Prato: un libro inchiesta sul distretto cinese della moda. L’unico comparto a non aver risentito della crisi economica.
“L’assedio cinese. Il distretto senza regole degli abiti low cost di Prato”, saggio di Silvia Pieraccini
È l’unico distretto industriale d’Italia che, nei due anni più terribili per l’economia mondiale, ha continuato a galoppare incurante della crisi. Anche se nessuna statistica l’ha rilevato, perché si nutre di illegalità e manodopera clandestina. A raccontare evoluzione e (nuovi) rischi del distretto cinese degli abiti low cost di Prato – cioè della più strabiliante e produttiva fabbrica di moda made in Italy, paragonabile per dimensioni a colossi come Zara e H&M – arriva in libreria la seconda edizione aggiornata di L’assedio cinese. Il distretto senza regole degli abiti low cost di Prato, saggio della giornalista Silvia Pieraccini (Gruppo 24 Ore, 124 pagine, 14 euro).
Il volume svela la crescita senza freni delle aziende cinesi di Prato, che hanno ormai occupato tutti i segmenti della filiera abbigliamento e continuano ad aumentare in numero, addetti, mercati (ormai anche extraeuropei, dal Canada al Messico) e guadagni. Il distretto degli abiti low cost conta oggi 3.400 aziende (sulle 4.500 imprese orientali attive a Prato), 40.000 addetti di cui quasi 30.000 clandestini, due miliardi di giro d’affari per almeno il 50% realizzato in nero, evadendo tasse e contributi. La produzione è di 1 milione di capi d’abbigliamento al giorno, 360 milioni all’anno, tutti cuciti da immigrati cinesi che, in larga parte, lavorano per aziende cinesi senza tutele né garanzie.
20 anni senza Dino Frisullo
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1 anno fa
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