25/11/11

servergnini: cittadinanza ai bambini stranieri

Nuovi italiani: sì o no?
di Beppe Severgnini - italians


La moglie di un amico italiano è nata in Romania, e si è trasferita negli Usa vent’anni fa. E’ un medico. I due vivono a New York. Hanno un appartamento al 18° piano da cui si vedono luci e strade e case e fiume. Sono passato a trovarli, all’inizio di novembre; e lei mi ha mostrato, orgogliosa, una lettera.

“Hai prestato un solenne giuramento a questo paese, e ora ne condividi i privilegi e le responsabilità. I nostri principi e le nostre libertà democratiche sono tue, e vanno sostenute con attiva e impegnata partecipazione. Ti incoraggio a essere coinvolto nella tua comunità e a promuovere i valori che ci guidano come Americani: lavoro duro e onestà, coraggio e fair-play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo”. La lettera prosegue fino alla firma: Barack Obama.

La lettera viene consegnata a tutti coloro che diventano cittadini americani. Retorico? Però chi la riceve si commuove e la conserva. Inutile? Non è vero: negli USA è stupefacente il patriottismo, anche di chi ha avuto poco. Tra di noi vive gente che dall’Italia ha avuto tutto, e se ne frega.

Il presidente Napolitano ha ragione. La cittadinanza a chi nasce in Italia è un provvedimento doveroso. Non costa nulla, renderà molto. Lo sostengono persone e organismi diversi tra loro: da Gianfranco Fini, presidente della Camera, a Giordano Bruni Guerri, storico e editorialista del “Giornale”; da “Famiglia Cristiana” all’Unicef, che promuove una raccolta di firme. La novità non aiuta solo i nascituri, ma i genitori stranieri residenti in Italia. Sapere che i figli staranno meglio di noi vale molto, per tutti. Ancora di più per chi, sognando un futuro migliore, ha attraversato il mondo.

Questo non vuol dire stravolgere le politiche d’immigrazione. Gli Stati Uniti sono più severi di noi, in materia. Come il Canada e l’Australia si scelgono – quando possono – nuovi cittadini utili alla causa nazionale (determinati mestieri, per esempio). Noi, no. Ma la nostra generosità si chiama fatalismo. Fossimo davvero generosi e lungimiranti (la generosità è sempre lungimirante) dovremmo formare nuovi italiani. E dichiarare italiani i loro figli nati qui.

Capisco le ansie della Lega. Ma non c’è tempo: i nati in Italia ancora giuridicamente stranieri superano il mezzo milione. E non c’è alternativa: o coinvolgiamo i nuovi arrivati, o alleviamo futuri avversari. O li aiutiamo a sentirsi a casa in Italia – ricordando che ai diritti corrispondono i doveri – oppure prepariamoci a raccogliere i frutti velenosi di questa schizofrenia identitaria. I nuovi leader leghisti – Maroni, Tosi, Zaia – decidano: vogliono raccattare qualche voto, e invecchiare biascicando inutili improperi? O vogliono aiutare le terre che dicono di amare?

P.S. “Lavoro duro e onestà, coraggio e fair-play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo”: chissà cosa ne farebbero, di questi principi, gli sciacalli che s’aggirano intorno a Finmeccanica, società pubblica.

Nessun commento:

Posta un commento