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Coinvolgimento e collaborazione delle assemblee legislative per fronteggiare le emergenze legate all’immigrazione. È quanto chiede il “Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea”.
Studio sulle legislazioni regionali in materia di immigrazione: quasi tutte hanno leggi specifiche. Solo in sette hanno una legge prevista dallo Statuto.
Fonte: immigrazioneoggi.it
Maggiore coinvolgimento delle assemblee legislative, europea, nazionali e regionali, e il rafforzamento della cooperazione interparlamentare per fronteggiare le prolungate emergenze, dovute da un lato alla crisi economico-finanziaria e dall’altro ai flussi di immigrazione.
Sono le raccomandazioni contenute nella Nota di sintesi del Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea che è stato presentato venerdì scorso a Perugia.
Il Rapporto, giunto alla 13/a edizione, è realizzato dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati in cooperazione con le Assemblee regionali. La pubblicazione si avvale anche degli apporti dell’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie del Cnr e dell’Osservatorio sulle fonti dell’Università di Firenze.
Sono sei le parti che articolano il Rapporto: la prima è la Nota di sintesi, curata dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati, quest’anno dedicata alla evoluzione della governance europea sui temi, come detto, dell’immigrazione e dell’economia. La seconda parte offre una panoramica delle tendenze e dei problemi della legislazione regionale ed è curata dall’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini-Cnr”.
Seguono poi le sezioni dedicate all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di rapporti tra Stato e Regioni curata dall’Osservatorio sulle fonti dell’Università di Firenze; la parte statistica sulle tendenze evolutive della produzione normativa statale; il capitolo che analizza le tendenze in atto nei processi decisionali europei curata dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea della Camera dei deputati e l’ultima sezione che esamina in prospettiva comparata le tendenze della produzione legislativa nei principali Paesi dell’Unione europea. Per quanto riguarda gli aspetti legati ai flussi migratori ed alle politiche di integrazione a livello regionale, dallo studio emerge che quasi tutte le Regioni ordinarie hanno una legge specifica in materia di immigrazione. La seconda sezione del documento – di cui riportiamo un estratto integrale – segnala che esistono leggi regionali specifiche finalizzate a disciplinare la materia in maniera organica, ma anche leggi generali su materie diverse, spesso riguardanti i diritti sociali, che hanno come destinatari l’intera popolazione regionale e che, in forza di qualche disposizione, sono da intendersi applicabili anche agli immigrati.
Quest’ultimo è, ad esempio, il caso della Regione Molise, priva di una disciplina specifica sul fenomeno della immigrazione, ma che con la LR n. 1/2000, ha disciplinato il sistema regionale di assistenza sociale, individuando all’articolo 2 quali destinatari delle prestazioni sociali “i cittadini italiani residenti nella regione, nonché gli stranieri, gli apolidi e le persone occasionalmente o temporaneamente presenti sul territorio regionale qualora si trovino in condizioni di difficoltà tali da non consentire l’intervento da parte dei servizi della Regione o dello Stato di appartenenza”. In Veneto ed in Basilicata vi sono leggi espressamente dedicate al tema dell’immigrazione. La legislazione di tali Regioni risulta abbastanza risalente nel tempo, maturata in tempi nei quali, da un lato era inferiore il grado di autonomia delle Regioni e, dall’altro, il tema dell’immigrazione non aveva quella rilevanza politica oggi avvertita. In ogni caso se la legge della Basilicata prevede che gli interventi previsti siano “rivolti agli immigrati provenienti da Paesi extracomunitari e alle loro famiglie che soggiornano sul territorio regionale e che in esse risiedono in regola con le leggi dello Stato” (art. 3), con un rinvio alla fonte statale per l’individuazione dei destinatari, la legge veneta si applica “agli immigrati provenienti dai Paesi extracomunitari che dimorano nel territorio della Regione” (art. 2, co. 1), e dunque non richiama il requisito della regolarità del soggiorno. Sette Regioni hanno una legge in materia di immigrazione successiva allo Statuto: sono Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Calabria. Qui le leggi sull’immigrazione sono state approvate in anni recenti (dal 2007 al 2010), a dimostrazione di un fenomeno percepito in maniera viepiù crescente. Colpisce subito la situazione delle Regioni Marche e Lazio, che dispongono di due Statuti che poco concedono al tema della immigrazione, ma risultano entrambe dotate di una legge molto più puntuale ed accurata nella individuazione dei destinatari. Sostanziale omogeneità si registra tra gli Statuti delle Regioni Toscana, Abruzzo, Calabria, Campania e Puglia e le rispettive leggi in materia di immigrazione. La legge della Regione Campania (n. 6 del 2010) estende la disciplina “per l’inclusione sociale, economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania” anche agli immigrati non in regola col soggiorno. Analogamente la legge della Regione Puglia, n. 32 del 2009, parla genericamente di “immigrati”, o “cittadini immigrati presenti sul territorio regionale”, o, ancora, di stranieri “presenti a qualunque titolo sul territorio della regione”. Anche la legge della Regione Toscana n. 29 del 2009, afferma che le previsioni della legge si estendano “a favore di cittadini stranieri comunque dimoranti sul territorio regionale”, ivi compresi, dunque, gli irregolari. In Calabria, la LR n. 18/2009, più che disciplinare situazioni giuridiche soggettive degli immigrati, detta misure di carattere generale e programmatico. In Liguria, infine, la LR n. 7/2007, dal titolo “Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati”, include (art. 2, co. 1) tra i suoi destinatari “le cittadine e i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, gli apolidi, i richiedenti asilo e i rifugiati, presenti sul territorio regionale” a differenza dello Statuto che parla di immigrati residenti. Cinque Regioni hanno invece un nuovo Statuto e una legge ad esso precedente: si tratta di Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo. In Abruzzo, la LR n. 46/2004, dal titolo “Interventi a sostegno degli stranieri immigrati” non sembra andare oltre l’orizzonte che verrà poi delineato dalla disposizione statutaria (art. 7, co. 7) che individua tra i suoi destinatari le persone immigrate. In Piemonte, invece, è più netta la divergenza tra legge e Statuto regionale. La LR n. 64/1989, approvata ben 16 anni prima dello Statuto (del 2005), liquida la questione dei destinatari prevedendo che “le provvidenze e gli interventi previsti alla presente legge sono riferiti agli extra-comunitari immigrati in Piemonte ed ivi residenti, in regola con il permesso di soggiorno”, mentre lo Statuto, come sopra evidenziato, parla semplicemente di immigrati. In Emilia-Romagna, la LR n. 5/2004, precede di un solo anno lo Statuto ma appare, a differenza di questo, assai più prudente. Se, infatti, lo Statuto parla di veri e propri diritti sociali degli immigrati, degli stranieri profughi rifugiati ed apolidi spingendosi perfino a riconoscere loro il diritto di voto e se, pertanto, netta è la distanza che vuol prendersi dalla legislazione nazionale, la legge regionale opera essenzialmente attraverso la tecnica del rinvio proprio ad essa. In Lombardia vige ancora la LR n. 38/1988, e come nel caso di altre leggi così risalenti (Piemonte, Veneto, Molise e Basilicata), non si avverte quell’urgenza di rivendicazione di una grado significativo di autonomia regionale in materia: l’art. 1, co. 2, della legge lombarda si limita a stabilire che essa “opera nei confronti degli immigrati che provengono da Paesi extracomunitari e dimorano nel territorio regionale”. In Umbria, infine, vige la LR n. 18/1990, approvata ben quindici anni prima dello Statuto: anche tale legge risente di un clima diverso rispetto a quello attuale; tuttavia, pur non mancando in essa il rinvio alla legislazione statale, laddove individua come destinatari degli interventi “i cittadini provenienti da Paesi extracomunitari e loro familiari che risiedano o dimorino nel territorio della regione Umbria secondo la normativa vigente” (art. 2, co. 1), già all’epoca tentava una netta fuga in avanti, stabilendo che “i cittadini della Comunità economica europea, gli apolidi, i rifugiati e i profughi possono beneficiare degli interventi di cui alla presente legge ove non usufruiscano di più favorevoli o di analoghi benefici in forza della normativa comunitaria, statale e regionale”.
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