disciplinano ingresso e soggiorno.
Pertanto, ingresso e soggiorno sono illegali solo ed esclusivamente nella misura in cui contrastano con le complesse norme del T.U. immigrazione.
Vediamo gli aspetti comuni alle due fattispecie.
Innanzitutto la clausola di salvaguardiasalvo che il fatto costituisca più grave reato”: ciò significa che le due figure di reato non si configurano, qualora la condotta di ingresso o permanenza illegale costituisca elemento costitutivo di altra fattispecie punita più gravemente. Ad esempio i reati di reingresso dello straniero espulso di cui agli artt. 13 e 13 bis T.U. che sono puniti con la reclusione e non con l’ammenda e, dunque, sono più gravi.
Atteso l’uso della locuzione avversativa “ovvero” le due condotte sono alternative tra loro, consegue che in caso di ingresso illegale la successiva permanenza sarà assorbita dalla condotta di ingresso e quindi sarà penalmente irrilevante (non si configura il concorso di reati o la continuazione ), mentre il trattenersi illegalmente avrà come presupposto un ingresso legale cui è conseguita un’irregolarità della permanenza (ad es. perché non si è chiesto il permesso di soggiorno nei termini, oppure perché il permesso è stato annullato, revocato, negato).
La clausola di salvaguardia è essenziale anche per delineare i rapporti tra i reati in questione e l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11 bis, c.p. “l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio dello Stato”.
Ovvio che la clausola di salvaguardia non opera di fronte alla contestazione del 10 bis, per la ragione che a mente dell’art. 61 c.p.”le circostanze aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali”, pertanto poiché l’essere illegalmente nel territorio dello Stato è elemento costitutivo della fattispecie di reato, non potrà trovare applicazione la specifica aggravante c.d. “di clandestinità”.
L’autore del reato può essere solo lo “straniero” nell’accezione tecnica fornita dall’art. 1, T.U.: il cittadino di paese non appartenente all’U.E. o l’apolide, con esclusione, quindi, dei cittadini comunitari. Pertanto il 10 bis è un reato proprio.
In ragione della clausola di salvaguardia non sarà configurabile il concorso nel reato proprio dell’extraneus. Pensiamo all’italiano, o comunitario o straniero regolarmente soggiornante che assume alle sue dipendenze uno straniero irregolare, in tal caso costui risponderà del delitto di cui all’art. 22, co. 12, T.U.che è più grave reato di quello in esame.
Pensiamo a tutte le ipotesi di favoreggiamento indicate nell’art. 12 T.U. : favoreggiamento dell’immigrazione ed emigrazione illegale, favoreggiamento della permanenza illegale, favoreggiamento consistente nel dare alloggio all’irregolare. Sono tutti delitti assai più gravi della contravvenzione di nuovo conio, ragion per cui difficilmente sarà configurabile il concorso nella contravvenzione di illecito ingresso e soggiorno da parte di chi aiuta lo straniero ad entrare o soggiornare illegalmente in Italia: costoro dovranno rispondere dei più gravi reati previsti dalla legge e non concorreranno nella contravvenzione in questione.
- 2. Il limite alla rilevanza penale del respingimento immediato
Il comma 2 dell’art. 10 bis prevede espressamente che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del respingimento ai sensi dell’art. 10, co. 1, del T.U., se ne deduce, a contrario, che il reato può sussistere a carico del respinto differito, di cui al co. 2 dell’art. 10.
L’art. 10 TU prevede due distinte ipotesi di respingimento alla frontiera: al comma 1, il respingimento immediato, posto in essere dalla polizia di frontiera nei confronti di chi si presenti ai valichi di frontiera senza avere i requisiti per l’ingresso; al comma 2, quello differito, che viene attuato in un momento successivo all’ingresso in una condizione simile alla quasi flagranza, ovvero nei confronti di chi è stato ammesso in Italia per necessità di soccorso.
Quindi, mentre lo straniero immediatamente respinto proprio perché non mette piede in Italia, non risponde del reato di nuovo conio, il respinto non in prima battuta risponde perché l’ingresso si verifica.
- 3. Il limite alla rilevanza penale della richiesta di protezione internazionale
Il VI° comma dell’art. 10 bis prevede che la presentazione di una domanda di protezione internazionale, indipendentemente dal momento della sua presentazione, sospende il procedimento penale. In caso di riconoscimento della protezione il gdp emette sentenza di nlp, viceversa il processo riprende il suo corso. La sentenza di ndp è inidonea a costituire il giudicato, per cui in caso di protezione temporanea, alla scadenza del termine riprende l’esercizio dell’azione, così pure in caso di revoca della protezione internazionale.
- 4. Il limite alla rilevanza penale della procedura di emersione di cui alla L. 102/09
Ai sensi dell’art. 1 ter, co. 8, l. 102/09 “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto – 5/8/2009 – e fino alla conclusione del procedimento di cui al presente articolo, sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del … lavoratore che svolge le attività di cui al comma 1 per le violazioni delle norme …relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, con esclusione di quelle di cui all’art. 12, d.lg. 286/98 …”
Ai sensi dell’art. 1 ter co. 11 L. 102/09 la sottoscrizione del contratto di soggiorno e il rilascio del permesso di soggiorno, comportano l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi. Il che significa che dal 5/8/2009 fino alla conclusione del procedimento di regolarizzazione occorre sospendere tutti i procedimenti penali e amministrativi inerenti le violazioni delle norme sull’ingresso e il soggiorno.
- 5. L’assenza della clausola del “giustificato motivo”
A differenza dei reati di cui all’art. 14, co. 5 ter T.U. 286/98, il legislatore del 2009 non ha previsto alcun “giustificato motivo” quale elemento negativo delle fattispecie di reato ex 10 bis. Tale clausola serve ad escludere la rilevanza penale di fronte a situazioni che renderebbero la condotta concretamente inesigibile, pur se non idonee a configurare le scriminanti dello stato di necessità, dell’esercizio del diritto o dell’adempimento del dovere. Quindi lo straniero che entra o si trattiene in Italia illegalmente risponde del reato in esame, anche se la sua condotta fosse sorretta da un giustificato motivo, idoneo ad assolverlo dall’inottemperanza all’ordine questorile, ma non dal reato di nuovo conio.
- 6. La contravvenzione di ingresso illegale
L’ingresso nel T.N. si realizza all’atto del superamento del confine nazionale. Il reato in esame è dunque un reato a consumazione istantanea, sia pure con effetti permanenti.
L’ingresso è illegale quando avviene contra legem , quindi il dato normativo rispetto al quale va verificata la legalità/illegalità dell’ingresso è l’art. 4 T.U. imm.: l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato deve avvenire, salvo i casi di forza maggiore, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti, consegue che ogni ingresso avvenuto con modalità differenti è da ritenersi illegale. Ai sensi dell’art.7, co. 2, D.P.R. 394/99 “è fatto obbligo al personale addetto ai controlli di frontiera di apporre sul passaporto il timbro d’ingresso, con l’indicazione della data”.
Pertanto, la prova della regolarità dell’ingresso nel territorio dello Stato è fornita esclusivamente dall’apposizione del timbro datario sul passaporto dello straniero da parte della polizia di frontiera. Tuttavia, poiché ai sensi dell’art. 20, regolamento 2006/562/CE, le frontiere interne dell’Unione europea “possono essere attraversate in qualunque luogo senza che venga effettuato il controllo delle persone”, è ovvio che l’obbligo di apposizione del timbro d’ingresso si riferisca al superamento delle frontiere esterne dell’U.E., ma non anche al passaggio di quelle interne, dove i controlli di frontiera sono aboliti.
Consegue che, in questi casi, non sussiste l’obbligo di sottoporsi ai controlli di frontiera italiani: la regolarità dell’ingresso sarà documentata dal timbro apposto dal paese dell’area Schengen ove è avvenuto l’ingresso.
Infine, sempre a mente dell’art. 4 cit. lo straniero che entra in Italia deve essere munito di passaporto o documento equipollente , e del visto, salvo i casi di esenzione.
- 7. La contravvenzione di permanenza illegale
Presupposto della condotta è che l’agente abbia fatto regolare ingresso in Italia ma che poi si sia trattenuto quando le condizioni legittimanti la permanenza sono venute meno. È un reato permanente, quindi la fattispecie verrà integrata anche nel caso in cui la situazione di irregolarità della permanenza si fosse già compiuta anteriormente all’8/8/09, data di entrata in vigore della L. 94, a condizione, ovviamente, che permanga l’irregolarità della permanenza.
La ratio della norma consiste nell’inosservanza delle disposizioni amministrative che disciplinano la regolarità del soggiorno. La condotta tipica, quindi, non è tanto quella attiva del “trattenersi” in violazione della legge, quanto quella del “non allontanarsi” in ossequio alle disposizioni che non consentono la permanenza in Italia.
Pertanto è un reato omissivo proprio, analogamente alla previsione dell’art. 14, co. 5 ter, T.U. imm. Tuttavia, a differenza dei reati omissivi propri, la fattispecie incriminatrice non prevede un termine per l’adempimento , cioè un termine entro il quale il destinatario dell’obbligo di azione deve ottemperare al precetto normativo, cioè se ne deve andare dall’Italia, a differenza della fattispecie di cui all’art. 14, co. 5 ter, T.U. imm. ove il termine per l’adempimento è di 5 giorni.
La necessità della previsione di un termine nel paradigma dei reati omissivi propri è fondamentale perché segna il limite oltre il quale la condotta omissiva diventa penalmente rilevante, e quindi l’inerzia è penalmente attribuibile ad un soggetto.
Poiché nel reato di permanenza contra legem un termine siffatto non è previsto, è evidente che il reato si integra al verificarsi della condizione di irregolarità.
Il che è rilevante soprattutto nei casi di diniego di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno: all’atto della notifica del provvedimento del questore che nega il permesso di soggiorno o il suo rinnovo, allo straniero sarebbe immediatamente addebitabile il reato di soggiorno illegale, ma, dovendo espatriare seduta stante, è chiaro che trattasi di una condotta inesigibile.
Qui si tocca con mano come la mancata individuazione del termine per l’adempimento crei seri problemi interpretativi e costringa l’interprete a ricercarlo nella disciplina di settore, pena la soluzione aberrante per cui il lavoratore cui venga negato il rinnovo del permesso di soggiorno sarebbe immediatamente esposto alla contestazione del 10 bis. In tal caso soccorre l’art. 12, co. 2, DPR 394/99 secondo cui “quando il permesso di soggiorno è rifiutato il questore concede allo straniero un termine, non superiore a 15 gg. lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera e lasciare volontariamente il territorio dello Stato, con l’avvertenza che, in mancanza, si procederà a norma dell’art. 13 del T.U.” cioè con l’espulsione, e, dovremmo aggiungere, “a norma dell’art. 10 bis”. Però la disposizione, ancorché regolamentare, non è stata modificata, e sarà quindi la giurisprudenza ad individuare la soluzione costituzionalmente orientata. Diversamente, ci sarebbe una assoluta e irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina dell’espulsione e quella penale che si basa sugli stessi identici presupposti, riguardante la stessa persona.
- 8. Casistica
Giunti a questo punto, dopo aver delineato gli elementi costitutivi essenziali delle fattispecie di reato previste dall’art. 10 bis, è opportuna l’esposizione di una ragionata casistica tratta dall’articolo di Paolo Bonetti pubblicato sul numero 4/09 della rivista “Diritto, immigrazione e cittadinanza”cui rinvio integralmente.
Sicuramente non integrano il reato di cui all’art. 10 bis le seguenti situazioni:
1) lo straniero che si presenta ai valichi di frontiera senza avere i requisiti per l’ingresso ma è temporaneamente ammesso sul T.N. per necessità di pubblico soccorso, se l’ingresso è determinato da cause non addebitabili alla straniero ( naufragio, avaria dell’aereo);
2) lo straniero che è stato fatto entrare in modo incolpevole perché vittima di tratta o di favoreggiamento dell’ingresso o del transito illegale compiuto da altri soggetti a fini di sfruttamento;
3) lo straniero soccorso in acque internazionali da navi italiane e portato a terra per necessità di soccorso,
4) tutte le ipotesi di inespellibilità previste dall’art. 19, co. 1 e 2 T.U. imm.;
5) le ipotesi in cui vengano accordate misure di protezione temporanea per motivi umanitari, in conseguenza di afflusso massiccio di sfollati,
6) lo straniero che sia genitore, anche naturale, di minore italiano residente in Italia, a condizione che non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana;
7) tutti i casi di respingimento immediato alla frontiera,
8) tutti i casi in cui lo straniero presenta spontaneamente domanda di protezione internazionale al momento dell’ingresso in Italia;
9) lo straniero familiare di cittadino comunitario che renda disponibile passaporto e visto entro 24 ore dalla richiesta;
10) i minori stranieri;
11) lo straniero che sia in attesa della risposta alla domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno;
12) tutte le fattispecie in cui l’illegalità dell’ingresso o soggiorno è già elemento costitutivo di più gravi reati;
13) lo straniero familiare di cittadino italiano, comunitario o non comunitario, che sia nelle condizioni di ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari, se era titolare di un permesso di soggiorno scaduto da non meno di un anno;
14) lo straniero familiare di cittadino comunitario che soggiorna per un periodo non superiore a tre mesi che accompagna o raggiunge, se è in possesso di passaporto ed è entrato con visto;
15) lo straniero detenuto a qualsiasi titolo o sottoposto ad altri provvedimenti coercitivi personali o limitativi della libertà di circolazione , anche se fruisce di misure alternative alla detenzione;
16) lo straniero espulso che permane in Italia per diniego del nulla osta da parte dell’A.G.;
17) lo straniero vittima di violenza o grave sfruttamento per cui sia in fieri un percorso ex art. 18 T.U;
18) lo straniero che abbia ottenuto un provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva, in pendenza di ricorso, di un provvedimento di diniego di permesso di soggiorno o di espulsione;
19) lo straniero che abbia chiesto o ottenuto la speciale autorizzazione dal tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 31, co. 3, T.U.;
20) lo straniero che abbia effettuato il ricongiungimento familiare, o sia un familiare ricongiunto che sia meritevole di non essere espulso in ragione della natura e dell’effettività dei vincoli familiari , della durata del suo pregresso soggiorno, e dell’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il suo paese di origine.
- 9. l’elemento soggettivo
Trattandosi di ipotesi contravvenzionale lo straniero “risponde della sua azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa” (art. 42, co. 4, c.p.).
Ciò che qualifica le condotte penalmente rilevanti di ingresso e soggiorno è il fatto che esse siano realizzate illegalmente. Poiché è evidente la particolare complessità della normativa sull’immigrazione, è altamente probabile il verificarsi dell’errore sulla propria condizione di irregolarità da parte dello straniero.
Sia che si tratti di errore di fatto ( es. la mancata conoscenza di un decreto della P.A. di diniego del permesso di soggiorno), sia che ritratti di errore di diritto ( errore nell’interpretazione delle norme amministrative sull’ingresso e il soggiorno), l’errore escluderà l’imputazione soltanto se non sia stato determinato da colpa (art. 47, co. 1, c.p.)
- 10. Il trattamento sanzionatorio
Se nelle more del processo è stata eseguita la concorrente espulsione amministrativa, il GdP emette sentenza nlp.
È una sentenza atipica rispetto a quella prevista dall’art. 13, co. 3 quater perché in questo caso non sono previsti limiti temporali, a differenza dalla sent. ndp prevista dall’art. 13, co. 3 quater non c’è il limite dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio, quindi trattasi di sentenza estranea alla logica deflativa, che può costituire un ragionevole limite all’obbligatorietà dell’azione penale.
A differenza della prescrizione e dell’amnistia, la sentenza nlp non è rinunciabile, quindi non è possibile vedere acclarata la propria innocenza.
In caso di condanna il GdP deve sostituire l’ammenda – da 5.000 a 10.000 € – con la sanzione sostitutiva dell’espulsione ai sensi dell’art. 16 T.U.
Dico deve e non può perché se è vero che la L. 94 ha modificato l’art. 16 T.U. inserendo anche la condanna per il reato di cui all’art. 10 bis tra le ipotesi in cui il giudice può disporre l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, è altrettanto vero che lo stesso legislatore ha introdotto l’art. 62 bis nel D.lg. 274/2000 (recante disposizioni sulla competenza penale del gdp), a mente del quale “Nei casi stabiliti dalla legge, il giudice di pace applica misura sostitutiva di cui all’art. 16 T.U. 286798”.
In realtà tale obbligo non potrebbe mai verificarsi. Infatti, l’art. 16 prevede l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva “qualora non ricorrano le cause ostative indicate nell’art. 14, co. 1 del presente T.U.”: tali cause ostative sono le stesse che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione da parte del questore, sono 4 e consistono nella necessità:
di soccorso dello straniero, di accertamenti sull’identità o nazionalità di acquisire documenti per il viaggio di reperire l’idoneo vettore. Orbene, se non ricorrono tali cause ostative, allora l’espulsione amministrativa deve già essere stata eseguita. Se invece siamo a sentenza per il 10 bis, vuol dire che l’espulsione amministrativa non è stata eseguita, diversamente ci sarebbe stata la sentenza di ndp. Dunque ciò significa che ricorrono le cause ostative del 14, dunque il GdP non può applicare la sanzione sostitutiva dell’espulsione.
Viene così introdotta una nuova espulsione: quella a titolo di sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, con una evidente asimmetria tra sanzione penale patrimoniale e sanzione che incide sulla libertà personale e di circolazione: la sanzione sostitutiva è più grave di quella sostituita.
A ciò si aggiunga che la legge continua a non prevedere alcun criterio di ragguaglio tra pena da sostituirsi e pena sostitutiva e la misura è indeterminata nel massimo.
Infine, l’espressa previsione dell’inapplicabilità dell’oblazione ex art. 162 c.p., e l’esclusione della sospensione condizionale della pena, conseguente all’attribuzione della cognizione al gdp, rendono evidente lo scopo del reato di nuovo conio: l’espulsione ad ogni costo.
Ed allora facciamo un passo indietro e ritorniamo per un attimo alla scorsa lezione, dove avevamo esaminato le modifiche del trattenimento nei C.I.E.: entro il 24/12/2010 l’Italia dovrà recepire la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante “Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare” che disegna un sistema assai diverso dal nostro.
Infatti, va osservato che a mente del combinato disposto degli artt. 6, 7 e 8 della direttiva, la decisione di rimpatrio va ordinariamente eseguita privilegiando la “partenza volontaria” (art. 7) consentendo un termine congruo – tra sette e trenta giorni – prorogabile, tenendo conto delle esigenze specifiche del caso individuale (come l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e di altri legami familiari e sociali – art. 7, 2° co.), e in tale periodo il rischio di fuga può essere fronteggiato con l’obbligo di presentazione periodica all’autorità o con l’obbligo di dimora. Inoltre, a norma dell’art. 8, 4° co., della direttiva, il ricorso a misure coercitive avviene “in ultima istanza”. Com’è agevole notare, quello comunitario è un quadro ben diverso da quello nazionale: il trattenimento si configura come extrema ratio a differenza del diritto interno, che nulla prevede a proposito del rimpatrio volontario, e ove il trattenimento è la regola.
Che il diritto interno non intenda conformarsi a quello comunitario, a proposito dell’esecuzione delle espulsioni e del ricorso a strumenti coercitivi, è confermato dall’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale in Italia di cui all’art. 10 bis, d.lgs. n. 286/1998. Infatti, a mente dell’art. 2, 2° co., lett. b) della direttiva 2008/115/CE, “gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi (…) sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale”: poiché il processo penale avanti il giudice di pace per violazione della contravvenzione di cui all’art. 10 bis, d.lgs. n. 286/1998 – per il caso in cui nelle more del procedimento non sia stata eseguita l’espulsione amministrativa – è destinato a concludersi con l’espulsione a titolo da sanzione sostitutiva ai sensi dell’art. 16, d.lgs. n. 286/1998, è evidente lo scopo che il legislatore interno ha inteso conseguire: sottrarre l’ordinamento all’applicazione della direttiva comunitaria, proprio in conseguenza della nuova fattispecie penale di ingresso e soggiorno illegale.
LA NUOVA DISCIPLINA DELLA PERMANENZA DOPO L’ESPULSIONE
- 1. La nuova versione dell’art. 14, co. 5 ter, parte prima
Mentre la condotta tipica dei reati indicati all’art. 14, co. 5 ter d.lgs. 286/98 – prima della l. 94/09 – consisteva nel trattenimento nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine del questore, ora la condotta viene descritta in termini di permanenza illegale. Viene dunque punito lo straniero che, senza giustificato motivo, «permane illegalmente» nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine del questore. La modifica pare dettata da esigenze di armonizzazione della norma in esame con il nuovo reato di cui all’art. 10 bis che, com’è noto, sanziona lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene illegalmente nel territorio nazionale. Con ciò si introduce, nella disposizione del co. 5 ter dell’art. 14, un elemento di illiceità speciale, analogo a quello previsto per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, prima mancante. Il che comporta che la “permanenza illegale” va definita con riferimento alla contrarietà alle disposizioni del TU 286/98, rispetto alle quali l’ordine questorile si pone in funzione meramente esecutiva dell’espulsione presupposta, attesa l’evidente analogia tra la condotta di “trattenersi” e quella di “permanere” in Italia, in violazione dell’ordine impartito dal questore ed in assenza di giustificato motivo.
Pertanto, gli illeciti continuano a qualificarsi come reati omissivi propri, il termine per l’adempimento continua ad essere di cinque giorni, ma la condotta non consisterà solo nella violazione dell’ordine questorile, estendendosi anche alla illegalità della permanenza intesa come contrarietà all’insieme delle disposizioni del TU relative all’ingresso ed al soggiorno.
Diversamente, non si spiegherebbe perché il legislatore abbia inteso ridefinire la condotta penalmente rilevante in termini di permanenza “illegale” e non solo di permanenza in violazione dell’ordine dell’autorità, che già di per sé era illegale, a condizione che l’ordine fosse legittimo. Ora, a parere di chi scrive, la modifica in esame potrà comportare la riduzione del potere del giudice di sindacare la legittimità dell’ordine, sussistendo il reato anche in conseguenza della illegalità della permanenza, a prescindere dalla legittimità formale dell’ordine questorile, relegato nella sua funzione meramente esecutiva di una condizione di illegalità della permanenza desumibile aliunde.
Il che comporterebbe un ampliamento del perimetro di tipicità della norma incriminatrice.
Come nella precedente formulazione, l’entità della pena cambia secondo la motivazione del presupposto decreto espulsivo, con la novità della introduzione anche del respingimento, tra gli atti presupposti dell’ordine. Infatti, la reclusione è da 1 a 4 anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale «ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza (…) ovvero per essere stato il permesso di soggiorno revocato o annullato». Al proposito, va evidenziato, ancora una volta, l’uso di una pessima tecnica legislativa, infatti già in occasione dell’entrata in vigore del previgente co. 5 ter, si era evidenziata l’incongruenza di associare l’ingresso illegale di cui alla lett. a) con la disposizione di cui alla lett. c) dell’art. 13 cit. che nulla ha a che vedere con l’ingresso illegale, trattandosi di ipotesi espulsive per pericolosità sociale.
Quasi che con l’utilizzo della particella disgiuntiva “e” lo straniero, destinatario dell’ordine questorile, dovesse essere stato espulso sia per ingresso illegale che per pericolosità sociale. A ciò si aggiunga che la disposizione di nuovo conio prevede anche il respingimento tra gli atti presupposti dell’ordine in questione. Ora, che l’ordine possa essere impartito anche a seguito di respingimento differito, è prassi consolidata. Ma una miglior tecnica normativa avrebbe dovuto suggerire di tener disgiunte le ipotesi di respingimento da quelle espulsive, posto che il respingimento non ha nulla a che fare con l’art. 13, lett. a) e c). Anche se spesso il respingimento differito può essere adottato dopo così tanto tempo dall’ingresso da sovrapporsi all’espulsione.
Inoltre, la riforma introduce, tra le condizioni legittimanti l’emissione dell’ordine del questore, in presenza del quale la permanenza dopo cinque giorni costituisce reato, anche l’omessa dichiarazione di presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto, in assenza di cause di forza maggiore. Com’è stato giustamente osservato nella relazione n. III/09 della Cassazione tale disposizione presenta profili di indeterminatezza. La norma non specifica, infatti, a quale dichiarazione di presenza abbia inteso riferirsi il legislatore, posto che due dichiarazioni di presenza sono previste dal TU 286/98 (artt. 5, co. 7 [1] e art. 27, co. 1 bis), [2] mentre non va dimenticata la dichiarazione di presenza da effettuarsi entro otto giorni dall’ingresso in Italia per i soggiorni di breve durata (studio, affari e turismo) prevista dall’art. 1, l. n. 68/07.
Per risolvere l’incertezza interpretativa occorre rammentare che l’ordine del questore non è altro che una delle modalità esecutive delle espulsioni, e, quindi per determinarne il contenuto occorre verificare i presupposti delle espulsioni. Pertanto, poiché l’espulsione conseguente alla violazione della l. n. 68/07 costituisce presupposto per il reato di cui alla seconda parte dell’art. 14, co. 5 ter, atteso che l’omessa dichiarazione di cui all’art. 5, co. 7 è motivo di espulsione facoltativa solo se sono decorsi sessanta giorni dall’ingresso, mentre l’assenza di comunicazione di cui all’art. 27, co. 1 bis è espressamente richiamata dall’art. 13, co. 2, lett. b) TU, è presumibilmente a quest’ultima che ha inteso richiamarsi il legislatore nella norma in esame. Resta comunque dubbia l’interpretazione della disposizione, potendosi anche sostenere che il legislatore abbia inteso configurare una figura di reato generalmente indirizzata ad ogni violazione del dovere di comunicazione della presenza in Italia. In tal caso, però, parrebbe difettare il necessario requisito di tassatività della fattispecie incriminatrice.
- 2. La nuova versione dell’art. 14, co. 5 ter, parte seconda
Com’è noto, la seconda parte dell’art. 14, co. 5 ter, d.lgs. 286/98 prevedeva un’ipotesi contravvenzionale, punita con l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora l’ordine del questore fosse stato impartito in esecuzione di un’espulsione disposta per essere il permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni, senza che ne fosse stato richiesto il rinnovo. La legge 94/09 modifica significativamente la norma sotto tre profili: la contravvenzione diventa delitto punito con la reclusione da sei mesi a un anno; si prevede espressamente che costituisca reato sia la permanenza illegale in violazione di un ordine questorile «se la richiesta di permesso di soggiorno è stata rifiutata», che la permanenza illegale conseguente all’essersi lo straniero trattenuto in violazione dell’art. 1, co. 3, l. n. 68/07 (oltre il termine trimestrale), ferma restando l’originaria ipotesi dell’espulsione disposta per essere scaduto il titolo autorizzativo al soggiorno da più di sessanta giorni, in assenza di richiesta di rinnovo.
Il passaggio, con un sol tratto di penna, da contravvenzione a delitto, è costume sperimentato dal legislatore. Infatti, come si ricorderà, all’indomani della sentenza n. 223/04 della Corte costituzionale che dichiarò l’illegittimità della stessa norma – nella versione scaturita dalla Bossi-Fini – che prevedeva l’arresto obbligatorio per un reato contravvenzionale, il legislatore del 2004 risolse brillantemente la questione tramutando in delitto quel che fino al giorno prima era una contravvenzione. Evidentemente, nemmeno la sentenza n. 22/07, scaturita da plurime questioni di legittimità, ha portato il legislatore a più saggi consigli, nonostante che, nella occasione, la Consulta avesse osservato che «(…) la rigorosa osservanza dei limiti dei poteri del Giudice costituzionale non esime questa Corte dal rilevare l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie prima evidenziate».
Merita soffermare l’attenzione sulla nuova ipotesi della permanenza illegale nell’ipotesi di inottemperanza all’ordine del questore «se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata».
Questa è forse la più rilevante e grave novità in punto art. 14. Infatti, com’è noto, sotto la previgente normativa, spesso la P.A. espelleva, ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b) TU chi – pur avendo richiesto tempestivamente il rinnovo del permesso di soggiorno se l’era visto rifiutare e, cionondimeno, non abbandonava l’Italia. In molti di questi casi l’espulsione era accompagnata dall’ordine questorile e, assai frequentemente, lo straniero inottemperante veniva poi arrestato proprio per violazione dell’art. 14, co. 5 ter TU. La giurisprudenza di merito prima, e quella di legittimità [3] poi, hanno escluso che in tali casi sussistesse il reato, trattandosi di ipotesi non prevista dalla legge, ostandovi il principio di tassatività delle fattispecie penali incriminatici, con conseguente divieto di analogia. Invero, il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, tempestivamente richiesto, non era previsto dal testo di cui all’art. 14, co. 5 ter, TU nella formulazione originaria, che prevedeva le ipotesi di ingresso illegale, omessa richiesta del permesso di soggiorno, ovvero revoca o annullamento dello stesso: in tali casi conseguiva la mancata convalida dell’arresto e conseguente assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste(va) (rectius non era previsto dalla legge come reato). È proprio per neutralizzare questo preciso e corretto orientamento giurisprudenziale che la novella inserisce l’ipotesi del rifiuto del permesso di soggiorno tra le condizioni legittimanti l’ordine questorile.
Sennonché, è proprio il caso di dire – invertendo un antico adagio – che si fanno i coperchi ma non le pentole. Infatti, il legislatore ha rimodulato l’art. 14, co. 5 ter TU nel senso anzidetto, senza però aver provveduto analogamente con l’art. 13, co. 2 TU. Il che significa che le ipotesi espulsive restano quelle che sono e, tra queste, continua a non essere contemplata l’ipotesi del rifiuto del permesso di soggiorno, tempestivamente richiesto.
Ciò comporta che ogni espulsione decretata perché è stata respinta l’istanza di permesso di soggiorno deve ritenersi illegittima perché assunta in casi non previsti dalla legge. Poiché l’espulsione amministrativa è atto vincolato e non discrezionale, espressione del principio di stretta legalità che permea tutta la materia del diritto dell’immigrazione a mente dell’art. 10, co. 2, Cost., l’adozione di un decreto espulsivo in tali casi è illegittimo perché frutto di un’applicazione analogica, per cui si assimila, del tutto arbitrariamente, la posizione di chi ha tempestivamente chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno e se l’è visto negare, con quella di chi non l’ha chiesto affatto.
Tornando ora alla novella dell’art. 14, co. 5 ter, TU, pare evidente che, siccome l’ordine del questore costituisce una modalità esecutiva del decreto espulsivo, essendo privo di vita giuridica autonoma, non pare ragionevole prevedere delle ipotesi per cui un atto esecutivo possa essere assunto per motivazioni differenti – e non coincidenti – con quelle per cui può essere assunto l’atto presupposto. In definitiva, a parere di chi scrive, pare violare il canone costituzionale della ragionevolezza la previsione di una sanzione penale dichiaratamente finalizzata a rafforzare l’esecuzione ad un atto amministrativo (il decreto espulsivo del prefetto) che è di per sé illegittimo, perché assunto in un caso non previsto dalla legge.
Analogamente a quanto accaduto a seguito della riforma dell’art. 14, co. 5 ter operata dalla legge n. 271/04, [4] si porranno i consueti quesiti di diritto intertemporale, sia pure esclusivamente con riferimento all’ipotesi già costituente reato prima della l. 94/09: cioè quella di permanenza illegale conseguente ad ordine questorile impartito in esecuzione di un’espulsione disposta per essere il permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni, senza che ne sia stato richiesto il rinnovo.
Il problema si pone, evidentemente, per le condotte che, iniziate sotto la vigenza della vecchia normativa, quando l’illecito era contravvenzionale, proseguono con la nuova. Trattandosi di reato permanente, dovrebbe concludersi che il fatto integri la nuova fattispecie delittuosa atteso che il momento consumativo si verifica nella vigenza della norma novellata. Tuttavia, poiché, a mente dell’art. 14, co. 5 bis, l’ordine questorile deve contenere l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione, è evidente che in questi casi l’ordine faccia riferimento alla normativa previgente, con conseguente ultrattività della qualificazione del fatto in termini contravvenzionali.
- 3. La nuova disciplina dell’art. 14, co. 5 quater Infine, la nuova legge riformula anche il co. 5 quater dell’art. 14. Il destinatario della nuova espulsione di cui al precedente co. 5 ter e del conseguente ordine di allontanamento di cui al co. 5 bis (cioè di un ulteriore ordine del questore), che «continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato» , è punito con la reclusione da uno a cinque anni, e si applicano «in ogni caso, le disposizioni di cui al co. 5 ter terzo e ultimo periodo».
Volendo tradurre in lingua comprensibile il complicato incastro dei soliti commi dell’art. 14, la storia suona così: Tizio viene espulso dal prefetto, il questore, dovendone dare esecuzione in quanto non è possibile disporre l’accompagnamento immediato (previa convalida del giudice di pace) né vi è disponibilità di posti nei C.I.E., gli ordina di autoespellersi nei successivi cinque giorni. Tizio non ubbidisce all’ordine impartito dal questore, viene arrestato e processato per direttissima. Indipendentemente dall’esito del processo, poiché non gli viene applicata la custodia cautelare in carcere, gli viene fatta una nuova espulsione corredata di un nuovo (è ormai il 2°) ordine del questore (sempre perché non è possibile eseguire immediatamente la seconda espulsione e mancano posti nei C.I.E.). Ma Tizio non ne vuol proprio sapere di ottemperare e decide, pervicacemente, di non lasciare l’Italia. A questo punto viene arrestato per la seconda volta, questa volta rischia una condanna un pò più salata (da uno a cinque anni di reclusione), ma, se per caso nemmeno in questa occasione gli applicano la custodia in carcere, ecco che si ricomincia daccapo. Il senso di questa riforma è la reiterabilità dell’ordine del questore, ove non venga applicata la custodia intramuraria, in caso di recidivanza. Se si considera che la costante giurisprudenza della Cassazione era nel senso che «allorché, dopo una prima violazione dell’ordine di allontanamento del questore […] sia emesso un successivo analogo ordine, la relativa esecuzione può avvenire solo mediante accompagnamento alla frontiera, a mezzo della forza pubblica, […] ne consegue che dopo la commissione di un primo reato di inosservanza ingiustificata […] non è configurabile un nuovo reato previsto dalla stessa disposizione di legge, dal momento che il questore è privo del potere di emettere ulteriori intimazioni la cui osservanza sia rimessa alla sola adesione volontaria dello straniero», [5] si comprende bene che la ratio del nuovo co. 5 quater dell’art. 14, T.U. 286/98 consiste nell’affossare la giurisprudenza che vietava la reiterabilità dell’ordine questorile, imponendo all’Amministrazione di dare esecuzione ai suoi provvedimenti, senza ulteriormente gravare sulla giustizia penale. Il ruolo servile della giurisdizione rispetto all’azione della P.A. è così ulteriormente ribadito.

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