Quelle parole del sindaco sugli immigratidi Tito Boeri e Marta De Philippis 18.05.2010
Lettera aperta al sindaco di Milano, Letizia Moratti. Che qualche giorno fa ha proposto un'equazione tra immigrati clandestini e criminalità. Parole che non sembrano suffragate da analisi e studi approfonditi. Perché i dati di una ricerca della Fondazione Rodolfo Debenedetti su otto comuni del Nord Italia e il primo censimento dei senzatetto a Milano offrono una lettura ben diversa della situazione.
A partire dal fatto che quasi tutti gli immigrati passano per una condizione di irregolarità prima di ottenere il permesso di soggiorno.
A partire dal fatto che quasi tutti gli immigrati passano per una condizione di irregolarità prima di ottenere il permesso di soggiorno.
Caro Sindaco,è di qualche giorno fa la sua equazione tra immigrati clandestini e criminalità: “il clandestino che non ha un lavoro regolare normalmente delinque” ha dichiarato e reiterato successivamente. Ci risulta difficile pensare a un clandestino con un lavoro regolare. Ci sta quindi dicendo che tutti i clandestini sono delinquenti? E sulla base di quali dati giunge a una tale inquietante conclusione?
Le poniamo queste domande perché i dati di cui disponiamo ci portano a conclusioni molto diverse dalle sue. E crediamo che il dovere del primo cittadino sia quello di documentarsi prima di alimentare pregiudizi diffusi.
Tra ottobre e novembre 2009, la Fondazione Rodolfo Debenedetti ha condotto un’indagine sugli immigrati in otto comuni del Nord Italia, tra cui Milano. L’innovativo metodo di campionamento (per blocchi di abitazioni anziché in luoghi frequentati da alcuni immigrati) rende la ricerca l’unica in Italia a essere rappresentativa degli immigrati irregolari. Tutti i comuni interessati hanno dato il patrocinio (gratuito) all’indagine, tranne il comune di Milano, che oltretutto è quello in cui sono state raccolte il maggior numero di interviste. Né lei né l’assessore alle Politiche sociali ci avete ricevuto quando abbiamo chiesto un incontro per illustrarvi l’indagine e per chiedervi di renderne edotta la cittadinanza.
I RISULTATI DELLE NOSTRE RICERCHE
Ecco alcuni dei principali risultati che abbiamo conseguito e che saremmo lieti di esporle in maggiore dettaglio se ce ne concederà la possibilità.
Primo, non ci sono differenze significative fra immigrati regolari e irregolari nella percentuale di chi dichiara di avere avuto problemi con la giustizia in Italia.
Secondo, sappiamo da altre fonti (Istat) che la probabilità di essere denunciati è più alta per gli immigrati irregolari che per quelli regolari, ma comunque è ben inferiore al 100 per cento da lei ipotizzato. Rapportando i numeri dell’Istat alla popolazione totale degli immigrati irregolari, si può stimare che circa il 18% degli irregolari è stato oggetto di una denuncia nel 2005. Almeno un quarto delle denunce riguarda, però, reati legati all’immigrazione clandestina in quanto tale e non crediamo che il senso delle sue parole fosse “è irregolare chi è irregolare”.
Terzo, l’irregolarità è una condizione da cui quasi tutti gli immigrati sono passati. Il 60% degli immigrati attualmente regolari da noi intervistati ha vissuto un periodo non breve di irregolarità. Sono arrivati senza permesso di soggiorno e hanno dovuto attendere diversi anni prima di essere regolarizzati. I tempi di attesa medi per il rinnovo o la concessione del permesso di soggiorno sono infatti di 3 anni. Non abbiamo ragione di ritenere che in questo lasso di tempo gli immigrati diventino tutti delinquenti.
Quarto, durante il periodo in cui non si ha un regolare permesso di soggiorno si incontrano maggiori difficoltà nel trovare lavoro perché non si può passare per i canali di assunzione legali: a Milano solo il 55% degli immigrati irregolari lavora e il 31% sostiene di essere in cerca di un lavoro. Anche chi trova lavoro, ha per lo più impieghi saltuari e a condizioni peggiori, forse perché sotto il ricatto del proprio datore di lavoro (salari dal 20 al 30 per cento più bassi a parità di altre condizioni, turni di notte, meno ore totali ma concentrate nei week end, etc.). Circa il 40 per cento degli irregolari sono impiegati nell’edilizia dove vengono spesso disattese norme elementari di sicurezza sul lavoro. In quest’ultimo caso, il reato è commesso dal datore di lavoro, non certo dall’immigrato.
Quinto, gli immigrati irregolari sono fortemente ghettizzati nel tessuto urbano. In via Padova il 25% degli immigrati intervistati è irregolare. L’indice di segregazione abitativa (un indice delle differenze nella distribuzione degli immigrati rispetto alla popolazione autoctona) per gli immigrati irregolari a Milano è il più alto tra i comuni considerati. Il primo censimento dei senzatetto a Milano condotto nel 2008 (1) anche in questo caso senza ricevere il patrocinio del Comune, ha messo in luce che il 68% dei senza fissa dimora a Milano è straniero (in totale 619 persone) e, di questi, il 13% non ha un permesso di soggiorno. Molte sono badanti che hanno perso il lavoro e la casa al tempo stesso. Sono persone che in gran parte potrebbero essere reinserite nel tessuto sociale.
Lasciamo comunque a Lei l’interpretazione di questi dati e soprattutto il loro utilizzo nella definizione di politiche più appropriate per gestire il fenomeno dell’immigrazione nella nostra città. Le suggeriamo di parlarne anche coi Suoi colleghi sindaci e con i ministri competenti perché il problema dell’immigrazione non può essere affrontato da un solo Comune. In questi colloqui per favore faccia precedere l’analisi dei dati, gli studi di fattibilità, alle parole. Ad esempio, faccia presente al Ministro Gelmini che la sua proposta di limitare le presenze di immigrati in ogni quartiere al 30 per cento, come nelle scuole, comporterebbe deportazioni in massa degli immigrati. Dal solo quartiere di via Padova bisognerebbe spostare più di mille immigrati trovando loro un alloggio in quartieri con bassa densità di immigrati.
I dati che le abbiamo voluto ricordare testimoniano il fatto che ci stiamo muovendo su di un terreno minato, trattandosi di fasce di popolazione che vivono in condizioni di marginalità e che, in assenza di alternative, possono finire nelle braccia delle organizzazioni criminali. Non crediamo che sia interesse di nessuno, neanche di chi vuole cavalcare sentimenti diffusi per raccogliere qualche consenso in più, gettare benzina sul fuoco.
Cordialmente
Tito Boeri, direttore scientifico fondazione Rodolfo Debenedetti
Marta De Philippis, responsabile dell’indagine sull’immigrazione irregolare nelle otto città italiane
(1) L’indagine è stata condotta da Michela Braga e Lucia Corno, due ricercatrici dell’Università Bocconi, con il sostegno della fondazione Rodolfo Debenedetti.
Le poniamo queste domande perché i dati di cui disponiamo ci portano a conclusioni molto diverse dalle sue. E crediamo che il dovere del primo cittadino sia quello di documentarsi prima di alimentare pregiudizi diffusi.
Tra ottobre e novembre 2009, la Fondazione Rodolfo Debenedetti ha condotto un’indagine sugli immigrati in otto comuni del Nord Italia, tra cui Milano. L’innovativo metodo di campionamento (per blocchi di abitazioni anziché in luoghi frequentati da alcuni immigrati) rende la ricerca l’unica in Italia a essere rappresentativa degli immigrati irregolari. Tutti i comuni interessati hanno dato il patrocinio (gratuito) all’indagine, tranne il comune di Milano, che oltretutto è quello in cui sono state raccolte il maggior numero di interviste. Né lei né l’assessore alle Politiche sociali ci avete ricevuto quando abbiamo chiesto un incontro per illustrarvi l’indagine e per chiedervi di renderne edotta la cittadinanza.
I RISULTATI DELLE NOSTRE RICERCHE
Ecco alcuni dei principali risultati che abbiamo conseguito e che saremmo lieti di esporle in maggiore dettaglio se ce ne concederà la possibilità.
Primo, non ci sono differenze significative fra immigrati regolari e irregolari nella percentuale di chi dichiara di avere avuto problemi con la giustizia in Italia.
Secondo, sappiamo da altre fonti (Istat) che la probabilità di essere denunciati è più alta per gli immigrati irregolari che per quelli regolari, ma comunque è ben inferiore al 100 per cento da lei ipotizzato. Rapportando i numeri dell’Istat alla popolazione totale degli immigrati irregolari, si può stimare che circa il 18% degli irregolari è stato oggetto di una denuncia nel 2005. Almeno un quarto delle denunce riguarda, però, reati legati all’immigrazione clandestina in quanto tale e non crediamo che il senso delle sue parole fosse “è irregolare chi è irregolare”.
Terzo, l’irregolarità è una condizione da cui quasi tutti gli immigrati sono passati. Il 60% degli immigrati attualmente regolari da noi intervistati ha vissuto un periodo non breve di irregolarità. Sono arrivati senza permesso di soggiorno e hanno dovuto attendere diversi anni prima di essere regolarizzati. I tempi di attesa medi per il rinnovo o la concessione del permesso di soggiorno sono infatti di 3 anni. Non abbiamo ragione di ritenere che in questo lasso di tempo gli immigrati diventino tutti delinquenti.
Quarto, durante il periodo in cui non si ha un regolare permesso di soggiorno si incontrano maggiori difficoltà nel trovare lavoro perché non si può passare per i canali di assunzione legali: a Milano solo il 55% degli immigrati irregolari lavora e il 31% sostiene di essere in cerca di un lavoro. Anche chi trova lavoro, ha per lo più impieghi saltuari e a condizioni peggiori, forse perché sotto il ricatto del proprio datore di lavoro (salari dal 20 al 30 per cento più bassi a parità di altre condizioni, turni di notte, meno ore totali ma concentrate nei week end, etc.). Circa il 40 per cento degli irregolari sono impiegati nell’edilizia dove vengono spesso disattese norme elementari di sicurezza sul lavoro. In quest’ultimo caso, il reato è commesso dal datore di lavoro, non certo dall’immigrato.
Quinto, gli immigrati irregolari sono fortemente ghettizzati nel tessuto urbano. In via Padova il 25% degli immigrati intervistati è irregolare. L’indice di segregazione abitativa (un indice delle differenze nella distribuzione degli immigrati rispetto alla popolazione autoctona) per gli immigrati irregolari a Milano è il più alto tra i comuni considerati. Il primo censimento dei senzatetto a Milano condotto nel 2008 (1) anche in questo caso senza ricevere il patrocinio del Comune, ha messo in luce che il 68% dei senza fissa dimora a Milano è straniero (in totale 619 persone) e, di questi, il 13% non ha un permesso di soggiorno. Molte sono badanti che hanno perso il lavoro e la casa al tempo stesso. Sono persone che in gran parte potrebbero essere reinserite nel tessuto sociale.
Lasciamo comunque a Lei l’interpretazione di questi dati e soprattutto il loro utilizzo nella definizione di politiche più appropriate per gestire il fenomeno dell’immigrazione nella nostra città. Le suggeriamo di parlarne anche coi Suoi colleghi sindaci e con i ministri competenti perché il problema dell’immigrazione non può essere affrontato da un solo Comune. In questi colloqui per favore faccia precedere l’analisi dei dati, gli studi di fattibilità, alle parole. Ad esempio, faccia presente al Ministro Gelmini che la sua proposta di limitare le presenze di immigrati in ogni quartiere al 30 per cento, come nelle scuole, comporterebbe deportazioni in massa degli immigrati. Dal solo quartiere di via Padova bisognerebbe spostare più di mille immigrati trovando loro un alloggio in quartieri con bassa densità di immigrati.
I dati che le abbiamo voluto ricordare testimoniano il fatto che ci stiamo muovendo su di un terreno minato, trattandosi di fasce di popolazione che vivono in condizioni di marginalità e che, in assenza di alternative, possono finire nelle braccia delle organizzazioni criminali. Non crediamo che sia interesse di nessuno, neanche di chi vuole cavalcare sentimenti diffusi per raccogliere qualche consenso in più, gettare benzina sul fuoco.
Cordialmente
Tito Boeri, direttore scientifico fondazione Rodolfo Debenedetti
Marta De Philippis, responsabile dell’indagine sull’immigrazione irregolare nelle otto città italiane
(1) L’indagine è stata condotta da Michela Braga e Lucia Corno, due ricercatrici dell’Università Bocconi, con il sostegno della fondazione Rodolfo Debenedetti.
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