Una caratteristica comune a molte economie sviluppate, in particolare europee, è senz’altro rappresentata dai bassissimi tassi di crescita economici, oltre che demografici, registrati negli ultimi decenni. L’Italia non fa eccezione, anzi. Secondo Eurostat, negli ultimi 10 anni, il tasso di crescita del PIL reale italiano si è mantenuto al di sotto della media dei paesi dell’Unione Europea a 27 (da un differenziale di 0,2 punti percentuali nel 2000 si passa a 0,8 nel 2009, sempre a nostro sfavore, beninteso). I bassi livelli di produttività sono senza dubbio tra i principali fattori determinanti l’attuale stagnazione, né le prospettive di medio e lungo periodo sono incoraggianti. L’ampio e complesso dibattito sulla produttività, nonostante la sua evidente centralità nel problema ha, tuttavia, spesso offuscato l’apporto di ulteriori potenziali determinanti, che potrebbero ugualmente essere rilevanti.
Ci servono immigrati? Alcuni numeri...
Un recente lavoro (si veda Golini, Di Bartolomeo, 2010) ha cercato di evidenziare il potenziale ruolo giocato dei fattori demografici sulla crescita economica italiana con particolare riferimento alle migrazioni dall’estero. A partire dalle ultime previsioni dell’Istat, ci si è chiesti quale contributo hanno e soprattutto avranno nei prossimi anni le migrazioni internazionali sul PIL del nostro paese. Come crescerebbe l’economia italiana senza l’apporto della manodopera straniera?
A partire da una semplice identità (PIL = PIL/Occupati * Occupati/Pop15-64 * Pop15-64/Popolazione totale * Popolazione totale), è possibile stimare il contributo delle migrazioni sul PIL - a parità di produttività (PIL/Occupati) e tasso di occupazione (Occupati/Pop 15-64) - scomponendone l’effetto sul rapporto tra popolazione in età lavorativa e popolazione totale (Pop 15-64/Pop) e sulla popolazione nel suo complesso (Pop). Per giungere a questa stima occorrono però, naturalmente, alcuni assunti di partenza, che qui sono i seguenti: 1. gli immigrati sono impiegati velocemente; 2. le migrazioni da lavoro sono complementari e non competitive rispetto alla manodopera locale; 3. gli immigrati hanno almeno lo stesso livello di produttività degli italiani. Si sta in pratica ipotizzando che contributo degli immigrati possa essere valutato ceteris paribus: che abbia effetti di tipo strutturale, ma non abbia contro-effetti sugli altri termini dell’identità, vale a dire occupazione e produttività
Quanto emerge dall’analisi non sorprende. L’effetto delle “mancate” migrazioni (considerando anche quanti acquisirebbero la cittadinanza italiana durante il periodo di previsione) sarebbe devastante. A titolo di esempio, nel 2051 il rapporto tra popolazione in età lavorativa e popolazione totale passerebbe dal previsto 54,2% al 49,6% in una popolazione teoricamente chiusa alle migrazioni, mentre al posto di 256 anziani ogni 100 bambini nel 2051 ne avremmo ben 339. Come conseguenza, senza la popolazione straniera, il PIL reale italiano diminuirebbe, a parità di altre condizioni, di circa 26 punti percentuali rispetto al suo valore previsto. A sua volta, il PIL procapite subirebbe una riduzione di circa 6 punti percentuali. Questo scenario, seppur ipotetico, deve far riflettere.
Qualche considerazione sulle performance regionali
L’osservazione dei risultati della stessa analisi a livello disaggregato, vale a dire considerando da una parte l’Italia centro-settentrionale e dall’altra il Mezzogiorno appare ancor più interessante e, allo stesso tempo, fonte di ulteriori preoccupazioni. L’impatto (positivo) delle migrazioni sull’economia va, infatti, riconsiderato alla luce di due aspetti: la distribuzione ineguale della popolazione straniera regolare – fortemente concentrata al nord – e la riduzione del divario o l’annullamento nei livelli di fecondità tra il nord e il sud della penisola – per cui il Mezzogiorno è destinato a perdere il suo storico vantaggio in termini di dinamiche riproduttive (Marcantonio Caltabiano, La fecondità in Italia tra ripresa e declino).
Considerando questo scenario, mentre il contributo delle migrazioni persiste nel nord del paese, nel sud il loro impatto è pressoché nullo. Sul piano strettamente demografico, l’impatto delle migrazioni al centro-nord consentirebbe un rallentamento del processo d’invecchiamento della popolazione (invece dei 244 anziani previsti ogni 100 bambini, senza migrazioni ne avremmo ben 359; allo stesso modo l’indice di dipendenza strutturale passerebbe da 81,2% a 103,9%), mentre al sud l’impatto sarebbe estremamente più basso (da 289 a 309 anziani ogni 100 bambini con un indice di dipendenza strutturale che passerebbe dal valore previsto di 93,6% al 98,0% nella popolazione chiusa). Dal punto di vista economico, nell’Italia centro-settentrionale, senza manodopera straniera, il PIL previsto nel 2051 diminuirebbe di circa 38 punti percentuali ed il PIL pro capite di 9; nel Meridione, invece il calo sarebbe, rispettivamente, di 7 e 1 punti percentuale.
Gli immigrati: una risorsa da considerare nel dibattito sul federalismo
Nel lungo periodo, le migrazioni per lavoro hanno, quindi, un effetto positivo importante sulla crescita economica; tuttavia, a livello disaggregato esse tendono ad allargare significativamente la forbice del divario economico tra il nord e il sud del paese, se non bilanciate da opportune politiche compensative (si noti però che l’analisi non considera la presenza irregolare, che, com’è noto, è invece maggiormente concentrata nel Meridione).
Alla luce di quanto detto, alcune manovre appaiono auspicabili, se non necessarie. Tra le altre, una maggiore razionalizzazione dei flussi migratori per lavoro che tenga conto delle diverse esigenze regionali. Allo stesso modo, politiche di integrazione efficaci acquistano una valenza sempre maggiore non solo a livello sociale ma anche e, soprattutto, economico, per far sì che non vi sia, o che sia ridotto al minimo, il potenziale differenziale di produttività tra italiani e migranti. Migranti integrati avranno, infatti, gli stessi – e forse maggiori – livelli di produttività degli italiani (naturalmente, a parità di condizioni; ad esempio per un uguale grado di istruzione) Al contrario, politiche non orientate all’integrazione potrebbero causare degli effetti contro-produttivi. In quest’ottica, la recente “risoluzione” in tema d’immigrazione approvata dal Senato lo scorso 2 marzo (si veda Sull’immigrazione, un dibattito civile (per una volta)), sembra andare nella giusta direzione. Tuttavia, ancora molto c’è da fare.
Riferimenti
Golini A., Di Bartolomeo A. (2010), The impact of a massive migration flow on the regional population structure: The case of Italy. Vienna Yearbook of Population Research 2009, Vienna.
La Redazione, Sull’immigrazione, un dibattito civile (per una volta) Pubblicato il 24/03/2010, neodemos.it
* Dipartimento di Scienze demografiche - Università di Roma, La Sapienza
** Università di Roma "La Sapienza"
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