Test di lingua per stranieri ,
da Redattore Sociale
Il decreto Maroni pone problema di eticità
"La lingua diventa una barriera all'integrazione": l’analisi di Monica Barni direttrice a Siena del Cils, uno degli enti certificatori autorizzati dal ministero. “340 mila persone dovrebbero sottoporti al test, ma solo un’esigua parte riceverà gratuitamente.
Gli immigrati che intendono restare in Italia per un periodo superiore ai cinque anni dovranno sottoporsi ad un test di lingua italiana. Lo stabilisce il decreto del ministero dell’Interno del 4 giugno 2010, firmato d’intesa con il ministero dell’Istruzione. Una misura già attuata in altri paesi europei come Francia, Germania e Gran Bretagna. L’Italia che si allinea dunque agli standard Ue? Non proprio, perché se i cugini d’oltralpe offrono agli immigrati la possibilità di partecipare a corsi di lingua francese della durata di 600 o 800 ore (a carico dello stato), in Italia l’offerta formativa è praticamente nulla, spiega Monica Barni, direttrice del Centro Cisl, Università per stranieri di Siena, uno degli enti certificatori autorizzati dal ministero.
“Il decreto del ministero è molto preoccupante e pone un grande problema di eticità, perché c’è una richiesta ma non c’è l’offerta. Una situazione paradossale se si pensa che la conoscenza della lingua è il primo strumento per interagire: in questo modo diventa invece una barriera per isolare. Come può un immigrato che lavora 10 ore al giorno e magari ha figli piccoli trovare il tempo per frequentare un corso privato di italiano?” spiega Monica Barni.
Un quesito al quale lo stato italiano non sembra dare una risposta: la gran parte dei corsi di italiano per stranieri viene infatti organizzata dalle associazioni di volontariato cattoliche, come la Caritas, oppure da organizzazioni laiche, sebbene la stessa conoscenza della lingua italiana contribuisca ad aumentare il punteggio del cosiddetto “permesso a punti”, previsto dal “patto di integrazione tra immigrati e stato” presentato recentemente dal governo, obbligatorio a partire dal 2011. I fondi stanziati dal ministero del Lavoro con il fondo sociale europeo prevedono un finanziamento alle regioni per la formazione degli immigrati ma si tratta di interventi non sistematici, spiega Monica Barni: “Le previsioni del governo parlano di 340 mila persone che dovrebbero sottoporti al test, di questi solo un’esigua parte riceverà gratuitamente un’offerta formativa”.
Il problema, secondo la direttrice del Centro Cisl, non è solo di contenuto ma anche di metodo: chi stabilisce infatti che A2 (il livello di competenza fissato dal ministero) è il livello idoneo per essere un buon cittadino? Inoltre, come saranno somministrati e valutati i test, tenuto conto che si svolgeranno in questura in condizioni ovviamente di grande stress per lo straniero? Infine, trattandosi di un test scritto, anche on line, la conoscenza parlata dell’italiano non verrà misurata eppure ci sono molti immigrati analfabeti che sanno parlare ma non scrivere. “Questioni che sfociano in tematiche etico-politiche che non si possono ignorare. La lingua è un diritto, il problema è quando la lingua diventa una barriera all’integrazione” conclude Monica Barni ricordando le famose parole di Don Milani: “E’ la lingua che ci fa uguali”, “tanto più per un immigrato” aggiunge la professoressa.
Ecco come funziona
Dal prossimo 9 dicembre 2010 per ottenere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, già carta di soggiorno, sarà necessario superare un esame di lingua italiana. Lo stabilisce un decreto ministeriale del 4 giugno 2010, pubblicato lo scorso 11 giugno sulla Gazzetta Ufficiale. Nel decreto, emanato dal ministero dell’Interno di concerto con il ministero l’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, vengono spiegate le modalità operative per lo svolgimento del test, già previsto nel ddl 733-bis approvato nel luglio 2009, il cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Il test – si legge – dovrà verificare “un livello di conoscenza della lingua italiana che consente di comprendere frasi ed espressioni di uso frequente in ambiti correnti, in corrispondenza al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue approvato dal Consiglio d’Europa”.
Il test di lingua si va a sommare a una procedura già abbastanza complessa: l’ottenimento del permesso di lungo periodo – documento senza scadenza, comunque da rinnovare ogni cinque anni – è subordinato a una regolare presenza sul territorio di almeno 5 anni, senza assenze superiori ai 10 mesi complessivi. La richiesta, da inoltrare alla Questura competente, che dovrebbe rispondere dopo 90 giorni, deve rispettare diversi requisiti: occorre avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, dimostrabile presentando le buste paga dell’anno in corso, e si deve documentare la propria situazione in ambito penale. Nel caso di richiesta per i familiari, è necessario certificare la disponibilità di un alloggio idoneo, i cui parametri saranno accertati dall’Azienda unità sanitaria locale (Asl) competente, oltre a fornire un attestato anagrafico, tradotto e validato dall’autorità consolare nel Paese di appartenenza o di stabile residenza dello straniero. Tutto questo è accompagnato da una spesa di circa 70 euro: 27,50 euro per bollettino postale di pagamento del permesso di soggiorno elettronico, 14,62 euro per il contrassegno telematico, e 30 euro per la raccomandata,per un totale.
Da dicembre oltre a queste pratiche si dovrà sostenere un test di lingua italiana, e superarlo con un punteggio minimo di ottanta su cento. La richiesta di partecipazione alla prova dovrà essere presentata “con modalità informatiche alla prefettura territoriale competente in base al domicilio del richiedente”, che sarà convocato entro sessanta giorni. Il test si svolgerà tramite modalità informatiche o – su richiesta dello straniero – prove scritte. Il contenuto delle prove che compongono il test, i criteri di assegnazione del punteggio e la durata della prova vengono stabiliti da uno dei quattro enti di certificazione in convenzione con il ministero dell’Interno: l’Università di RomaTre, l’Università per straneri di Perugia, l’Università per stranieri di Siena, e la Società Dante Alighieri. Entro la fine dell’estate queste strutture dovranno presentare un unico test, così da razionalizzare i criteri e gli standard con cui poi le questure giudicheranno la conoscenza linguistica. Non tutti però dovranno effettuare l’esame: saranno esentati i figli minori di 14 anni e chi presenta gravi problemi di apprendimento linguistico, per età, handicap o patologie, certificati da un medico. Lo stesso, come si legge nell’articolo 4 del decreto, per i possessori di un certificato di conoscenza dell’italiano a livello A2, di un diploma di scuola media o superiore ottenuto in un istituto italiano, oppure chi frequenta un corso universitario, un dottorato o un master, oltre che dirigenti, professori universitari, traduttori, interpreti e giornalisti entrati in Italia “fuori quota”.
Senza risorse diventa un ostacolo
Parla il coordinatore della rete “Scuole migranti”, Venanzetti: “Non esiste alcun sostegno da parte dello Stato, attualmente la domanda di alfabetizzazione degli stranieri è accolta da volontariato e Ctp”
ROMA - “Noi non siamo contro il requisito della conoscenza linguistica per un documento di lungo periodo: ciò che critichiamo è che sia posto più come ostacolo che come strumento di integrazione”. Questo il commento di Augusto Venanzetti, coordinatore della rete romana “Scuole Migranti”, circa il decreto ministeriale che lega il permesso di soggiorno di lungo periodo al superamento di un test di lingua italiana. “L’iniziativa è positiva, e portata avanti in diversi paesi europei con buoni risultati. Il problema è che in Italia è stata data solo la disposizione, senza mettere in campo risorse e offerte”. È questa la critica principale proveniente dalla rete, che collega le più importanti scuole di italiano per migranti operanti all’interno delle associazioni di volontariato e del privato sociale nell’area della capitale.
“Non esistono azioni di sostegno provenienti dallo Stato – afferma Venanzetti –, attualmente a Roma la domanda di alfabetizzazione degli stranieri viene accolta dal volontariato, che copre circa 7mila domande annuali, e dai Centri territoriali permanenti (Ctp), che ne segue altre 7mila. E non è previsto alcun incremento statale”. Anzi, in realtà si prospetta una diminuzione dei corsi di italiano: in base a una riforma dei Ctp, prevista già nell’ottobre 2009 ma poi prorogata di due anni, l’insegnamento della lingua italiana dovrà legarsi al completamento di un altro corso, ad esempio per l’ottenimento del diploma di licenza media. L’eventuale mantenimento di un corso di italiano separato sarà dovuto alla decisione autonoma del direttore dell’Istituto. E il governo non sembrerebbe essere intenzionato a mettere risorse nel campo dell’insegnamento dell’italiano come L2, secondo quanto riferito da Venanzetti: “Come rete – spiega – ci basiamo sui volontari e per gli spazi facciamo riferimento a scuole e strutture parrocchiali. A novembre dell’anno scorso abbiamo presentato un protocollo d’intesa all’assessorato romano alle Politiche sociali, per chiedere altre sedi. Ma il protocollo è rimasto fermo lì”.
Oltre alle problematiche organizzative, ci sono delle difficoltà legate alle persone che dovrebbero poi sostenere i test di lingua: come fa un immigrato che lavora tutto il giorno a seguire un corso durante la settimana? E se le classi sono piene? Sarà costretto a seguirne uno a pagamento? “Un decreto di questo tipo dovrebbe prevedere soluzioni per tutte queste situazioni, non può demandare al volontariato e al privato sociale tali questioni. Ecco perché insistiamo sulla necessità di risorse e offerte adeguate – afferma Venanzetti, che prosegue: “Ora il problema più impellente per lo Stato è individuare un unico test di certificazione di lingua. Le quattro strutture preposte alla certificazione, ossia l’ Università degli studi di Roma Tre, le Università per stranieri di Perugia e di Siena e la società Dante Alighieri, dovranno presentare, entro fine estate, un unico test scritto, da sottoporre poi agli stranieri all’interno degli Sportelli unici per l’immigrazione nelle Prefetture”. È questo un altro nodo rilevato dalla rete: “Non crediamo che la Prefettura sia il luogo adatto per far svolgere i test sono strutture pensate per altre attività”, afferma il coordinatore della rete. Le difficoltà legate al decreto del 4 giugno 2010, che entrerà in vigore il 9 dicembre, sembrano dunque essere molteplici. “Potrebbe rappresentare un’ottima iniziativa, ma con questi presupposti ci sembra più un ostacolo che uno strumento per l’inserimento” chiosa Venanzetti, che conclude: “Ci stupiamo che arrivi dal ministero dell’Interno, nell’ambito del Pacchetto sicurezza piuttosto che dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali: viene quindi già pensata in un contesto di controllo, piuttosto che di integrazione”.
© Copyright Redattore Sociale
20 anni senza Dino Frisullo
-
-- http://feeds2.feedburner.com/ImmigrazioneAsiloCittadinanza
1 anno fa
Nessun commento:
Posta un commento